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Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri

Oggi, 25 marzo 2021, è il Dantedì, il giorno dedicato al Sommo Poeta Dante Alighieri (1265-1321): una vera e propria  festa nazionale.

La nuova ricorrenza è stata istituita dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della Cultura, Dario Franceschini, nel 2020 e la scelta della data non è fortuita: il 25 marzo è la data che i dantisti ritengono essere quella dell’inizio del viaggio nell’aldilà descritto da Dante nella “Divina Commedia”. Quest’anno il Dantedì ha una valenza simbolica ancora maggiore, perché cade in occasione del settimo centenario della morte del padre della lingua italiana, che in tutta Italia, per l’intero arco del 2021, viene celebrato con centinaia di eventi.

Con l’occasione anche il Papa ha inteso rievocare Dante, profeta di speranza e poeta della misericordia.

Nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae”, pubblicata oggi, Papa Francesco ricorda il VII centenario della morte di Dante Alighieri, sottolineando l’attualità, la perennità e la profondità di fede della “Divina Commedia”.

A 700 anni dalla sua morte, avvenuta nel 1321 a Ravenna, in doloroso esilio dall’amata Firenze, Dante ci parla ancora. Parla a noi, uomini e donne di oggi, e ci chiede di essere non solo letto e studiato, ma anche e soprattutto ascoltato e imitato nel suo cammino verso la felicità, ovvero l’Amore infinito ed eterno di Dio. Così scrive Papa Francesco nella Lettera apostolica “Candor lucis aeternae – Splendore della vita eterna”, pubblicata proprio oggi, fra l’altro Solennità dell’Annunciazione del Signore. La data non è casuale: il mistero dell’Incarnazione, scaturito dall’”Eccomi” di Maria, è infatti – spiega il Pontefice – “il vero centro ispiratore e il nucleo essenziale” di tutta la “Divina Commedia” che realizza “la divinizzazione” ovvero “il prodigioso scambio” tra Dio che “entra nella nostra storia facendosi carne” e l’umanità che “è assunta in Dio, nel quale trova la felicità vera”.

Quindi, il Papa si sofferma sulla vita di Dante, definendola “paradigma della condizione umana” e sottolineando “l’attualità e la perennità” della sua opera che “ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell’amore”. Essa, infatti, è “parte integrante della nostra cultura – scrive Francesco – ci rimanda alle radici cristiane dell’Europa e dell’Occidente, rappresenta il patrimonio di ideali e di valori” proposti anche oggi dalla Chiesa e dalla società civile come “base della convivenza umana” per poterci e doverci “riconoscere tutti fratelli”. Padre della lingua e della letteratura italiana, l’Alighieri vive la sua vita con “la struggente malinconia” di pellegrino ed esule, sempre in cammino, non solo esteriormente perché costretto all’esilio, ma anche interiormente, alla ricerca della meta. Ed è qui che emergono i due assi portanti della “Divina Commedia” – spiega Francesco – ossia il punto di partenza rappresentato dal “desiderio, insito nell’animo umano” e il punto di arrivo, ovvero “la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio”.

Dante non si rassegna mai e per questo è “profeta di speranza”: perché con la sua opera spinge l’umanità a liberarsi dalla “selva oscura” del peccato per ritrovare “la diritta via” e raggiungere, così, “la pienezza della vita nella storia” e “la beatitudine eterna in Dio”. La sua è dunque “una missione profetica” che non risparmia denunce e critiche contro quei fedeli e quei Pontefici che corrompono la Chiesa e la trasformano in uno strumento di intesse personale. Ma in quanto “cantore del desiderio umano” di felicità, l’Alighieri sa scorgere “anche nelle figure più abiette ed inquietanti” l’aspirazione di ciascuno a porsi in cammino “finché il cuore non trovi riposo e pace in Dio”.

Il cammino indicato da Dante – spiega ancora Papa Francesco – è “realistico e possibile” per tutti, perché “la misericordia di Dio offre sempre la possibilità di cambiare e di convertirsi”. In questo senso, l’Alighieri è “poeta della misericordia di Dio” ed è anche cantore “della libertà umana”, della quale si fa “paladino”, perché essa rappresenta “la condizione fondamentale delle scelte di vita e della stessa fede”. La libertà di chi crede in Dio quale Padre misericordioso, aggiunge, è “il maggior dono” che il Signore fa all’uomo perché “possa raggiungere la meta ultima”.

La Lettera apostolica “Candor lucis aeternae” dà, inoltre, la rilevanza a tre figure femminili tratteggiate nella “Divina Commedia”: Maria, Madre di Dio, emblema della carità; Beatrice, simbolo della speranza, e Santa Lucia, immagine della fede. Queste tre donne, che richiamano le tre virtù teologali, accompagnano Dante in diverse fasi del suo peregrinare, a dimostrazione del fatto che “non ci si salva da soli”, ma che è necessario l’aiuto di chi “può sostenerci e guidarci con saggezza e prudenza”. A muovere Maria, Beatrice e Lucia, infatti, è sempre l’amore divino, “l’unica sorgente che può donarci la salvezza”, “il rinnovamento di vita e la felicità”. Un ulteriore paragrafo, poi, il Pontefice lo dedica a San Francesco, che nell’opera dantesca è raffigurato nella “candida rosa dei beati”. Tra il Poverello di Assisi e il Sommo Poeta, il Papa scorge “una profonda sintonia”: entrambi, infatti, si sono rivolti al popolo, il primo “andando tra la gente”, il secondo scegliendo di usare non il latino, bensì il volgare, “la lingua di tutti”. Entrambi, inoltre, si aprono “alla bellezza e al valore” del Creato, specchio del suo Creatore.

Artista geniale, il cui umanesimo “è ancora valido ed attuale”, l’Alighieri è anche – afferma Francesco – “un precursore della nostra cultura multimediale”, perché nella sua opera si fondono “parole e immagini, simboli e suoni” che formano “un unico messaggio” che ha quasi il sapore della “provocazione”: egli, infatti, vuole renderci “pienamente consapevoli di ciò che siamo nella tensione interiore e continua verso la felicità” rappresentata dall’Amore infinito ed eterno di Dio. Di qui, l’appello che il Pontefice lancia affinché l’opera dantesca sia fatta conoscere ancor di più e resa “accessibile e attraente” non solo agli studiosi, ma anche a tutti coloro che “vogliono vivere il proprio itinerario di vita e di fede in maniera consapevole”, accogliendo “il dono e l’impegno della libertà”.

Congratulandosi, in particolare, con gli insegnanti che riescono a “comunicare con passione il messaggio di Dante e il tesoro culturale, religioso e morale” della sua opera, Francesco chiede però che questo “patrimonio” non rimanga rinchiuso nelle aule scolastiche e universitarie, ma venga conosciuto e diffuso grazie all’impegno delle comunità cristiane, delle istituzioni accademiche e delle associazioni culturali. Anche gli artisti sono chiamati in causa: Francesco li incoraggia a “dare forma alla poesia di Dante lungo la via della bellezza”, così da diffondere “messaggi di pace, libertà e fraternità”. Un compito quanto mai rilevante in questo momento storico segnato da ombre, degrado e mancanza di fiducia nel futuro, sottolinea il Papa. Il Sommo Poeta – conclude la Lettera apostolica – può quindi “aiutarci ad avanzare con serenità e coraggio nel pellegrinaggio della vita e della fede, finché il nostro cuore non avrà trovato la vera pace e la vera gioia”, ossia “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

Ed è con le stelle  – come rievoca il Santo Padre – che si conclude la terza ed ultima cantica della Divina Commedia, il Paradiso.

Ma non può sfuggirci  che la fine di ogni cantica dantesca  ci  parla di stelle.

L’Inferno (la prima cantica) si chiude con questo verso: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

Dall’inferno del cuore si esce volgendo lo sguardo alle stelle e quindi a Dio. Aver considerato tutto il male che si nasconde nel nostro cuore rischia di gettarci nella disperazione, ma allo stesso tempo ci apre al “desiderio” (le stelle: de + sidera) di vedere quel male sparire, cambiare, trasformarsi. Così il cuore concepisce lo slancio alla salita verso il monte del Purgatorio (la seconda cantica), che si chiude con questo verso: “Puro e disposto a salire le stelle”.

Dante ha visto il male, tutto il male, il suo male, se ne è purificato, ne è stato lavato, ha compreso che il bene, per chi lo cerca, trionfa sempre e così nel suo cuore ora è nato un nuovo desiderio: la disposizione a salir le stelle, il desiderio va oltre, è rilanciato. Si trasforma in sete di vedere la fonte dell’amore che ha eliminato tutto il male (e quindi Dio) che c’era nel suo cuore, per sapere se sarà per sempre, se c’entra con lui, con la sua vita. Così il Paradiso (la terza cantica) termina con il verso : “l’Amor che move il sole e l’altre stelle”.

Dante vede Dio, vi caccia lo sguardo dentro e trova sè stesso, il suo viso, scopre che ciò che governa l’universo fisico e spirituale è amore, è l’Amore. E quell’Amore ha voluto lui, lo ha attratto sino a sè, prendendolo così com’era, nel suo presente.

Dopo questa visione Dante torna al presente.

In realtà ci è sempre rimasto. Non ci ha raccontato una favoletta medievale, di demoni e angeli, ma la storia di un cuore che realizza tutti i suoi desideri (Beatrice è causa di tutto), e raggiunge le stelle.

Dall’inferno al paradiso non si è mosso di un millimetro, ha solo attraversato le regioni del suo cuore e lo ha scoperto immerso nell’eterno, voluto dall’eterno.

E questo è paradiso.

Ma tornando a noi, al nostro attuale presente, all’inferno della pandemia da Covid-19 che ci sta letteralmente massacrando con una moltitudine di morti a livello mondiale, l’ultimo verso dell’Inferno dantesco ci può essere senz’altro di aiuto e di conforto nella speranza di potercela fare, volgendo lo sguardo a quelle stelle.

Il firmamento (le stelle) che Dante ritrova è quello che permette ai marinai di orientare la rotta della navigazione, impedendo loro di smarrirsi nel grande mare dell’essere.  Il significato del verso “e quindi uscimmo a riveder le stelle” sta proprio qui. Nei momenti di sconforto, tutti accarezziamo questo verso come un talismano. Nella speranza di poter superare quegli ostacoli esistenziali che ci impediscono di proseguire il nostro itinerario nei giorni e negli anni. Lo stesso capitò a Dante personaggio quando – all’inizio dell’Inferno – tre fiere gli sbarrarono la strada facendolo arretrare. Sempre più lontano da quel colle luminoso e alto che rappresentava la liberazione dal male. Nel De vulgari eloquentia il poeta aveva scritto che proprio grazie alla dolcezza della poesia era riuscito a gettarsi alle spalle l’esilio.

Così come, anche noi, proveremo a gettarci alle spalle il terrore, lo sgomento e l’angoscia del Covid-19.


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