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Mag

Ei fu … Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza

Oggi 5 maggio 2021 ricorrono i duecento anni  della morte di Napoleone Bonaparte.

Sono i versi di Alessandro Manzoni a rendere indimenticabile la data del 5 maggio 1821, giorno della scomparsa del condottiero e uomo politico Napoleone Bonaparte, figura controversa: eroe o tiranno, sprezzante o appassionato, artefice del proprio destino o fautore di storia. Su Napoleone Bonaparte non è mai stato formulato un giudizio univoco e definitivo.

Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attònita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Né sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.

Così inizia l’ode che Manzoni ha dedicato a Napoleone, Il cinque maggio, senza alcuna pretesa di glorificare la sua figura, né di muovere a pietà il lettore per il suo trapasso, bensì illustrare il ruolo salvifico della Grazia divina, offrendo al contempo uno spaccato esistenziale della vita dell’ex imperatore: le battaglie, le imprese ma anche la fragilità umana e la misericordia di Dio.

Ma oggigiorno la figura di Napoleone Bonaparte è messa in discussione: un bicentenario non proprio in sintonia con la storia e con il mito che egli ha rappresentato.

La Francia si è preparata per tempo a commemorare il bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte e la sua tomba, situata all’interno del Dôme des Invalides a Parigi, è stata opportunamente restaurata. Ma l’idea di celebrare uno dei personaggi più famosi della storia non piace a tutti. Come per altre figure storiche recentemente criticate e rimosse dai loro piedistalli in varie parti del modo (clamorose le ultime prese di posizione nei riguardi di Cristoforo Colombo additato di schiavismo, razzismo e genocidio), alcune delle sue azioni sono controverse.

E’ molto di moda di questi tempi rimettere in discussione il nostro passato e soprattutto i personaggi che ne hanno caratterizzato il destino. Avviene dappertutto, senza eccezioni di sorta. Forse esageratamente.

E come tutte le mode, l’immaginario collettivo è pronto a seguirle in fretta senza soffermarsi un attimo sui tempi, le circostanze, il livello culturale delle epoche cui i fatti si riferiscono.

Si finisce così per fare di tutta l’erba un fascio frammischiando il sacro con il profano, fino a sostenere che lo stesso Iddio Nostro Signore fosse violento, razzista, guerrafondaio, maschilista od altro, con espresso riferimento a quanto riportato nelle Sacre Scritture.

Un vecchio sacerdote della mia parrocchia iniziava sempre le sue prediche contestualizzando i fatti nelle epoche in cui si erano verificati, senza voler giustificare nessuno, ma solo per far capire che  le condizioni, le circostanze, le occasioni e le situazioni  erano  lontane anni luce da quelle nelle quali oggi noi viviamo. E solo immergendoci per un instante in quel contesto potevamo comprendere la sostanza e i significati degli avvenimenti e dei fenomeni accaduti. 

Pensiamo solo che ancora nella seconda metà del secolo scorso (fino al 1975) sussisteva la potestà maritale (l’uomo assumeva in una famiglia oltre alla patria potestà, anche un ruolo predominante rispetto a quello della moglie e quindi l’uomo aveva il diritto di impartire ordini e divieti alla moglie), così come c’era ancora  il delitto d’onore e il cosiddetto matrimonio riparatore a seguito di ratto per fine di libidine o violenza carnale, aboliti solamente  il 5 agosto 1981 con la legge 442.

E, dunque, di cosa stiamo parlando!

La critica forse più feroce nei confronti delle commemorazioni  di Napoleone viene dagli Stati Uniti. In un articolo pubblicato sul New York Times, una professoressa universitaria americana di origine haitiana sostiene che “Napoleone non è un eroe da celebrare”. Marlene L. Daut, questo il suo nome, descrive Napoleone come “il più grande tiranno di Francia”, un “architetto dei genocidi moderni”, “un guerrafondaio razzista e genocida” e una “icona della supremazia bianca”. Gli rimprovera in particolare di aver ristabilito la schiavitù nelle Antille francesi.

Anche in Francia si è discusso molto sull’opportunità di commemorare questo bicentenario. Diverse associazioni e personalità politiche hanno contestato il fatto che si celebri un personaggio storico percepito come dispotico, misogino e sanguinario.

Come si vede, i grandi personaggi e i grandi eventi sono tutti rimessi in discussione; è qualcosa di ricorrente in questo periodo. Passeremo presto dal politicamente corretto allo storicamente corretto.

Ma, se vogliamo, anche Manzoni nella sua ode lasciò un giudizio sospeso su Napoleone:

Fu vera gloria? Ai posteri

L’ardua sentenza: nui

Chiniam la fronte al Massimo

Fattor, che volle in lui

Del creator suo spirito

Più vasta orma stampar.

Tuttavia questi versi rappresentano un’interrogativa retorica, nel senso che al Manzoni cattolico non interessavano le glorie terrene di Napoleone, bensì le sue vittorie spirituali, che riconosceva essere l’unico mezzo per raggiungere una gloria vera e autentica: convertendosi prima di morire, infatti, il condottiero corso (originario della Corsica) ha dato una ulteriore prova della grandezza di Dio, che si è servito di lui per imprimere sulla Terra un sigillo più forte della sua potenza creatrice.

Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio (Corsica) nel 1769  e morto a Sant’Elena, un’isoletta nell’Atlantico meridionale, il 5 maggio 1821, fu un genio militare salito al trono imperiale.

Nella storia del mondo occidentale la figura di Napoleone Bonaparte, imperatore dei Francesi e re d’Italia, è paragonabile solo a quella di Giulio Cesare. Come questi, Napoleone fu un genio militare senza pari e un grande e illuminato legislatore in un momento di trapasso da un’epoca storica a un’altra profondamente segnata dagli sconvolgimenti della Rivoluzione francese. Ma Napoleone fu anche l’artefice, nell’Europa continentale, tra Settecento e Ottocento, della definitiva trasformazione della società di antico regime in società borghese.

In Italia, Napoleone Bonaparte fece il suo ingresso per la prima volta nel 1796, quando comandò un’armata incaricata di effettuare un attacco diversivo nella penisola durante una guerra di conquista del territorio tedesco e austriaco, guidata da Lazare Carnot, membro del Comitato di Salute Pubblica che all’epoca governava la Francia. Nonostante l’esercito fosse poco numeroso e male equipaggiato, l’armata napoleonica fu l’unica ad ottenere risultati, grazie all’abilità militare e strategica del suo condottiero.

Egli sconfisse prima i piemontesi, poi gli austriaci a Lodi aprendosi l’ingresso a Milano. Successivamente fu la volta di Venezia, Genova, le legazioni pontificie e parte della Toscana. Stabilì l’assetto italiano firmando il 18 ottobre 1797 con gli austriaci il trattato di Campoformio.

In Italia furono varate importanti riforme, che modernizzarono la società lasciando un segno che dopo la caduta di Napoleone non si cancellò. Venne razionalizzata la pubblica amministrazione e rinnovata l’economia, con la promozione del capitalismo nel nord, la concentrazione della proprietà e l’ampliamento del ceto borghese di funzionari amministrativi e statali. Un taglio netto con l’antico regime venne soprattutto inflitto dai Codici francesi (cosiddetti codici napoleonici), sui quali si basano anche le leggi odierne, e dalla legge del 2 agosto 1806 che aboliva la feudalità, nonostante essa fosse sparita solo come realtà giuridica. Infatti i baroni diventarono legittimi proprietari dei terreni di cui erano feudatari e mantennero un’ampia gamma di diritti, conservando quindi il loro potere, radicato particolarmente al sud.


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