Rievocazione delle tradizioni e delle cantate popolari molisane

Rievocazione delle tradizioni e delle cantate popolari molisane
di Lorenzo Bove
L’Alto Tavoliere, al quale il comune di Poggio Imperiale appartiene, è parte della Capitanata, che confina con il vicino Molise; due territori contigui che, nei secoli, hanno mantenuto sempre stretti e civili rapporti di buon vicinato.Ma vi è di più: già con l’avvento del regime aragonese[1] e la riforma del sistema dei giustizierati[2], i due territori rimasero amministrativamente legati. Un cambiamento che ebbe importanti riflessi sul Contado di Molise si realizzò con la conquista aragonese del Regno di Napoli e la sua successiva riorganizzazione amministrativa.
Nel 1447 fu infatti emanato da Alfonso d’Aragona un decreto concernente l’istituzione della Regia dogana della mena delle pecore di Puglia. Con l’insediamento della Dogana di Foggia, il Contado di Molise, pur continuando formalmente a far parte della Terra di Lavoro [N.d.A.: Un territorio che si estendeva su buona parte delle attuali regioni Campania, Lazio e Molise], entrò in stretti rapporti economici con la Capitanata. In epoca incerta, probabilmente durante il viceregno spagnolo, verso la metà del XVI secolo, il Contado di Molise venne separato dalla Terra del Lavoro e aggregato alla Capitanata. La Regia udienza di Lucera, istituita nel 1514, esercitava la propria giurisdizione anche sul Contado di Molise. Quest’ultimo rimase legato alla Capitanata fino alle riforme amministrative introdotte nel 1806.
Ed oggigiorno è attivo un Movimento popolare che coltiva l’idea di poter unificare la Daunia (corrispondente al territorio delle province di Foggia e BAT – Barletta, Andria e Trani) e la regione Molise, finalizzata alla nascita di una nuova regione denominata “Moldaunia”.
“Il progetto ‘Moldaunia’[3]è un’idea di autonomia che, per limitarci alla storia recente, risale alla fase costituente (1946) della repubblica italiana, quando ben più illustri predecessori foggiani intravedendo la necessità di un’amministrazione autonoma della Daunia rispetto alle altre etnie pugliesi, reclamarono il diritto all’autonomia regionale della stessa, da sola od in aggregazione al Molise, al quale era legata da affinità etnico-culturali e socio-economiche, cementate in oltre quattro secoli di transumanza. Se tale richiesta era opportuna in vigenza del sistema centralista, oggi, con l’approvazione del sistema federalista regionale (legge n.3/2001), che investe le regioni di autonomia legislativa, finanziaria ed amministrativa, tale richiesta diventa addirittura vitale, in quanto gli interessi di sviluppo infrastrutturale e quindi socio-economico della Daunia confliggono manifestamente con quelli della Murgia e del Salento. Oltretutto, il passaggio del territorio dauno dall’attuale giurisdizione regionale pugliese a quella molisana, costituisce un’operazione di perequazione territoriale e demografica tra le due regioni: la Puglia molto grande (popolazione di 4.020.707 abitanti su una superficie di kmq 19.357), ed il Molise, la regione più piccola d’Italia a statuto ordinario (popolazione di 320.601 abitanti su una superficie di kmq 4.438), coronando un antico anelito della Daunia, oggi più che mai vivo nell’animo della sua popolazione”. |
Ed è dunque del tutto evidente che le popolazioni di questi due territori abbiano, nel tempo, finito con il condividere usi, costumi e tradizioni popolari, oltre che creare nuovi nuclei familiari, unendosi in matrimonio tra loro, come avvenne nel caso di Crescenzo Fiorella di Poggio Imperiale e Giovanna Allocati di San Polo Matese, di cui ci accingiamo a parlare qui di seguito, nel contesto della rievocazione delle tradizioni e delle cantate popolari molisane e, in particolare dell’organetto abruzzese, “uno strumento musicale tradizionale della regione Abruzzo [N.d.A.: ma, naturalmente anche della regione Molise] in Italia. Caratterizzato da un suono vivace e coinvolgente, solitamente è costruito in legno di ciliegio. Il design è tipicamente compatto e leggero, facilitando il trasporto durante le esibizioni musicali”[4]. |
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Foto di repertorio da Internet
Tra i suonatori di Organetto Abruzzese figura anche Alfonso Fiorella di San Polo Matese (Campobasso), figlio del Tarnuèse Crescenzo Fiorella che ivi si trasferì nella prima metà del secolo scorso e mise su famiglia, contraendo matrimonio sul posto.
l “Gruppo di suonatori e di ballo di San Polo Matese”, denominato “La Teglia” di cui Alfonso Fiorella ha fatto parte per tanti anni (assicurando ancora ora la sua presenza in occasioni speciali, data l’età avanzata), ha cavalcato le piazze e i palcoscenici, non solo locali, ma anche di varie località italiane, europee e del mondo, non ultima, la partecipazione al Columbus Day di New York negli Stati Uniti d’America.

e con il suo organetto
Foto by Alfonso Fiorella

il 26 luglio 2025 da Lorenzo Bove (a sx)
Foto by Lorenzo Bove
In particolare, Crescenzo Fiorella, il padre di Alfonso, nacque a Tarranòve, Poggio Imperiale, nell’Alto Tavoliere in terra di Capitanata, il 19 aprile 1904 e all’età di quattro anni si ammalò di malaria, con seri pregiudizi per la sua sopravvivenza, considerando che, ai tempi, anche di malaria si rischiava di morire. Provvidenziale si rilevò l’idea di suo zio Michele Fiorella di portarlo con sé in montagna, nel vicino Molise, a San Polo Matese, ove l’aria era più salubre e quindi maggiormente salutare per il bambino. Lo zio Michele svolgeva all’epoca la propria attività lavorativa nell’ambito della “Transumanza e della mena delle pecore”, che un tempo caratterizzava il particolare settore della pastorizia, e che vedeva lo spostamento delle mandrie di ovini dalle montagne dell’Abruzzo e del Molise verso le pianure pugliesi, attraverso i “Tratturi”, ove d’inverno il clima era più mite, ed il loro ritorno in montagna nella bella stagione. Il ragazzo ne trasse positivi benefici e, crescendo, cominciò ad accompagnare suo zio negli spostamenti delle mandrie, stabilendosi definitivamente nella località molisana di San Polo Matese, dove contrasse poi matrimonio con Giovanna Allocati, una ragazza del posto, dal quale nacquero sei figli, tra i quali anche Alfonso, attualmente novantatreenne in quanto nato il 3 maggio 1932, chiamato affettuosamente “Zi Fonz”.
Anch’egli iniziò con il seguire le orme del proprio genitore nell’attività di pastorizia, per poi trasferirsi in Belgio ove si occupò di edilizia, dopo aver frequentato positivamente i corsi di formazione professionali previsti, dimorando a Marcinelle, una località del comune di Charleroi, tristemente nota per il disastro minerario avvenuto l’8 agosto 1956 nella miniera di carbone di Bois du Cazier: l’incendio che si sviluppò causò la morte di 262 minatori, dei 275 presenti, di cui 136 italiani.
Dopo ben dodici anni, Alfonso ritornò a San Polo Matese e si unì in matrimonio con la sua cara Giovanna Noviello – recentemente scomparsa – dal quale nacquero tre figli, occupandosi di lavori edili, promiscuamente con attività agricole.
Già da ragazzo, il giovane Alfonso cominciò ad avere i primi approcci con lo strumento musicale del padre Crescenzo, un organetto abruzzese, che questi era solito suonare nelle varie occasioni pubbliche o private che fossero, fin quando, al compimento del suo diciottesimo compleanno, ricevette in regalo dal medesimo genitore un nuovo organetto, tutto per sé; anche perché quello del padre era stato letteralmente messo fuori uso proprio da lui a furia di strapazzarlo per imparare a suonarlo, ad orecchio e per imitazione, in maniera del tutto naturale.

Foto by Alfonso Fiorella
FE così divenne un provetto suonatore di organetto abruzzese, perfezionando un proprio ed esclusivo stile, peraltro molto apprezzato non solo sul posto, ma anche in altre località vicine e lontane.
Negli anni sessanta del secolo scorso, cominciavano a registrarsi anche in Molise i primi fermenti di rievocazione delle tradizioni e delle cantate popolari, dalla festa della zampogna[5] alle antiche tarantelle.

“La Teglia” di San Polo Matese
Foto by Alfonso Fiorella
Venne quindi a costituirsi intorno al 1970 a San Polo Matese il Gruppo Folkloristico denominato “La Teglia”, del quale Alfonso Fiorella rappresentò sicuramente il perno principale, facendo gioire ed entusiasmare, ma soprattutto ballare, per oltre mezzo secolo, folle di giovani e meno giovani, in giro per il mondo, conseguendo premi e riconoscimenti di merito al riguardo.
e

Foto by Lorenzo Bove
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del 15 agosto 2014.
Foto by Lorenzo Bove
La denominazione “La Teglia” del Gruppo è simbolica ed è riferita all’albero di Tiglio, con radici profonde ed antichissime, legate ai riti di stregoneria, un po’ come la cosiddetta “Noce di Benevento”, l’albero di noce sotto il quale, secondo la leggenda, si radunavano le streghe, per l’appunto, di Benevento[6].
Il rito del Tiglio rievocato dal Gruppo Sanpolese[7], con tanto di corpo di ballo e canti, accompagnati dalle “tammorre” e dall’organetto di Alfonso Fiorella, si sviluppa intorno ad un palo di legno (che rappresenta il tronco dell’albero di Tiglio), sulla cui cima vengono issati dodici nastri colorati discendenti (che rappresentano i rami e le foglie).
Una coppia di ballerini (un ragazzo e una ragazza, rappresentanti i futuri sposi) reggono il palo, mentre altre sei coppie (rappresentanti le streghe e gli stregoni) fanno veleggiare i dodici nastri colorati (nel numero di due per ciascuna coppia), ballando ritmicamente e facendo intrecciare e disintrecciare armonicamente i nastri stessi.
Alla fine del ballo delle “streghe e degli stregoni” si verifica l’auspicio:
- Se i nastri risultano completamente disintrecciati, la coppia dei fidanzati avrà un futuro di gioia e di felicità;
- Se i nastri risultano invece intrecciati, per i fidanzati si prospetta un futuro difficoltoso e pieno di problemi.
Ma, in verità, l’abilità dei ballerini è tale che l’auspicio finisce sempre con l’essere positivo per i futuri sposi, ed è il caso di dire che tutto finisce a “tarallucci e vino”.
[1] Cfr. Contado di Molise – Wikipedia
[2] Il termine “giustizierato” designava in epoca normanna, sveva e angioina ogni “distretto amministrativo” in cui era suddiviso il Regno, retto da un funzionario di nomina imperiale o reale. Da Wikipedia
[3] Progetto MOLDAUNIA https://www.moldaunia.it
[4] Cfr.https://www.bing.com/search?q=l%27organetto+abruzzere&form
[5] La zampogna è uno strumento musicale dei pastori abruzzesi e molisani. “Il pastore si annoiava nel mentre le pecore erano al pascolo e quindi passava il tempo ad intarsiare rami con il suo coltello, al fresco sotto un albero.
E realizzava così i barrocche (i bastoni) che gli servivano per proteggere il gregge dagli animali, ma anche zufoli, pifferi, fischietti, flauti e zampogne.
Le zampogne (una sorta di cornamuse scozzesi), in particolare, venivano un tempo fatte con canne lavorate a mano con i coltelli e sacche ricavate dalle pelli delle pecore. Con questo strumento un singolo pastore poteva far suonare contemporaneamente fino a cinque canne. Ciò era possibile perché le canne non venivano insufflate direttamente dalla bocca del suonatore, ma dall’aria contenuta nella sacca di pelle di ovino, detta otre”.
Cfr. Lorenzo Bove, “E fu così che … ? … L’inestricabile ‘giallo’ de Tarranòve”, Self Publishing, giugno 2025, alla pagina 123
[6] E, da qui, la denominazione del famoso liquore “Strega” di colore giallo paglierino, associato anche all’omonimo premio letterario, istituito nel 1947.
[7] Le informazioni, nel dettaglio, sono state cortesemente ed amabilmente fornite da Assunta Fiorella, figlia di Alfonso Fiorella, presente all’intervista del 26 luglio 2025 fatta da Lorenzo Bove allo stesso Alfonso Fiorella presso la sua abitazione di San Polo Matese (Campobasso), Molise.
I racconti di Michelina

I racconti di Michelina
di Lorenzo Bove
Una “new entry” in campo letterario, che le Edizioni del Poggio ci hanno fatto conoscere in questa calda estate del 2025; una piccola perla dal titolo “I racconti di Michelina”, il primo libro scritto da Michelina Finoia di Poggio Imperiale in provincia di Foggia, nell’Alto Tavoliere, che rompe ogni indugio e viene allo scoperto, mettendo in luce la delicatezza e la profondità dei suoi sentimenti di donna, mamma e nonna, offrendoci una serie di brevi racconti, apparentemente dedicati ai più piccoli, ma dai quali anche i grandi potranno trarre il loro giovamento in termini di umanità, accoglienza e, in una visione più generale, di rispetto e di amore per sé stessi e per gli altri. Che tradotto in parole più comprensibili, significa solamente: farsi prossimo; un concetto strettamente legato alla parabola del Buon Samaritano, raccontata da Gesù nel vangelo secondo Luca (10,25-37), che illustra come il vero prossimo sia colui che si prende cura dell’altro, anche se non lo conosce o se appartiene a un gruppo sociale diverso dal suo.
E, per i suoi protagonisti, Michelina fa ricorso agli animali, che certamente hanno maggiore presa sui bambini (e non solo su di essi), alla stregua delle “favole di Esopo e Fedro, in cui gli animali agiscono come personaggi per trasmettere una morale o un insegnamento”, come eloquentemente rileva la Dottoressa Concetta De Nucci nella sua Prefazione.
Molosso il cane senz’osso, la gallina cenerina, la lucertola porta fortuna, un forbicino, dei delfini, un pulcino e, perché no, anche una ballerina in una palla di neve.
Umanizzando così le vicende che immaginariamente si svolgono per lo più tra animali, come nelle migliori tradizioni delle favole a lieto fine, per lanciare messaggi positivi, di cui oggi abbiamo tanto bisogno.
Un guardarsi dentro, analizzandosi attentamente fino a toccare i gangli più profondi e sensibili del proprio essere, con il desiderio inconscio di proiettarsi poi all’esterno a guisa di faro per le nuove generazioni alle quali augurare un mondo migliore. Un’aspettativa che l’autrice stessa proietta in particolare verso i suoi tre nipoti Nicola, Vincenzo e Chiara, “l’ultima nata che il cuore mi ha rubato”, vergando i toccanti versi riportati alla pagina 7 del suo libro.
E, “allora ben vengano quegli scrittori che con le loro opere si pongono ‘al servizio’ dei più giovani per suscitare in loro la curiosità e far camminare con le ali della fantasia i loro sogni”, come scrive la Professoressa Antonia Frazzano nella Presentazione della Collana “Il giardino della fantasia”.
Un libro a tutto tondo che si legge tutto d’un fiato, uscendone soddisfatti e carichi di speranza di un mondo migliore, per l’appunto, fatto di piccole e semplici cose; un po’ come fare un salto a ritroso nel tempo e tornare ad essere bambini curiosi e desiderosi di volare proprio con le ali della fantasia.
E, poi, in calce al libro, le “schede didattiche interattive” da compilare liberamente seguendo l’ordine delle domande preimpostate, per interagire con il testo, i personaggi e quant’altro proposto sotto la voce: “E adesso parla tu”.
Veramente belle ed interessanti, infine, le illustrazioni del giovanissimo Alessandro Braccia: complimenti!
La presentazione del libro è avvenuta alle ore 20,30 dell’8 agosto 2025 nella piazzetta Pio X di Poggio Imperiale, alla presenza di un folto pubblico e con le brillanti relatrici Dott.ssa Cristina Piteo e Dott.ssa Titti De Nucci.

La serata è stata allietata dalla potente voce di Stefania Cristina, accompagnata alla chitarra da Antonio Di Nauta, ed il bravissimo Tonino Braccia ha intrattenuto il pubblico con brani dialettali ‘terranovesi’ accompagnandosi con la sua chitarra.
L’autrice del libro ha deciso di destinare integralmente il ricavato delle vendite alla Caritas Parrocchiale.
Benvenuta a bordo, Michelina!

Dalla quarta di copertina:
“Chi ha detto che il mondo della fantasia appartiene solo ai bambini? Chi ha stabilito che l’immaginazione debba avere un’età, una scadenza o un confine? I racconti di Michelina sono qui per smentire ogni pregiudizio con questo libro che è un dono: a chi ama narrare, a chi ama ascoltare”.

E fu così che … ? L’inestricabile “giallo” de Tarranòve

Lorenzo Bove
E fu così che … ? L’inestricabile “giallo” de Tarranòve
Un nuovo libro di Lorenzo Bove nel quale l’autore parla di una storia che si sviluppa nell’ambito di un ridente borgo dell’Italia Meridionale, Poggio Imperiale (Tarranòve), il suo paese di origine, e prende le mosse da fatti realmente accaduti la sera del 20 giugno del 1888 e fedelmente documentati, che vengono assunti tuttavia semplicemente a pretesto, per elaborare una trama inedita e fantasiosa, all’interno della quale sviluppare una sceneggiatura che consenta di far muovere i diversi personaggi, e poter più agevolmente mettere in luce, in maniera forse anche un po’ stravagante, gli usi e costumi dei suoi concittadini di un tempo, con i loro pregi e i loro difetti, posticipando fittiziamente gli eventi verso la metà nel secolo scorso, epoca in cui egli stesso cominciava a muovere i primi passi e a biascicare le prime parole del suo dialetto Tarnuèse.
Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale
Dalla quarta di copertina:
«Uno spaccato della quotidianità della vita paesana della metà del secolo scorso, con i suoi pregi e i suoi difetti, che si tinge di rosso a causa di un evento delittuoso inaspettato e inusuale, infrangendone la quiete e facendo emergere, in qualche caso e magari anche in maniera un po’ stravagante, il vero volto della gente.
Un Maresciallo dei carabinieri autorevole e mai autoritario, molto cordiale e alla mano, un vecchio coltello pieghevole, artigiani, botteghe e un po’ di ‘suspence’, giusto quanto basta!
Un “giallo” inestricabile che sconvolge l’intera comunità di Tarranòve, un piccolo e ridente borgo dell’Alto Tavoliere della Puglia, in terra di Capitanata».

LBSelfPublishing
Questo libro è autoprodotto e stampato per conto esclusivo dell’autore ‘in limited edition’ (in edizione limitata) ed è dedicato prevalentemente alla ristretta cerchia delle persone più care nonché agli appassionati di tradizioni e storia locale interessati.
È vietata la copia e la
riproduzione in qualsiasi forma dei contenuti e delle immagini, nonché la loro
pubblicazione se non autorizzata espressamente dall’autore medesimo.
Copyright © 2025 Lorenzo Bove
Tutti i diritti riservati.
Stampato nel mese di giugno 2025 presso GR SERVICE Via Veneto, 21/23
35020 Due Carrare (PD) +39 049629967 info@gr-service.it
Inoltre, di questo libro è stato autoprodotto anche un eBook in formato digitale, che viene offerto gratuitamente in lettura su questo stesso Sito/Blog www.paginedipoggio.com alla Pagina:
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Copertina libro
Una vacanza a Malta

Lorenzo Bove
Una vacanza a Malta
Tra scorci mozzafiato, mare cristallino e resti di una storia millenaria, ecco Malta, una delle perle più preziose nel cuore del Mediterraneo.
Crocevia di culture (1), per la sua strategica posizione fra Africa, Europa e Medio Oriente, l’arcipelago maltese ha davvero tante cose da rivelare ai suoi visitatori tra cattedrali imponenti, fortezze spettacolari, centri storici chiassosi e scogliere sbalorditive, che svelano un piccolo “mondo” dal fascino unico e fantasmagorico.
Malta è stata colonia britannica fino al 1964 e, passeggiando per le strade della sua capitale, La Valletta, si rinviene ancora qualche iconica cabina telefonica rossa, del tipo di quelle presenti un tempo a Londra; e si parla naturalmente la lingua inglese insieme a quella maltese; ma anche l’italiano (il 40% della popolazione secondo le statistiche).
L’arcipelago maltese è formato da 3 isole principali, Malta e Gozo sono le più grandi, in mezzo c’è Comino, la più piccola, e da tanti altri isolotti minori, per lo più disabitati.
I greci la chiamavano Melite, per via dell’abbondante presenza di api, e il paese è infatti ancora oggi un grande produttore di miele.
Malta risulta una delle mete europee più apprezzate anche per il suo clima gradevole, che non è mai né troppo caldo né troppo freddo durante tutto l’anno, e quindi una scelta perfetta per trascorrervi una piacevole vacanza.
Anch’io, con mia moglie, ho provato a fare un’interessante esperienza al riguardo (siamo tornati a casa solo qualche giorno fa), e devo dire che entrambi siamo rimasti affascinati dai luoghi, paesaggi, storia, e quant’altro questo piccolo scorcio di mondo racchiude in sé ed è in grado di offrire a chi si accinge a raggiungerla in nave, a soli 80 Km dalla Sicilia (Pozzallo) o in aereo dalle diverse località italiane e straniere.
E sono davvero tante le presenze turistiche che abbiamo riscontrato sul posto, già in arrivo e ripartenza dall’aeroporto di Malta: un formicaio di persone, da non crederci. E così dicasi nel corso della nostra permanenza sull’arcipelago, sia nelle località di interesse turistico, storico o religioso e sia sui traghetti, bus, taxi e carrozzelle trainate da cavalli.



La Valletta
É la capitale di Malta, la più grande delle tre isole maggiori, una città compatta e facilmente visitabile a piedi; i diversi monumenti si trovano infatti a poca distanza l’uno dall’altro.
Questi i punti d’interesse assolutamente da non perdere:

Concattedrale di San Giovanni
Gli interni opulenti di questa Cattedrale lasciano senza fiato, rispetto al suo esterno che, sebbene austero, non lascia trapelare indizi sulla sorprendente ricchezza decorativa dell’interno. Ma una volta superata la soglia d’ingresso, si è letteralmente travolti da ornamenti dorati e da numerosi capolavori pittorici. Tra questi, due importanti opere di Caravaggio: “La Decollazione di San Giovanni Battista” e “San Girolamo che scrive”, che il noto e tormentato pittore dipinse in loco, dopo esservi approdato, fuggitivo in quanto accusato di aver assassinato un uomo a Roma, la città in cui all’epoca dimorava.
Michelangelo Merisi, detto “il Caravaggio” dal nome della cittadina in provincia di Bergamo in cui visse da fanciullo, nacque il 29 settembre 1571 a Milano. Considerato uno degli artisti più grandi di sempre, la sua pittura è probabilmente la più sconvolgente e appassionante, ma anche la più discussa. Irrequieto, violento, ribelle e contestatore delle dottrine religiose, le sue opere rappresentavano la “nuda” realtà, geniale e trasgressiva. Per questo fu definito “pittore maledetto”.
Caravaggio era uno spirito inquieto, “incline a duellare e a far baruffe”, tanto che fu più volte denunciato e incarcerato. Il 28 maggio 1606 accadde l’irreparabile. In seguito a una rissa, l’artista uccise a Roma un certo Ranuccio Tomassoni da Terni. Nella lite, lui stesso rimase gravemente ferito alla testa e dovette fuggire per cercare riparo. Lo trovò nei feudi laziali dei suoi protettori: i Colonna. Qui rimase per tre mesi, prima di trasferirsi a Napoli. Nel frattempo, veniva condannato in contumacia alla pena di morte con l’accusa di omicidio. Otto mesi dopo il suo arrivo nella città partenopea, Caravaggio si spostò a Malta, dove con ogni probabilità sbarcò il 12 luglio 1607.
Dopo un anno dal suo arrivo a La Valletta, Caravaggio fu ammesso nell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni, per riconoscimento dei meriti che si era procurato con la sua attività nell’isola. Non si hanno certezze sulla vera motivazione che spinse l’artista a trasferirsi proprio a Malta. Diverse sono le ipotesi avanzate dagli studiosi. La prima, riguarda un possibile tentativo del pittore di rientrare nelle grazie del Papa, che nutriva un profondo rispetto per i cavalieri maltesi, e sfuggire così all’arresto. Ma non si esclude che si trattò semplicemente di un’opportunità lavorativa.
Il potente Gran Maestro dei cavalieri di Malta, il francese Alof de Wignacourt, era infatti alla ricerca di un pittore, ed è probabile che Merisi poté godere dell’intercessione di Costanza Colonna, che conosceva sia lui sia il Gran Maestro. Tanto che il primo lavoro di Caravaggio a Malta fu proprio il ritratto di de Wignacourt, oggi al Louvre. Il volto del Gran maestro, inoltre, è stato riconosciuto anche nel dipinto di “San Girolamo scrivente”, custodito nel museo della cattedrale maltese.

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Nel periodo maltese, Caravaggio dipinse quello che è considerato il suo capolavoro supremo: la “Decollazione di San Giovanni”. Si tratta di una tela lunga tre metri e sessanta e larga cinque metri e venti, ancora oggi custodita nell’Oratorio della Cattedrale di San Giovanni, a La Valletta. Eseguita per la Compagnia della Misericordia, che aveva proprio lì il suo Oratorio, è l’unica opera firmata dall’artista. La firma è rosso sangue, lo stesso che sgorga dal collo del Battista, come a voler trovare una sorta d’identificazione nel martire, poiché anche lui avrebbe subito la stessa fine, data la condanna a morte che pendeva sul suo capo.

Caravaggio: San Giovanni Decollato
Il dipinto, di straordinaria bellezza, evoca l’ultimo palpito di vita del santo, caduto bocconi con le mani legate dietro la schiena, dopo che il suo carnefice gli ha inferto un colpo di spada e si appresta a recidergli il collo con il pugnale. Caravaggio si firma “f. Michelangelo”, dove la “f” sta per “fra’” (frate) e indica la sua appartenenza in quel momento storico all’Ordine dei Cavalieri di Malta, per l’esattezza Cavaliere dell’Obbedienza Magistrale.
Nel 1608 Caravaggio venne arrestato dopo un litigio con un Cavaliere. Rinchiuso nel carcere di Sant’Angelo, a Birgu (oggi chiamata Vittoriosa), il 6 ottobre riuscì a organizzare una fuga rocambolesca e a rifugiarsi in Sicilia, a Siracusa. Di conseguenza, il 6 dicembre fu espulso con disonore dall’Ordine dei Cavalieri, che in una bolla lo definirono “membro fetido e putrido”. La sua indole ribelle lo vide ancora fuggire di città in città. Alla fine, la grazia gli fu concessa, ma il destino non giocò in suo favore. Morì sulla spiaggia della Feniglia, nei pressi di Porto Ercole (Monte Argentario, in provincia di Grosseto, in Toscana), il 18 luglio 1610. Caravaggio, che dipinse la realtà garantendo il massimo coinvolgimento emotivo dello spettatore e introdusse il concetto di luce naturale, rimane uno dei più grandi e geniali pittori di tutti i tempi.
Palazzo del Gran Maestro
Attualmente residenza ufficiale del Presidente della Repubblica maltese, questo edificio venne eretto nel 1574 per volere di Jean de Valette, Gran Maestro dell’Ordine di San Giovanni, comunemente conosciuto come Ordine dei Cavalieri di Malta. Non c’è luogo migliore per conoscere la storia dell’antico ordine, ma anche per scoprire la vita dell’uomo che fondò la capitale maltese. Al suo interno sono conservati gli stemmi dei Gran Maestri, il Museo delle Armi e alcune sale riccamente decorate.
Giardini Barrakka
Questo splendido angolo di città è affacciato sul porto ed è diviso in giardini superiori e inferiori. Si dice che qui si rifugiassero in meditazione i Cavalieri Ospitalieri, oggi offrono ai turisti scorci di rara bellezza. Il punto di interesse maggiore è la “Saluting Battery”, un’antica batteria di cannoni che una volta al giorno tuona sulla città con un colpo a salve.
Un moderno e velocissimo ascensore a vista consente di collegare i giardini Barrakka con l’imbarcadero sottostante che si trova a quota notevolmente differente.

Museo Nazionale di Archeologia
Situato nell’Auberge de Provence, un edificio che ospitava i Cavalieri di Malta di lingua provenzale, il museo oggi espone reperti che risalgono al periodo neolitico. Particolare enfasi viene data alle prolifiche civiltà che eressero i templi del sito archeologico di Hagar Qim, dichiarato Patrimonio dell’Umanità.
Forte Sant’Elmo
Il forte affascina per la sua imponente bellezza. Le possenti mura si affacciano per buona parte sul mare, e non riesce difficile credere che giocarono un ruolo cruciale durante il Grande Assedio di Malta nel 1565 da parte dell’Impero Ottomano. All’epoca l’Ordine dei Cavalieri rischiò di essere spazzato via per sempre, ma resistette il tempo sufficiente per ricacciare indietro il nemico. Oggi il forte ospita, non a caso, il Museo Nazionale della Guerra.
Casa Rocca Piccola
A poca distanza dal Forte, in una delle vie del centro, si trova un’affascinante residenza privata costruita 400 anni fa da un cavaliere dell’Ordine, che si compone di 50 stanze ed è oggi visitabile, per avere un’idea di come vivevano le famiglie nobili maltesi del tempo.
Le tre città
Davanti alla costa di La Valletta si trovano tre grandi zone fortificate: Vittoriosa (Birgu), Senglea e Cospicua, che sono ben visibili e che si possono ammirare dall’alto dei giardini di Barrakka.
Originariamente erano tre villaggi di pescatori disposti su lingue di terra costiera che l’Ordine decise di fortificare. Oltre a esplorarne i vicoli, a piedi, è possibile ammirarle anche dal mare con un giro in barca a largo del porto di La Valletta.

La Valletta – Sliema
Sliema
É la faccia più moderna di Malta. La città si trova a nord ovest della baia di La Valletta e i turisti la preferiscono per pernottare.
Anche noi abbiamo alloggiato in un Hotel di questa interessante località.
La sera qui si trovano molti locali in cui poter trascorrere la serata, mentre di giorno è possibile godersi il panorama dal Tigné Point, fare shopping nel grande centro commerciale della zona, oppure passeggiare sul lungomare e fare il bagno in alcune delle sue spiagge. Per chi ama particolarmente la movida notturna, a Sliema è anche possibile partecipare a una festa in barca con DJ e open bar.
La Valletta e Sliema sono collegate anche via mare con un comodo e veloce traghetto che fa da spola tra le due sponde in pochi minuti.
Nata come piccolo villaggio di pescatori, Sliema si è sviluppata relativamente tardi, verso la fine del XIX secolo, quando iniziò a diventare meta delle villeggiature estive delle più ricche famiglie di ‘La Valletta’, e località residenziale per l’amministrazione coloniale inglese, con edifici e ville in stile vittoriano. Oggi Sliema è il centro economico e turistico di Malta, dato che la maggior parte delle imprese e degli alberghi si trovano lì. Il suo lungomare è caratterizzato da edifici moderni, con molti locali dove andare a bere un drink o cenare, ma è sufficiente addentrarsi nelle vie interne per scorgere uno stile architettonico più simile a quello vittoriano britannico e ben diverso da quello di ‘La Valletta’ e degli altri antichi centri urbani.
Anche la cucina maltese è caratterizzata dalla sua forte influenza mediterranea con tocchi arabi e britannici. Si trovano comunque gustosi piatti a base di pesce fresco nonché diversi richiami alla cucina siciliana ed italiana in generale.

L’imponente ingresso a Mdina
l’antica capitale di Malta
Mdina e Rabat
Mdina è stata la prima capitale di Malta, e si trova a pochi chilometri nell’entroterra dell’isola. Si erge fortificata in cima a una collina e, nelle sue immediate vicinanze, appena fuori le mura, si estende il paese di Rabat.
Passeggiando per le strette strade della città si nota subito il silenzio. Mdina è infatti definita “la città silenziosa“, perché il numero di residenti è molto esiguo. D’altra parte, il nome di Rabat viene dall’arabo e significa sobborgo, cosa che in effetti è ancora oggi. Sono entrambe destinazioni affascinanti, perfette per un’escursione giornaliera!

Cattedrale di San Paolo
Questa magnifica cattedrale barocca costruita tra il 1697 e il 1702 è situata nel cuore di Mdina. È famosa per i suoi interni splendidi e i suoi pavimenti in marmo intarsiato.
La chiesa è stata costruita sul luogo dove il governatore Publio avrebbe incontrato San Paolo dopo il naufragio sulle coste dell’isola di Malta della nave che lo trasportava a Roma. L’aggregato monumentale sulla spianata e nelle immediate adiacenze comprende l’Arcivescovado del 1642, il Seminario oggi adibito a Museo, il Tribunale del 1620 e il Palazzo del Governatore.
Secondo la tradizione, il sito era originariamente occupato dal palazzo appartenente a Publio, governatore romano di Melite, funzionario che ha accolto l’apostolo Paolo naufragato sulle coste dell’arcipelago maltese. Infatti l’apostolo come cittadino romano, dopo aver predicato in Giudea ed esser stato imprigionato in Cesarea, fu dal governatore Porcio Festo consegnato al centurione Giulio per essere condotto a Roma e subire il processo di eresia al cospetto dell’imperatore Nerone. La nave che lo trasportava assieme a Luca, Aristarco, Trofimo e ad altri 261 passeggeri, dopo una terribile tempesta al largo dell’isola di Creta, naufragò e approdò fortunosamente presso la località maltese denominata Isole di San Paolo nell’anno 58 d.C. Sul luogo dello sbarco, una statua ne commemora l’evento.
San Paolo inizialmente trovò rifugio in una grotta, ambiente oggi conosciuto come le Catacombe di San Paolo a Rabat. Allo scampato pericolo e al fortuito scalo, altri eventi inspiegabili segnarono la breve permanenza dell’apostolo, fra essi il morso di una vipera senza ulteriori gravi conseguenze. La narrazione di Luca evangelista negli Atti degli Apostoli, cita Paolo quale guaritore del padre del rappresentante locale, sofferente di febbre e dissenteria, e di molti altri ammalati sull’isola. Gli isolani interpretarono questa sequenza di episodi come un segno ultraterreno di un personaggio carismatico, trascinatore e persuasivo. Questi avvenimenti sono alla base della grande fede che indusse la popolazione alla conversione al cristianesimo, al punto che lo stesso Publio divenne un fervente seguace e primo vescovo di Malta.
Nella cattedrale di Mdina è presente anche un dipinto dell’immagine della Madonna e del Bambino popolarmente attribuito a San Luca.

Museo della Cattedrale
È ubicato proprio di fronte alla cattedrale di San Paolo e si tratta, come si è già detto dell’ex Seminario, che ospita artefatti storici e opere d’arte sacra di notevole interesse, meritevoli di una visita oculata.
Piazza del bastione
Come detto, la città venne eretta su di una collina e raggiungendo la Piazza del bastione si può godere di viste panoramiche spettacolari sulla campagna maltese e sul vicino villaggio di Rabat. È un ottimo punto per godersi il paesaggio. Mentre le sue strade strette e i vicoli silenziosi sono perfetti per passeggiate suggestive.
Va anche detto che le possenti mura fortificate con le relative porte decorate, sono state scelte e utilizzate come set cinematografici per girare diverse scene di importanti film.


Catacombe di Rabat
Le Catacombe e la Grotta di San Paolo, nonché la Cripta di Sant’Agata rappresentano la testimonianza dell’era paleocristiana di Malta. Quest’intricata rete di tombe sotterranee venne utilizzata anche fino a molti secoli dopo la sua costruzione. A poca distanza si trova anche una Domus romana, che vanta anche un museo dove sono esposti moltissimi reperti archeologici e mosaici di grande bellezza e raffinata fattura.
Museo Wignacourt
Il Museo Wignacourt di Rabat è un’importante istituzione culturale e storica di Malta. Prende il nome dal Gran Maestro dei Cavalieri di Malta Alof de Wignacourt, che fu anche mecenate di Caravaggio che ne eseguì il ritratto, esposto al Louvre di Parigi.
L’importanza del Museo non è tanto legata alla bellezza della sua architettura e alle testimonianze in esso conservate, seppure di notevole interesse, quanto piuttosto alla “Grotta di San Paolo” che si trova nei suoi sotterranei; il luogo in cui egli trovò rifugio per circa tre mesi dopo il naufragio, e dove istituì il primo insediamento cristiano dell’Occidente.
Scogliere di Dingli
A cinque chilometri da Mdina e Rabat, si trova il piccolo paese di Dingli. Da qui partono diverse escursioni lungo le Dingli Cliffs, le scogliere a picco sul mare che offrono sentieri panoramici davvero incredibili: uno spettacolo naturale tra i più esclusivi di Malta.

Blue Grotto
Sempre sulla costa sud dell’isola di Malta, un po’ più giù rispetto a Dingli, si trova l’attrazione (forse) più famosa: la Blue Grotto. Si tratta di una grotta naturale scavata dentro una scogliera che ricorda la Grotta Azzurra di Capri, da cui il nome.

Gozo
Anche la seconda isola più grande dell’arcipelago maltese offre esperienze senza pari. Abbiamo raggiunto questa isola in traghetto, partendo da La Valletta e costeggiando tutta la parte occidentale dell’arcipelago; un percorso di navigazione che consente di poter ammirare le varie baie ed insenature naturali esistenti, tra cui la baia ed il relativo isolotto di San Paolo dove il Santo avrebbe subito il naufragio, nel mentre si recava a Roma (2), e l’isola di Comino. L’escursione dell’intera isola, della durata di tre ore, con diverse soste nelle località più significative, l’abbiamo invece fatta con bus scoperto a due piani, seduti nella parte superiore, supportanti da cuffie auricolari attraverso le quali ci sono stati forniti interessanti ed eloquenti elementi di conoscenza del territorio e dalla sua storia.
Si trovano qui attrazioni naturali spettacolari, così come attività culturali interessanti; l’isola infatti gode di un patrimonio monumentale rilevante:

Victoria
Il punto forte del capoluogo di Gozo è la sua cittadella fortificata che sormonta la città. Raggiunta la cima, è possibile ammirare il paesaggio dall’alto delle mura fortificate. La città dona ai visitatori anche piccoli gioielli di arte barocca che sono le sue chiese. Ce ne sono moltissime a Gozo, ma soprattutto dentro Victoria, che i residenti chiamano ancora Rabat (da non confondere con la Rabat attigua a Mdina), il suo nome originario. Interessanti gli stretti e iconici vicoli di Victoria, che solo la perizia degli autisti consente ai bus turisti a due piani di attraversarli.

Templi di Ggantija
Si tratta dei resti di uno dei più antichi complessi religiosi al mondo, anche più remoto del loro cugino inglese, Stonehenge. Il complesso è formato da due templi adiacenti circondati da mura rotonde. Ciò che impressiona è la grandezza di alcuni blocchi di pietra, che arrivano a pesare diverse tonnellate. È per questo che il sito è stato denominato “tempio dei giganti”, in maltese appunto ggantija.

Xlendi
Interessante il villaggio di pescatori di Xlendi con la sua splendida baia. Gozo è piena di spiagge singolari per godersi un relax rinfrescante, ma questa caletta ha davvero qualcosa di speciale. Un tempo era riservata solo alle donne (!), mentre oggi è diventata meta di villeggiatura molto ambita. Immergersi nel mare cristallino e ammirare il paesaggio circostante, è qualcosa di esclusivo.
Fungus Rock
La Fungus Rock si erge dal mare (come un fungo) all’interno di Dwerja Bay, una baia che dona una vista spettacolare sul mare che circonda Gozo. La location, in particolare, è stata variamente utilizzata come set cinematografico per girare svariati film.

Comino, Laguna Blu
Per nuotare, fare snorkeling e immersioni ed ammirare la trasparenza dell’acqua che permette di vedere una varietà di specie marine, rendendo queste attività particolarmente piacevoli, è suggestiva un’escursione in barca all’isola di Comino e alla sua Laguna blu, una piscina naturale molto ampia dal fondale cristallino, che rappresenta la “mecca” dei turisti che di Malta sognano soprattutto il mare.
Ma, con essa, l’arcipelago di Malta offre anche infinite altre località balneari ove trascorrere spensierate vacanze in spiaggia, già dalla primavera e fino all’autunno avanzato.
In conclusione, un viaggio davvero interessante: per quanto piccola, Malta vanta un numero incalcolabile di attrazioni naturali e culturali, difficili tuttavia da esplorare in un unico approccio.
E si riprende così la via di casa mettendo in conto di poter fare ritorno sull’isola per meglio gustarne la bellezza.
(1) La storia di Malta è una delle più antiche del mondo, con insediamenti umani sull’isola che risalgono a oltre 5.000 anni fa. L’isola è stata abitata da diverse culture nel corso dei millenni, tra cui gli abitanti di Atlantide, i Fenici, i Romani, i Cavalieri di San Giovanni, Napoleone e l’Impero Britannico. Malta è famosa per i suoi templi megalitici risalenti all’era neolitica.
(2) Gli Atti degli Apostoli raccontano di come san Paolo, durante il viaggio che da Creta lo portava a Roma, naufragò all’isola di “Melite”, probabilmente in quella che oggi è denominata baia di San Paolo, nel 60 d.C. Dal 17 al 18 aprile 2010 si è recato in visita apostolica a Malta papa Benedetto XVI, il quale ha celebrato la Santa Messa a Floriana nel Piazzale dei Granai, in occasione del 1950º anniversario del naufragio di San Paolo. Il suo successore Papa Francesco ha visitato nuovamente l’isola nell’aprile 2022.
Habemus papam!

Lorenzo Bove
Habemus papam!
Qualche ora fa i Cardinali riuniti in Conclave nella Cappella Sistina hanno eletto, al quarto scrutinio, il nuovo Papa.
Il nuovo Pontefice e Vescovo di Roma è Robert Francis Prevost, che si è dato il nome di Papa Leone XIV.
Si tratta del primo Papa statunitense nella storia della Chiesa: dall’Illinois al soglio pontificio.
La fumata bianca, alle 18:08 di oggi giovedi 8 maggio 2025, ha annunciato al mondo che la Chiesa cattolica ha un nuovo pontefice: Papa Leone XIV. La sua elezione segna un momento storico per la Chiesa, non solo per la provenienza geografica, ma anche per il significato simbolico e pastorale del suo percorso.
Nato il 14 settembre 1955 a Chicago, da padre di origini francesi e italiane e madre di origini spagnole, Robert Francis Prevost ha vissuto fin da giovane un contesto multiculturale. Dopo la laurea in matematica alla Villanova University, entra nell’Ordine di Sant’Agostino, emettendo i voti solenni nel 1981. Prosegue i suoi studi teologici a Chicago, mostrando fin da subito una vocazione improntata sull’equilibrio tra studio e spiritualità.
Papa Leone XIV è il primo nordamericano della storia, il 267° della Chiesa cattolica, e il quattordicesimo a prendere il nome di Leone; ha 69 anni e succede a Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco.
“Arrivi una pace disarmata e disarmante”, ha dichiarato dal balcone centrale della basilica di San Pietro, lanciando un appello a “costruire ponti” e ha ringraziato il suo predecessore.
A lungo ha lavorato in Perù ed è dunque un profondo conoscitore dell’America Latina. Nominato da Papa Francesco prefetto dello strategico Dicastero per i vescovi, è da tempo una voce molto influente in Vaticano. Proveniente dall’Ordine di Sant’Agostino, ha sostenuto le riforme del pontefice argentino durante il suo papato, in particolare quelle riguardanti i cambiamenti dell’architettura istituzionale interna.
Negli ultimi tempi si è anche esposto con parole critiche nei confronti di alcune scelte politiche della nuova amministrazione statunitense guidata da Donald Trump, in particolare per quanto riguarda i diritti dei migranti.

Oggi, Primo Maggio 2025

Lorenzo Bove
Oggi, Primo Maggio 2025
Il Primo Maggio di ogni anno è la Festa dei Lavoratori, un momento di grande mobilitazione e riflessione in tutta Italia.
Sindacati, lavoratori e cittadini si riuniscono nelle piazze per chiedere tutele più forti, giustizia sociale e sicurezza sul posto di lavoro.
Le manifestazioni si articolano in cortei che attraversano le principali città italiane, con il culmine del tradizionale Concertone a Roma, dove artisti di fama nazionale si esibiscono in una maratona musicale che unisce cultura e impegno.
La storia del Primo Maggio risale alla fine del XIX secolo, con le sue origini legate alla lotta per la giornata lavorativa di otto ore.
L’idea di celebrare questa giornata nacque in Francia il 20 luglio 1889, quando alcuni partiti proclamarono una grande manifestazione per ridurre la giornata lavorativa.
La festa è diventata un simbolo delle battaglie dei lavoratori, in particolare negli Stati Uniti, dove si svolsero eventi significativi a Chicago durante l’epoca d’oro.
Oggi, il Primo Maggio è riconosciuto in tutto il mondo e celebrato con parate e manifestazioni per ricordare le conquiste dei diritti dei lavoratori.

Foto di repertorio da Internet
Paisà, il film di Rossellini del 1946: qualche riflessione!

Lorenzo Bove
Paisà, il film di Rossellini del 1946: qualche riflessione!
Mi è capitato, la scorsa domenica, di rivedere in televisione Paisà, un vecchio film a episodi del 1946 diretto da Roberto Rossellini; seconda pellicola della Trilogia della guerra antifascista [Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (1948)], che è considerata una delle vette del cinema neorealista italiano.
Realizzata con attori prevalentemente non professionisti, rievoca l’avanzata delle truppe anglo americane alleate dalla Sicilia al Nord Italia, attraverso sei episodi: Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Appennino Emiliano, Porto Tolle.
Il film fu girato nel 1946 ma concepito già nel 1945, poco dopo la liberazione dell’Italia dalle truppe tedesche e dal nazifascismo; del 1995 è invece la versione restaurata.
Paisà è stato candidato ai Premi Oscar 1950 per la migliore sceneggiatura originale ed è stato inserito nella lista dei 100 migliori film da salvare; lista nata con lo scopo di segnalare “100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978”.
Alla sceneggiatura contribuirono Sergio Amidei e Federico Fellini, che del film era anche aiuto regista, mentre assistente alla regia e autrice dei dialoghi in inglese fu Annalena Limentani.
Come scriveva Mario Oreste Verdone [critico cinematografico e saggista italiano, oltre che padre dell’attore Carlo Verdone], nella Storia del cinema italiano, Newton Compton, 1995: ”Paisà include le pagine più toccanti che ci abbia dato il cinema italiano del dopoguerra. Ne nasce un senso di disperazione profonda, un canto funebre acuto e commovente nel quadro tragico della guerra vissuta, da una città all’altra, tra gli stenti, i pericoli, le miserie, le angosce, gli eroismi, le morti più assurde”.
Personalmente, devo ammettere che ogni volta che rivedo vecchi film del genere, scopro qualcosa di nuovo e di interessante che mi stimola alla riflessione.
In questa occasione, la mia attenzione si è soffermata particolarmente sul 5° episodio “Appennino Emiliano”, per il quale risulta che fu fondamentale l’apporto di Fellini che modificò notevolmente la sceneggiatura originale di Amidei.
La scena si svolge in un convento francescano dell’Appennino tosco-emiliano, dove giungono tre cappellani militari americani, uno cattolico, uno protestante e uno ebreo in cerca di ospitalità per la notte. Al momento della loro comparsa sulla scena, non si capisce subito la differente appartenenza religiosa dei cappellani militari, ma un occhio attento potrà notare che sull’elmetto di uno dei tre non c’è la croce. Poco dopo, si vede uno dei cappellani che nella sua cella recita in ebraico la preghiera serale in piedi (e chi conosce il loro modo di pregare, comprende subito che si tratta di un ebreo; fra l’altro, pare che l’attore che impersona il personaggio fosse realmente un assistente del rabbino militare al seguito delle truppe alleate). Quando i frati si accorgono che solo il cappellano cattolico si fa il segno della croce durante una preghiera rivolta a Maria, chiedono spiegazioni e il cappellano cattolico rivela loro l’identità religiosa dei suoi due colleghi, con cui peraltro è in ottimi rapporti di amicizia per il comune destino durante i lunghi mesi della campagna militare in Italia. La reazione dei frati è di sconcerto, in particolare a causa della presenza dell’ebreo. Uno dei frati inizia a correre per le scale comunicando a ogni confratello che incontra: “Uno dei cappellani è ebreo”. Di frate in frate, la notizia si diffonde in tutto il convento. Il padre superiore chiede al cappellano militare cattolico se ha mai provato a condurre i suoi due colleghi sulla “via della vera religione”. Il cappellano risponde: “Ma il protestante e l’ebreo sono altrettanto convinti di essere sulla strada della verità; non ho mai discusso con loro perché non ho mai pensato di poterli criticare”. Il padre superiore decide comunque di fare un tentativo per “salvare quelle due anime che potrebbero perdersi”. Quando all’ora di cena tutti si recano nel refettorio e si serve il cibo ai tre cappellani militari, nessuno dei frati mangia con loro. Il cappellano cattolico, stupito, chiede ragguagli al riguardo e la risposta del padre superiore è: “Noi digiuniamo perché la Divina Provvidenza ha inviato in questo nostro asilo due anime sulle quali dovrà discendere la luce evangelica. La nostra umana presunzione ci fa sperare che con questo umilissimo fioretto possiamo ottenere dal cielo un gran dono”.
É del tutto evidente che Amidei, Fellini e Rossellini abbiano voluto, nella loro finzione cinematografica, “esasperare” in qualche modo il comune pensiero dei “cattolici” vigente all’epoca dei fatti narrati, forse anche per rimarcarne la portata e metterla particolarmente in luce, rispetto al fatto che – al contrario e con buona pace di tutti – molti ebrei italiani furono invece salvati proprio nei conventi di tutta Italia durante gli anni dell’occupazione tedesca.
Verrebbe spontaneo immaginare che se nel caso di Paisà si tenta di convertire addirittura dei cappellani militari americani, tanto più si può immaginare che si cercò di farlo con uomini, donne e bambini italiani spesso indifesi psicologicamente e culturalmente. Tuttavia, non è dato sapere quanti di questi tentativi ebbero poi successo.
Sarebbe interessante sapere se un’indagine in tal senso sia mai stata effettuata e, in caso negativo, cercare di attingere maggiori informazioni in proposito. E, credo, che anche questa riflessione sia importante nell’ambito della ricostruzione storica di quegli anni e del dialogo interreligioso attuale.
E’ noto che i rapporti tra ebrei e la Chiesa cattolica sono sempre stati storicamente complessi ed attraversati da periodi di persecuzione e antisemitismo, ma anche da tentativi di dialogo e riconciliazione.
Il Concilio Vaticano II, con la dichiarazione “Nostra Aetate”, ha segnato un punto di svolta, riconoscendo il legame storico e teologico tra ebraismo e cristianesimo e condannando l’antisemitismo.
Oggi, la Chiesa cattolica si impegna nel dialogo con l’ebraismo, promuovendo la comprensione reciproca e la collaborazione per la pace e la giustizia.
Anche Papa Francesco ha incoraggiato chi, in questi tempi di grandi sofferenze e tensioni, è impegnato per il dialogo e la pace tra le religioni. Lo ha fatto, in particolare, pure ultimamente, in uno dei suoi interventi pubblici, prima della sua morte avvenuta il 21 del corrente mese di aprile 2025, ricordando due anniversari importanti nel cammino del dialogo tra le fedi:
“Il 22 ottobre ricorre il 50° anniversario della creazione, da parte di San Paolo VI, della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo e il 28 ottobre si entra nel 60° anniversario della Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Ecumenico Vaticano II, promulgata, sempre da Papa Montini, il 28 ottobre 1965. Soprattutto in questi tempi di grandi sofferenze e tensioni, incoraggio quanti sono impegnati a livello locale per il dialogo e per la pace”.

con i frati italiani
25 aprile, festa della Liberazione!

25 aprile, festa della Liberazione!
Oggi, 25 aprile, ricorre in Italia l’ottantesimo anniversario della Liberazione.
L’anniversario della liberazione d’Italia, noto anche come festa della Liberazione (o semplicemente il 25 aprile), è una festa nazionale della Repubblica Italiana, che si celebra ogni 25 aprile per commemorare la liberazione dell’Italia dall’ occupazione nazista e dal fascismo, a coronamento della resistenza italiana. È un giorno fondamentale per la storia d’Italia, come simbolo della lotta condotta dai partigiani e dall’esercito a partire dall’8 settembre 1943 (giorno in cui gli Italiani seppero dell’armistizio di Cassibile, appena firmato con gli Alleati, anglo-americani).
In verità, non si è trattato di un armistizio bensì di una “resa incondizionata”, come risulta dagli atti formali sottoscritti a Cassibile (una frazione di Siracusa).
Molti giovani, ma non soltanto loro, fanno confusione tra le due date, ed anche sui fatti e sugli eventi avvenuti si accavallano narrazioni di svariato genere che finiscono con lo stravolgere completamente la storia, quella vera, quella tragica storia che racconta di una “guerra civile” avvenuta in Italia in quel periodo, in cui gli italiani combatterono (e si ammazzarono) tra di loro, spinti da opposte posizioni politiche, gli uni contro gli altri armati.
Benito Mussolini, quindi il Fascismo, aveva stretto con Adolf Hitler, quindi con il Nazismo, il cosiddetto Patto d’Acciaio (in tedesco: Stahlpakt), formalmente noto come Patto di amicizia e di alleanza fra l’Italia e la Germania (in tedesco: Freundschafts und Bündnispakt zwischen Deutschland und Italien); un accordo tra i governi del Regno d’Italia e della Germania nazista, firmato il 22 maggio 1939.
E furono tanti i militari italiani che immolarono la loro vita in guerre ed occupazioni naziste sotto l’egida del Führer, che aveva come obiettivo l’espansione territoriale della Germania e la creazione del “Terzo Reich” che dominasse l’Europa e il mondo. L’ideologia nazista, fondata sul razzismo e il nazionalismo aggressivo, giustificava l’uso della forza per raggiungere questi scopi.
E Mussolini, in cuor suo, immaginava di potersi alla fine sedere al “tavolo dei vincitori” per accaparrarsi qualche pezzo di territorio conquistato.
Allo sbarco delle forze anglo-americane in Europa, alle quali si erano nel frattempo aggregate anche altre nazioni, tra cui la Russia, l’Italia cominciò ad essere duramente bersagliata (le città maggiormente colpite furono Torino, Milano e Genova, “il triangolo industriale”, ma anche tanti altri obiettivi strategici, come Montecassino, Foggia, ecc.), fintanto che – messa con le spalle al muro – fu costretta di “arrendersi”, voltando di fatto le spalle all’alleato tedesco e mettersi sotto la protezione dei “nuovi alleati”.
Tutto ciò creò due ordini di problemi: il primo riguardò le inevitabili ritorsioni tedesche contro gli italiani ed il secondo provocò l’inizio di una vera e propria guerra civile tra gli italiani (filo americani e filo russi) e quelli cosiddetti “repubblichini” (pro Repubblica di Salò – e dunque filo tedeschi – costituitasi a seguito della liberazione per mano tedesca di Benito Mussolini, arrestato, per ordine del Re d’Italia, dopo la sua destituzione da parte del Gran Consiglio, con la nomina del generale Pietro Badoglio come nuovo capo del Governo, in sua vece).
Nel mentre vari movimenti partigiani operavano alla macchia, mettendo a repentaglio le loro vite per liberare l’Italia dal nazi-fascismo, collaborando a spianare così la strada alle nuove forze alleate.
E il nazi-fascismo venne dunque sconfitto, anche grazie a queste formazioni, di diversa natura ed estrazione, ma unite dal medesimo obiettivo di libertà.
Terminò pure la guerra civile, anche se qualche strascico si è protratto nel tempo, trasformandosi nondimeno da lotta armata a lotta verbale in cui ciascuno rivendica ancora l’atavico posizionamento di appartenenza.
Ecco, oggi, 25 aprile, è la festa della Liberazione, la festa di tutti noi italiani!
Dopo ottant’anni, sarebbe ora di stendere un velo pietoso sui torti e le ragioni di ciascuna delle “posizioni”, stringersi la mano, abbracciarsi fraternamente ed evitare sterili ed inutili polemiche.
Viva l’Italia, viva la Libertà.

Papa Francesco è tornato alla casa del Padre!

Papa Francesco è tornato alla casa del Padre!
Papa Francesco si è spento oggi alle 7:35. L’annuncio, di poche righe, è arrivato tramite un bollettino della sala stampa della Santa Sede.
Con la morte di Papa Francesco, la Chiesa Cattolica entra in una fase di transizione.
È nota come Sede Vacante, il periodo in cui il trono di San Pietro resta in attesa dell’elezione di un nuovo Pontefice.
Questo momento è regolato da precise norme e tradizioni, stabilite dalla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis promulgata da Giovanni Paolo II nel 1996 e aggiornate da Benedetto XVI.
Il 266esimo Papa della Chiesa cattolica, al secolo Jorge Mario Bergoglio, aveva 88 anni ed era nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, in Argentina, da genitori provenienti dall’Italia.
Dopo essersi diplomato come tecnico chimico, scelse la strada del sacerdozio e, nel 1958, entrò nella Compagnia di Gesù. Nel 1963 si laureò in filosofia al collegio San Giuseppe a San Miguel, in Argentina, e mentre insegnava letteratura e psicologia in un collegio di Buenos Aires si laureò anche in Teologia. L’ordinazione a sacerdote arrivò nel 1969, poi venne nominato vescovo di Auca da Giovanni Paolo II. Nel 1998 diventò arcivescovo di Buenos Aires e il 21 febbraio 2001 Giovanni Paolo II lo creò cardinale. Dopo la rinuncia di Papa Benedetto XVI, nel marzo del 2013, Jorge Mario Bergoglio partecipò al conclave nel quale, dopo cinque scrutini, venne eletto Sommo Pontefice.
Bergoglio è stato il primo gesuita a diventare Papa e il primo Pontefice proveniente dal continente americano. La scelta del nome di Francesco, da Pontefice, è legata alla speranza di seguire le orme del santo di Assisi
La morte del Santo Padre è stata annunciata dal cardinale Kevin Farrell con queste parole: “Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l’anima di Papa Francesco all’infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino”.
Ogni morte di papa.
L’espressione “ogni morte di papa” significa che un evento si verifica molto raramente o a intervalli molto lunghi. Questa frase deriva dal fatto che la morte di un papa è considerata un evento eccezionale e poco frequente nella storia, dato che i pontificati tendono a durare a lungo. In sostanza, si usa per indicare qualcosa che accade sporadicamente.
Personalmente, ho avuto la fortuna di conoscere ben sette Papi – il cui elenco viene qui sotto riportato con la durata di ciascun pontificato – e mi accingo ad assistere ora all’elezione dell’ottavo.
Pio XII: 19 anni, dal 2 marzo 1939 al 9 ottobre 1958;
Giovanni XXIII: 4 anni e sette mesi, dal 28 ottobre 1958 al 3 giugno 1963;
Paolo VI: 15 anni, dal 21 giugno 1963 al 6 agosto 1978;
Giovanni Paolo I: 33 giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978;
Giovanni Paolo II: 26 anni e cinque mesi, dal 16 ottobre 1978 al 2 aprile 2005;
Benedetto XVI: 7 anni e 10 mesi, dal 19 aprile 2005 al 28 febbraio 2013;
Francesco: 12 anni e un mese, dal 13 marzo 2013 al 21 aprile 2025.
Addio a Papa Francesco, il Pontefice “venuto dalla fine del mondo”, come egli stesso disse il giorno della sua elezione affacciandosi in piazza san Pietro a Roma per salutare la folla di fedeli osannanti.

Piove, governo ladro!

“Piove, governo ladro” è un modo di dire che rappresenta il governo come fautore di ogni male possibile, capace anche di far piovere in una giornata d’estate.
L’espressione “Piove, governo ladro” ha origini storiche che risalgono al Regno Lombardo-Veneto durante l’occupazione austriaca, dove i contadini si lamentavano delle tasse elevate sui raccolti. La frase è stata documentata per la prima volta nel 1861 in una vignetta del caricaturista Casimiro Teja e potrebbe avere radici satiriche risalenti al Medioevo o all’antica Roma. Essa riflette il malcontento della popolazione nei confronti del governo, specialmente in relazione a tasse come quella sul sale, nota come “gabelle”. In sintesi, il detto esprime una critica alla gestione pubblica quando le cose vanno male, evidenziando la tendenza a dare la colpa al governo per le difficoltà quotidiane. (Cfr. Wikipedia)
Ma non è di questo che intendo parlare.
Piove, diluvia di nuovo su buona parte della nostra bella Italia e la Pasqua 2025 si annuncia ancora una volta bagnata, ma soprattutto accompagnata da notevoli disagi per chi deve viaggiare, approfittando dei favorevoli ponti con le festività del 25 aprile e del primo maggio.
Ponti (riferiti ai manufatti che servono per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno) divelti dalla furia dell’acqua dei fiumi, allagamenti, frane e quant’altro di più catastrofico ci si possa aspettare.
E ci risiamo, com’è giusto che sia, con gli interventi alle popolazioni colpite e con gli interventi di messa in sicurezza delle infrastrutture e, laddove necessario con gli interventi di ripristino.
E questo fa il paio con i terremoti che non di meno fanno da corollario al nostro territorio di natura piuttosto ballerino.
Quanto spendiamo ogni anno e quanto abbiamo speso negli anni per queste situazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono caratterizzate dalla ripetitività, sia in termini di casistiche e sia riguardo alle specifiche localizzazioni?
Sicuramente abbiamo speso tanti bei soldini dei contribuenti, limitandoci però a mettere pezze e pannicelli caldi sulle ferite, anziché progettare e realizzare le necessarie ed adeguate opere atte a prevenire o per lo meno mitigare i suddetti nefasti fenomeni.
Gli investimenti (costi), quelli giusti, hanno peraltro un ritorno (benefici) per quanto attiene alla sicurezza delle popolazioni frequentemente colpite, oltre che per le economie che ne conseguono rispetto agli attuali interventi ripetitivi, non più necessari (salvo casi eccezionali).
E tali investimenti, programmabili per periodi temporali medio lunghi, comporterebbero un considerevole impiego di manodopera, dalla progettazione all’esecuzione delle opere (ingegneri, geometri, periti, avvocati, commercialisti, ragionieri, tecnici, muratori, carpentieri, fabbri, idraulici, manovratori di attrezzature meccaniche e tanti, tanti altri), con utilizzo di ferro, cemento, laterizi, e materiali più svariati, riattivando così diversi comparti ed indotti produttivi, al momento in crisi.
E il PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) poteva e doveva rappresentare l’occasione propizia e favorevole per dare una raddrizzata al territorio italiano così fragile nella sua intrinseca “ossatura”.
Invece no, abbiamo preferito – fatte le debite eccezioni per le infrastrutture stradali e soprattutto ferroviarie, per le quali già da qualche anno c’è stata una certa inversione di tendenza: Autostrade e Linee ad Alta Velocità) – spendere il denaro per cose futili e di interesse elettorale.
O forse c’è uno specifico interesse a mantenere lo status quo, confidando nella cattiva sorte (alluvioni, frane, smottamenti e terremoti) per dispensare agli amici degli amici, con affidamenti diretti, dettati dai consueti motivi di indifferibilità ed urgenza, ogni genere di appalti e commesse, in barba all’indizione di gare formali per le progettazioni (fattibilità, definitive ed esecutive) e l’esecuzione dei lavori?
Al mio paese, si narra che tanti, tanti anni fa c’era un tizio che, accortosi di una perdita di acqua piovana dal soffitto della propria abitazione, chiamò un muratore per la riparazione del tetto, coperto con coppi in cotto (una tipologia di tegole).
Il muratore eseguì la riparazione per la quale venne ricompensato con una coppia di caciocavalli*.
Dopo qualche tempo, alla prima pioggia, la perdita ricomparve e venne nuovamente chiamato il muratore che eseguì la riparazione e venne ricompensato ancora con una coppia di caciocavalli.
E così, per anni: pioggia, infiltrazione, riparazione, caciocavalli!
Il muratore aveva un figlio, ormai divenuto grandicello, che cominciava a seguire il padre per apprendere il mestiere; e un giorno lo accompagnò sul solito tetto per la consueta riparazione, scoprendo all’istante che uno dei coppi della copertura era vistosamente bucato. “Padre” – esclamò – “Ho individuato il motivo dell’infiltrazione, c’è un coppo bucato da sostituire con un nuovo coppo integro”. E il padre, con voce pacata e tono suadente, gli rispose: “Figlio mio, evidentemente tu non vuoi più mangiare caciocavalli”.
A mio modesto parere, i detti, i proverbi, i modi di dire rappresentano la quintessenza della saggezza popolare ed in essi risiede la filosofia della vita stessa degli esseri umani.

*Il caciocavallo è un formaggio tipico del Mezzogiorno d’Italia (Regno di Napoli in particolare) e, secondo alcune fonti, trae la sua origine dall’uso di appendere ad asciugare i formaggi, legati in coppia, a cavallo di una trave.