Author Archives: Lorenzo

30
Mag

Il 26 giugno a Poggio Imperiale la terza edizione del Premio “Spiga d’Oro” 2010

Delio Rossi, allenatore di successo del calcio italiano;

Sergio De Nicola, brillante giornalista di RAI Regione;

Lorenzo Bove, ex Dirigente di Rete Ferroviaria Italiana;

questi i personaggi rispettivamente designati quest’anno in ciascuna delle tre sezioni del Premio, scelti tra una rosa di nominativi che avevano ricevuto la “nomination”.

 

 

 

 

L’Associazione Culturale “Terra Nostra” Onlus di Poggio Imperiale, con il patrocinio del Comune di Poggio Imperiale, dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Foggia, dell’Assessorato alle Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, ripropone anche quest’anno il Premio “Spiga d’oro”, giunto alla sua terza edizione.

Il Premio “Spiga d’oro” consta di tre distinte sezioni:

Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

Premio “Spiga d’Oro Capitanata”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra”

Il Premio Nazionale “SPIGA d’Oro” viene conferito ad un personaggio che, a livello nazionale, si è particolarmente distinto contribuendo a valorizzare e diffondere, in Italia e all’estero, il patrimonio e la cultura del cinema, del teatro, della musica e dello sport.

Il Premio “SPIGA d’ORO CAPITANATA” viene conferito ad un personaggio che, nel campo dello spettacolo in tutte le sue forme, dell’arte, della cultura, del sociale e dello sport si è particolarmente distinto contribuendo in modo significativo e determinante allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico della “Capitanata” (corrispondente alla Provincia di Foggia).

Il Premio “SPIGA d’ARGENTO TERRA NOSTRA” viene conferito ad un personaggio che, nel campo dello spettacolo in tutte le sue forme, dell’arte, della cultura, del sociale e dello sport si è particolarmente distinto contribuendo in modo significativo e determinante allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico di Poggio Imperiale.

Quest’anno:

– Il Premio Nazionale “SPIGA d’Oro” è stato assegnato a Delio Rossi, già calciatore del Foggia, allenatore di successo del calcio italiano, attualmente artefice delle fortune del Palermo in Italia e prossimamente anche nelle competizioni europee;

– Il Premio “SPIGA d’ORO CAPITANATA” è stato assegnato a Sergio De Nicola, brillante giornalista RAI Regione Puglia;

– Il Premio “SPIGA d’ARGENTO TERRA NOSTRA” è stato assegnato al concittadino Lorenzo Bove ex Dirigente di Rete Ferroviaria Italiana in servizio a Milano.

La cerimonia di conferimento dei premi si svolgerà la sera di sabato 26 giugno 2010 in piazza Principe Placido Imperiale  e la serata sarà allietata da importanti ospiti, cantanti, cabarettisti, personaggi del mondo della danza, del teatro ed altro.

La sera precedente di venerdi 25 giugno 2010 la piazza ospiterà una rassegna di prodotti tipici di Puglia con degustazione, con inizio alle ore 19,00 e, poi, a seguire, l’esibizione della Carosone-Band & Micky Sepalone; un omaggio alla canzone napoletana.

Il giorno successivo sarà la volta delle premiazioni a partire dalle 20,00. Saranno ospiti il noto cantante di musica leggera Marco Masini, Alexis Arts, Helga y Andrea e Very Strong Family.

L’evento rappresenterà il preludio delle manifestazioni che, come ogni anno, caratterizzano l’estate “terranovese” (poggioimperialese).

 

Le precedenti edizioni del Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

1ª EDIZIONE – 14 GIUGNO 2008

Premio Nazionale “Spiga d’Oro” – ANNA TATANGELO

Per essersi distinta, nell’ambito della musica leggera italiana, per le sue capacità canore e di comunicazione e per aver contribuito a valorizzare e a diffondere il patrimonio della musica italiana all’estero, conquistando positivi consensi di critica e di pubblico. Per essere, seppur giovanissima, una solida realtà nel vasto panorama musicale italiano, grazie anche alla personale, sentita ed originale interpretazione dei testi delle sue canzoni.

Premio “Spiga d’Oro Capitanata” – ANTONELLA BEVILACQUA

Perché come atleta si è distinta per la tenacia e lo spirito competitivo, la forza di volontà e la passione nell’affrontare le sfide sportive. Per aver superato con determinazione gli ostacoli dovuti agli infortuni, ottenendo prestigiosi risultati nel campo dell’atletica. Per le sue doti umane di sensibilità, lealtà e gentilezza, dimostrate nelle diverse occasioni mediatiche dovute alla sua fama di sportiva.

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra” – FEDERICA BIONDI

Per aver dimostrato, pur giovane, grande coraggio nel lasciare la propria terra d’origine ed inseguire i suoi sogni nel nuoto. Per aver partecipato con notevole entusiasmo e spirito competitivo alle numerose gare, classificandosi ai primi posti in diversi centri italiani. Di detenere con determinazione dei record regionali e nazionali. Per essersi distinta per le doti umane di modestia e tenacia.

2ª EDIZIONE – 27 GIUGNO 2008

Premio Nazionale “Spiga d’Oro” – GUIDO BERTOLASO Direttore del Dipartimento della Protezione Civile

“Coordinatore competente e geniale organizzatore di grandi eventi. Lungimirante e rapido nelle decisioni, perspicace ed efficiente nell’attuare progetti volti alla tutela dell’ambiente ed allo sviluppo del nostro Paese. Sa affrontare le varie problematiche e sa gestire con moderne tecniche ogni tipo di intervento operativo, dimostrando di possedere senso del dovere e grande professionalità. Grazie all’impegno umanitario, alla salvaguardia dei valori di solidarietà e di altruismo, rappresenta una solida realtà nelle emergenze ed un sicuro punto di riferimento della nostra Nazione”.

Premio “Spiga d’Oro Capitanata” – GAETANO GIFUNI Segretario Onorario della Presidenza della Repubblica

“Prestigiosa personalità: autorevole ed integerrimo, ligio al dovere ed al rispetto delle Istituzioni, funzionario vigile ed attento alla salvaguardia dei valori civici del nostro popolo. Segretario prudente e consigliere accorto delle alte cariche dello Stato, ha svolto questo compito con professionalità ed onestà intellettuale. Ha sempre dimostrato di possedere un legame profondo con la sua terra d’origine. Verace sostenitore e tenace promotore dei valori e delle tradizioni culturali della Capitanata.”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra” – ALFONSO D’ALOISO Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri

“Distintosi per le doti umane di determinazione e tenacia, di altruismo, di dedizione alla legalità ed alla salvaguardia dei valori del nostro popolo. Ha dimostrato, da giovane, grande coraggio nel lasciare la propria terra d’origine ed attuare i suoi progetti di vita nella Benemerita. Pur espletando i propri incarichi in diverse città italiane, ha sempre manifestato un profondo legame con la sua Terra nativa, cementando quel rapporto filiale di dedizione alle sue radici.”

 

Dal sito: www.terranostraonlus.eu

Associazione Culturale Terra Nostra Onlus Poggio Imperiale

Lo spirito di gruppo e la valorizzazione della cultura e delle tradizioni popolari, sono stati i motivi fondamentali che hanno spinto un gruppo di amici a costituire l’Associazione Culturale Terra Nostra Onlus, un’associazione apolitica e senza scopi di lucro che pone tra i suoi obiettivi primari quello di svolgere interventi di solidarietà ed assistenza a favore di bambini e famiglie meno abbienti. Inoltre intento dell’Associazione è quello di adoperarsi per la promozione di attività culturali, sportive e ricreative e di tutelare e valorizzare i beni culturali e artistici di Poggio Imperiale e del suo territorio. Terra Nostra Onlus nasce come associazione culturale indipendente e non è legata a nessun gruppo ideologico, politico o religioso. Vediamo perché il premio è denominato “Spiga d’Oro”; facciamo un passo nella storia. La coltivazione del frumento risale ad un’età molto remota. Da alcuni ritrovamenti fossili sembra che qualche tribù dell’Europa preneolitica abbia cominciato la coltivazione del frumento ed è accertato che la cerealicoltura preistorica nelle regioni dell’Europa occidentale si sviluppò nella fase avanzata di transizione fra l’età paleolitica e quella neolitica. Furono gli antichi abitatori della Siria e della Palestina ad iniziare per primi la coltivazione del grano e da qui passò poi in Egitto, dove già si produceva l’orzo. Ben presto però, gli fu preferito il grano perché consentiva una migliore panificazione, la quale assurse a dignità d’arte, al punto di produrre diverse qualità di pane di farina bianca per le classi superiori e di orzo per i più poveri. Si deve agli egiziani il merito di scoprire che, lasciando fermentare l’impasto di farina, si sviluppava gas capace di far lievitare il pane. Anche gli antichi Greci e Romani furono grandi consumatori di pane. Durante il periodo di Roma capitale del mondo il pane è stato l’alimento base per la popolazione. Il primo negozio di pane fu aperto a Roma nel 150 a.C. e ben presto il pane sostituì una polenta fatta con farina di cereali, chiamata “plus”, che era usata in tutta Italia. Dopo la caduta dell’Impero Romano si tornò a fare la fabbricazione casalinga del pane. Un grande interesse per questo alimento si ritrova anche nel Medioevo; infatti i signori feudali imponevano ai propri sudditi di utilizzare, per macinare il grano e per far cuocere il pane, solo i propri mulini ed i propri forni. La nostra regione, la Capitanata, da secoli è considerata per eccellenza il granaio d’Italia; molti ettari del suo territorio, infatti, sono preposti dagli agricoltori alla semina del biondo prodotto. Pertanto, per celebrare i pregi e le qualità del grano, l’Associazione Culturale “TERRA NOSTRA ONLUS” di Poggio Imperiale (FG) ha voluto concedere significativi riconoscimenti denominati:

Premio Nazionale “Spiga d’Oro”

Premio “Spiga d’Oro Capitanata”

Premio “Spiga d’Argento Terra Nostra”

 

“Le spighe d’oro”

Spighe d’oro ondeggiano nel campo.

S’apre in un solco una scia luminosa,

e costruisce ponti d’amicizia

allontanando i muri dei contrasti.

Si cammina felici tra le spighe,

che turgide riportano l’estate.

Tempo d’amore e di baci ardenti,

sorrisi furtivi e battiti di cuore.

Ogni anno si rinnova in questa terra,

un rito sacro, una magia eterna.

La favola del grano si racconta e tutti i bimbi stanno ad ascoltare.

Mentre ci parli della felicità,

nero diventa il cielo e s’incupisce.

Nella vita non puoi scacciar le nubi,

esse fan parte del nostro cammino.

Ma se le affronti e non ti fai intimidire,

il vento le riporta via lontano.

Protagoniste dell’estate sono loro,

le bionde spighe che ondeggiano nel campo.

Felicità completa ed abbondanza piena,

scacciano il sudore e la fatica.

Sui ponti costruiti per l’unione,

s’abbattono i muri della divisione

e intravediamo un nuovo arcobaleno.

da “Sottovoce, Pensieri e versi in libertà” di Antonietta Zangardi

28
Mag

Curiosità … in giro per Torino!

Ho frequentato con maggiore assiduità Torino negli ultimi dieci anni per motivi di lavoro e devo dire che è veramente una gran bella città.

Si tratta di una città romana e medievale … da “Augusta Taurinorum” a “Taurinus”.

Attraverso le vie del “quadrilatero”, è possibile rinvenire ancora numerose e spesso sconosciute tracce della Torino romana e medievale, come la Porta Palatina, la chiesa di San Domenico, il Castello di Palazzo Madama, la Casa del Senato, la Casa del Pingone, gli scavi archeologici sotto il Duomo, i resti di mura e torri romane, case e finestre medievali.

Ma Torino è fatta anche di “portici”.

A spasso, in giro per Torino, scopri di trovarti in una grande città di portici; più di dodici (alcuni dicono anche quindici) chilometri di portici, la più ampia zona pedonale d’Europa, un caso urbanistico, architettonico, estetico e socio-economico unico nel mondo.

L’insieme dei portici di Torino è un sistema articolato di spazi di raccordo tra vita pubblica e privata, in cui il fluire dei pedoni, la sosta nei bar, gli accessi agli edifici, i capannelli dei passanti davanti alle vetrine di negozi e gallerie, sono avvolti dalla scansione geometrica di volte e soffitti decorati, da pareti scandite dai richiami delle insegne commerciali e dai portali dei palazzi, dalla fuga di colonne e arcate filtrate dalla luce mutevole del giorno e della notte.

In paragone, i famosi portici di Bologna – che ho pure frequentato per qualche anno tanti anni fa – risultano diversi, più antichi forse, ma disseminati qua e là, a differenza di quelli di Torino che sono invece ampi, luminosi, eleganti, continui e connessi.

Torino conosce il “portico” sin dal medioevo e il suo primo insediamento è collocabile nei pressi della piazza delle Erbe, ora piazza Palazzo di Città, ove ha attualmente sede il Comune.

La vecchia piazza delle Erbe era praticamente la piazza del mercato e qui la gente si radunava numerosa per trattare affari, compravendite e contrattazioni di ogni genere.

Il luogo era soprannominato dai torinesi “la borsa dij busiard” (la borsa dei bugiardi) e i gli adiacenti portici erano luogo di commercio riparato dalle intemperie.

E, proprio in una delle vetrine di esposizione che fanno oggi da contorno alle colonne dei portici di via Palazzo di città, la via che conduce a Piazza Palazzo di città, che l’occhio mi è caduto non molto tempo fa su alcuni vecchi “tariffari”, probabilmente scovati da qualche buontempone chissà dove, ed ora messi in vendita come “reperti storici”.

Si tratta di “cartelli/tariffari” probabilmente un tempo posti all’esterno delle “case”, all’epoca regolarmente autorizzate, cosiddette di “ tolleranza”.

 

 

Ne riporto integralmente il testo:

1° Cartello

Prezziario della rinomata casa del piacere

(Lo sconto si fa solo ai giovanotti militari)

Appuntamento normale Lire 1,30

Doppio £ 2,50

15 minuti £ 3,05

Mezz’ora £ 4,50

1 ora £ 7

Due ore £ 10

(La casa offre saponetta e asciugamano)

 

 

2° Cartello

Spettanze della stimata casa

Svelta £ 1,10

Doppia £ 2

Minuti 20 £ 3,60

Mezz’ora £ 4,80

Ora piena £ 7,50

Due ore £ 12

Per la toilette non si deve più uscire fuori.

Acqua, sapone e asciugamano si pagano altri 20 centesimi.

 

Storia

La “professione” più vecchia del mondo, se da un lato è stata spesso giudicata riprovevole all’interno dei contesti politici e religiosi, dall’altro tale pratica veniva tollerata nella consapevolezza del ruolo che rivestiva nell’ambito sociale.

In Italia il “Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione” risale al 15 febbraio 1860: una data che segna ufficialmente la nascita delle “case di tolleranza”, così chiamate perché la loro esistenza era “tollerata” dallo Stato.

Esse venivano suddivise dal Regolamento in 3 categorie, per ognuna delle quali era lo Stato a fissare le tariffe: 5 lire per le “case” di lusso, da 2 a 5 lire per quelle di medio livello e 2 lire per quelle “popolari”.

Inoltre veniva stabilito che i tenutari fossero obbligati a pagare le tasse sugli introiti e che per poter aprire una “casa” fosse necessario ottenere apposita licenza.

Nel 1888, poi, al fine di meglio regolamentare la materia, intervenne la “legge Crispi” con la quale si vietò di vendere cibi e bevande, di tenere feste, di cantare e di ballare.

Divenne inoltre obbligatorio (e da qui il nome di “case chiuse”) tenere sempre chiuse le imposte delle finestre, in modo che i passanti non fossero turbati dallo spettacolo dell’interno.

La legge del 1888 fissò altresì modi e tempi dei controlli medici da effettuare sulle “signorine” per evitare la diffusione delle malattie veneree.

Una cinquantina di anni fa, il 20 settembre 1958 per l’esattezza, entrò in vigore la legge Merlin che, approvata sette mesi prima dal Parlamento, decretava l’abolizione delle “case”.

La loro chiusura segnò non solo la fine di un’epoca, ma anche quella di una storia millenaria.

14
Mag

Il mistero della “Sindone” di Torino: ma si tratta di un “reperto autentico?

La “Sindone” è nuovamente visibile dal 10 aprile al 23 maggio 2010, a dieci anni di distanza dall’ultima apertura della “teca” che la contiene nel Duomo di Torino.

Tanti i visitatori, i pellegrini o solamente curiosi giunti da ogni parte del mondo.

Ed è singolare osservare così tanta gente che, in silenzio, avanza pian piano in una lunga fila, anche di qualche ora, per giungere al cospetto del “sacro lino”.

Anch’io ci sono ritornato con mia moglie, per rivedere ancora una volta a distanza di dieci anni, e forse con uno spirito diverso, quel telo che potrebbe veramente aver avvolto il corpo del Cristo morto e deposto dalla Croce oltre duemila anni fa.

Ma si tratta di un “reperto” autentico?

Le perizie eseguite sul tessuto, sul sangue, sui pollini e sulle più svariate tracce presenti, secondo lo studioso della “Sindone” per eccellenza, il Prof. Pierluigi Baima Bollone, «sono tutte prove che depongono a favore di un esito che designa il reperto come un lenzuolo funerario riferibile all’epoca di Gesù e quindi riconducibile all’area dei monti della Giudea di circa duemila anni fa».

«Il Lenzuolo – asserisce lo studioso – non è un falso, come alcuni hanno pensato, perché un falsario tanto abile da riprodurlo non esiste».

Il Prof. Pierluigi Baima Bollone, ordinario di Medicina Legale all’Università di Torino e autore di 120 pubblicazioni scientifiche e 15 libri di notevole diffusione su vari argomenti legati alla medicina legale e alla criminologia. Baima Bollone, che si autodefinisce “l’ultimo epigono di Lombroso”, ha presentato il suo più recente libro «Sindone e scienza all’inizio del 3° millennio» (ed. La Stampa) in cui ha affrontato l’annoso problema dell’autenticità del “sacro lino”.

Qual è la posizione della Chiesa in proposito?

Le discussioni sull’autenticità del telo, cioè sulla corrispondenza dell’uomo di cui è impressa l’immagine e il Cristo, sono fonte di continui confronti tra studiosi e credenti.

Ufficialmente la Santa Sede (che ne è proprietaria dal 1983; in precedenza apparteneva alla Casa Savoia) è molto prudente e tuttora, sul sito curato dalla diocesi di Torino, la Sindone viene definita «un lenzuolo di lino sul quale è impressa la figura del cadavere di un uomo torturato e crocifisso».

Il 21 aprile 1988 da una zona marginale della Sindone vennero prelevati tre campioni di tessuto per essere sottoposti alla datazione con il metodo del radiocarbonio.

Il successivo 13 ottobre, in un’affollata conferenza stampa, il Card. Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Torino e Custode Pontificio della Sacra Sindone, annunciò i risultati ottenuti dai tre laboratori incaricati dell’esame (Oxford, Zurigo e Tucson-U.S.A.), risultati che assegnavano al tessuto della “Sindone” un’età compresa nell’intervallo 1260-1390 dopo Cristo.

Gli anni successivi furono caratterizzati da vivaci polemiche e da un ampio e articolato dibattito tra gli studiosi sulla correttezza dell’operazione di datazione e del relativo risultato, sulla sua inconciliabilità con i molteplici risultati ottenuti in altri campi di ricerca e, in particolare, sull’attendibilità dell’uso del metodo del radiocarbonio.

Ora, dal Papa Benedetto XVI, in visita a Torino nei giorni scorsi, in occasione dell’ostensione 2010 della “Sindone”, è arrivata un’affermazione molto precisa.

Il Papa definisce la “Sindone” un’icona e non una reliquia.

Questo sta a significare che non vede la “Sindone” come un resto corporeo, ma come un’immagine.

«Reliquia», dal latino “reliquus”, resto, residuo, è quel che rimane di un corpo umano o di parte di esso, anche se, in senso lato, la tradizione cattolica così chiamò anche gli oggetti che furono a contatto di una persona.

«Icona», invece, dal greco “eikón”, ci porta al significato di immagine.

“Nel celebre lenzuolo il Papa vede riflessa la vicenda di Cristo; anzi il telo permette di osservare, come specchiati, i nostri patimenti nelle sue sofferenze. Sono state così lasciate in un canto le diatribe sulla datazione” (Armando Torno, Corriere della Sera, 3 maggio 2010).

E’ come dire di smettere di domandarsi se la “Sindone” di Torino sia veramente stata il lenzuolo che ha avvolto Gesù, perché il suo significato educativo è comunque molto grande.

Questo non risolve sicuramente il giallo più affascinante dell’archeologia cristiana, ma offre una chiave interpretativa più ampia e meno tecnica.

E, in verità, è proprio così: nel corso della visita alla “Sindone”, l’atmosfera che ti circonda è tale che, in quei frangenti, forse non è molto importante che il “reperto” sia o meno autentico, cioè che l’immagine impressa sul telo corrisponda a quella del Cristo, poiché il suo valore simbolico suscita un grande impatto suggestivo nell’immaginario della gente.

Le persone in fila ad attendere di poter stare pochi minuti davanti al “lino” sono diverse le une dalle altre, giovani e anziane di status differenti, e fra di loro forse anche la presenza di non credenti, eppure tutte devotamente e umilmente commosse.

27
Apr

Eremi rupestri nel Gargano: un patrimonio unico ed irripetibile.

A pochi chilometri da Monte Sant’Angelo, sul Gargano, tra picchi rocciosi, gole e strapiombi a guisa di canyon, in uno scenario che mette in luce gioielli naturalistici di straordinaria bellezza, si scorgono i tanti eremi rupestri che hanno un tempo caratterizzato quel lembo di terra che circonda l’antica Abbazia di santa Maria di Pulsano.

Un piccolo universo sconosciuto e dal fascino irresistibile.

L’Abbazia di santa Maria di Pulsano sul Gargano, edificata sull’omonimo colle del Gargano in onore della santa Madre di Dio sul cadere del VI secolo per opera del monaco-papa san Gregorio Magno,  è stata luogo di monaci, eremiti e cenobiti, orientali e latini, che nel corso dei secoli ha avuto alterne vicende.

Agli inizi del XII scolo fu ricostruita ad opera di “san Giovanni eremita, il Pulsanese”, detto tardivamente da Matera, pellegrino al santuario micaelico del Gargano [a Monte Sant’Angelo si erge, come noto, il Santuario di San Michele Arcangelo], dalla cui austera testimonianza di vita scaturì una famiglia monastica autonoma, l’Ordine monastico degli Eremiti Pulsanesi, detti anche gli “Scalzi”, i quali rifacendosi rigidamente alla regola di san Benedetto e alla tradizione monastica orientale già presente a Pulsano, ebbero in questo monastero garganico la loro Casa Madre, da cui dipesero circa 40 monasteri, sparsi non solo nel Gargano ma anche nel resto d’Italia.

I più famosi sono stati i monasteri pulsanesi di Toscana, ubicati lungo la “via francigena” da Pavia a Roma, e quelli delle isole slave dell’Adriatico, Mljet e Hvar, dirimpettaie del nostro Gargano.

L’Abbazia nelle forme attuali, gravemente danneggiate da un sisma nell’anno 1646, fu edificata ad opera del beato Gioele, “sacerdos et magister”, nativo di Monte Sant’Angelo e terzo abate generale dei monaci Pulsanesi.

La chiesa abbaziale, di stile romanico e con il presbiterio ricavato in una grotta naturale, al termine dei lavori di costruzione, fu solennemente dedicata dal papa Alessandro III il 30 gennaio 1177, il quale consacrò anche l’altare “quadrato”, uno dei pochi esempi di altari bizantini ancora presenti in Italia.

I monaci furono presenti stabilmente su questo colle fino alla soppressione “murattiana” del 1809.

Intorno all’Abbazia, su spuntoni rocciosi e pareti scoscese , vero santo deserto monastico garganico, sono disseminati ben “24 eremi rupestri “ collegati tra loro da sentieri, patrimonio davvero unico ed irripetibile del nostro territorio.

Per anni il complesso è stato in una situazione di abbandono e di incuria tali da determinare attraverso furti di ignoti, un depauperamento del patrimonio artistico dell’Abbazia.

Grazie all’opera del volontariato, prima, e successivamente dei monaci, qui di nuovo presenti dal 1997, l’Abbazia è oggi rinata a nuova vita.

La laboriosa presenza della comunità monastica, latina e bizantina nella spiritualità e nella liturgia, ha fatto sì che questo luogo ritornasse ad essere un centro di spiritualità al servizio delle comunità dell’ Arcidiocesi di Manfredonia e di tutti i fedeli.

In Abbazia sono attive: un “scuola di iconografia”, che durante l’estate avvicina all’immenso patrimonio teologico-spirituale delle sante icone, numerosi giovani e adulti, insegnando loro anche le antiche tecniche di questa millenaria arte sacra; una fornita “biblioteca” di oltre 17.000 testi, liturgici, teologici, patristici, storici.

Ogni sabato, alle ore 17,30, i monaci tengono la “Lectio divina” aperta a tutti colore che desiderano approfondire e conoscere la Divina Parola, così pure nei pomeriggi delle domeniche di Avvento e Quaresima.

Durante l’estate, inoltre, sono organizzate delle “settimane bibliche”.

Seconda l’antica tradizione monastica, è attivo anche uno “scriptorium” che ha pubblicato diversi testi sull’Abbazia e sul suo rifondatore, “l’abba san Giovanni”, e che settimanalmente pubblica una rivista intitolata “Legebam et ardebam” contenente meditazioni e approfondimenti sulle letture liturgiche domenicali.

E’ attiva infine, una foresteria per l’accoglienza di quanti vogliono trascorrere e condividere con i monaci l’esperienza della preghiera e della meditazione.

[Le informazioni sono tratte da una brochure edita dall’Abbazia]

Abbazia s. Maria di Pulsano

C.P. 150 – 71037 Monte Sant’Angelo (Foggia)

Monastero e foresteria tel. 0884.561047 – c.p.p. 12319729

e-mail:info@abbaziadipulsano.org

 

L’Abbazia di santa Maria di Pulsano su Wikipedia:

“Edificata nel 591, sui resti di un antico tempio oracolare pagano dedicato a Calcante, fu affidata ai monaci dell’ordine di Sant’Equizio. Poco note sono le vicende storiche fino al XII secolo, quando, nel 1129, l’intervento di San Giovanni da Matera e della sua Congregazione Pulsanense la fece risorgere dal grave stato di abbandono in cui versava, fondando l’ordine monastico autonomo dei poveri eremiti pulsanesi. Nel 1177 fu ultimata la costruzione della chiesa abbaziale dedicata alla Santa Madre di Dio, il cui altare, sotto il quale furono poste le spoglie di San Giovanni, abate morto nel 1139, fu consacrato dal papa Alessandro III, in pellegrinaggio sul Gargano. Al termine del XIV secolo, durante il pontificato del papa Martino V, l’Ordine Pulsanense si estinse e i superstiti passarono all’Ordine benedettino, rinunciando alla regola di San Giovanni abate. Nel XV secolo furono i Celestini a prendersi cura dell’Abbazia, tutelandola dalle pretese dei signori locali, L’abbazia fu comunque affidata ad un cardinale commendatario che l’amministrava da Roma. Tra i Celestini è da ricordare il monaco garganico Ludovico Giordani che da abate costruì due altari laterali nella chiesa Abbaziale di Pulsano, oggi distrutti, e il Monastero dei Celestini in Manfredonia. Nel 1646 fu danneggiata da un violento terremoto che travolse l’archivio e la biblioteca. In seguito furono i Celestini di Manfredonia a reggere Santa Maria di Pulsano sino all’emanazione delle leggi napoleoniche del 1806. Giuseppe Bonaparte soppresse definitivamente la presenza di un ordine monastico e autorizzò i fittuari dei beni a ritenere in enfiteusi i pagamenti. Nel 1842 il sacerdote montanaro Nicola Bisceglia riceve ufficialmente in enfiteusi dal Demanio il complesso del protomonastero pulsanense per “sottrarlo all’abbandono e agli atti vandalici dei pastori e pecorai”, ad eccezione della chiesa soggetta alla giurisdizione dell’Ordine diocesano. Nel 1966 è stata trafugata la pregevole e venerata icona della Madre di Dio di Pulsano, non ancora ritrovata, opera di quella scuola bizantino – italiana, detta dei “Ritardatari”, fiorita in Puglia nel XII secolo e nel XIII secolo. Finalmente nel 1997, grazie anche all’interessamento dell’arcivescovo Vincenzo D’Addario, la chiesa abbaziale è stata riaperta al culto pubblico e vi è stata fondata la comunità monastica di Pulsano, di diritto diocesano, birituale: latina e bizantina. Oggi, grazie anche al contributo e alla concreta collaborazione di numerosi cittadini, presenta una comunità attiva ed attenta alle esigenze spirituali del nostro tempo”.

18
Apr

In giro per Foggia in una “mitica” Fiat 500 d’epoca!

Nei giorni scorsi, a Foggia, ho avuto il piacere di salire a bordo di alcuni storici modelli di Fiat 500 di un tempo, perfettamente funzionanti e con sfavillanti carrozzerie.

L’opportunità mi è stata offerta da Luigi Nigri, “Gino” per gli amici, un brillante imprenditore edile foggiano, appassionato di auto storiche.

“Gino”, per la cronaca, è il marito della mia amatissima nipote Marialuisa, la figlia di una delle mie due sorelle.

Una Fiat 500 “Abarth” nera con tettuccio a scacchi bianchi del 1969;

Una Fiat 500 “Sport” bianca con fasce laterali rosse;

Una Fiat 500 “L” (lusso) bianca del 1971;

Una Fiat 500 “Giardiniera” rosso corallo del 1974 prodotta da Autobianchi (la denominazione originale è “Giardiniera” e non “Giardinetta” come invece soventemente definita).

Tutte le autovetture sono state sottoposte a completo “restyling” della carrozzeria, motore, rivestimenti e accessori, con pezzi originali ovvero attraverso la loro fedele ricostruzione.

Dei veri gioiellini!

Le auto sono regolarmente iscritte all’ASI (Automobilclub Storico Italiano) e partecipano ai vari “Raduni” nazionali.

Un tuffo nel passato … e, vuoi mettere, lo “sfizio” di circolare in città (a Foggia) … con una “Giardiniera rosso corallo” … sotto lo sguardo curioso, attento, incredulo ed anche divertito della gente che ti osserva!

La Storia della Fiat 500

[da Wikipedia, l’enciclopedia libera].

La “500” è una utilitaria della casa torinese FIAT, prodotta dal 1936 al 1955 nella prima versione, anche detta “Topolino”, e dal 1957 sino al 1975, nella seconda versione, anche detta “Nuova 500”.

Fiat Topolino (fonte: Wikipedia)

La Fiat 500 è senza dubbio fra le automobili italiane più famose.

Il 15 giugno 1936 viene messa in vendita la FIAT 500 A, poi soprannominata “Topolino”. Una vetturetta modesta per tecnica e prestazioni, il cui prezzo era di 8.900 lire: venti volte lo stipendio medio di un operaio specializzato. Tuttavia, la “Topolino” riuscirà ad ottenere un discreto successo, anche grazie alla “fame di automobili degli Italiani”. Infatti, nell’Italia del 1936 circolano solamente 222.000 automezzi (di ogni tipo, compresi quelli pubblici e militari) per oltre 42 milioni di abitanti. All’incirca, un veicolo ogni 200 persone. Un rapporto dieci volte inferiore a quello della Francia e quaranta volte inferiore a quello degli Stati Uniti nello stesso anno. La produzione della “500-Topolino”, con piccoli aggiornamenti nella 500B, continuò anche nel dopoguerra fino ad arrivare a 519.847 esemplari a cui si devono aggiungere i modelli fabbricati dalla licenziataria francese Simca 52.507 esemplari per un totale di 572. 354 esemplari. La “500 C” del 1949 era invece quello che chiameremmo oggi un “restyling” con nuovo motore a valvole in testa e un frontale diverso e ammodernato con i fari incassati nella carrozzeria. Sia della 500B che della 500C venne realizzata la versione familiare, denominata “giardiniera”, la prima delle quali aveva le fiancate rivestite in legno.

Nel secondo dopoguerra la FIAT era governata da Vittorio Valletta, cui era affidato il compito di motorizzare la nuova Italia repubblicana; ma se negli anni trenta il progetto “Topolino” era stato scarsamente innovativo, negli anni cinquanta era sicuramente superato. La diminuzione delle vendite ed il basso numero di vetture esportate, contribuì a far comprendere alla dirigenza aziendale la necessità di costruire una vettura più moderna ed economica.

Valletta, quindi, incaricò Dante Giacosa di realizzare la nuova vettura, compito arduo dato che l’azienda aveva disponibilità economiche veramente modeste, sia per i motivi già detti, sia per i bombardamenti che l’avevano pesantemente colpita. I tempi necessari per la progettazione e la messa in produzione del nuovo propulsore erano però incompatibili con l’urgenza aziendale di immettere un nuovo modello sul mercato, ragione per cui, mentre la progettazione della futura “500” proseguiva, Giacosa decise di utilizzare i medesimi schemi e linee base per realizzare un’automobile che potesse utilizzare una motorizzazione quadricilindrica, facilmente realizzabile sulla scorta dell’esperienza aziendale maturata con la produzione della “Topolino”.

Nacque così la “600”, un ibrido tra passato e futuro, che la Fiat mise in vendita nel 1955 ottenendo un immediato successo. Le esigenze dell’azienda vennero così soddisfatte, le catene di montaggio funzionavano a pieno ritmo e, finalmente, Giacosa poté dedicarsi con calma al motore della “Nuova 500”.

La vettura venne presentata in anteprima al Presidente del Consiglio, il democristiano Adone Zoli, nei giardini del Viminale il 1º luglio 1957; seguì, il 2 luglio un cocktail allo Sporting Club di Torino per i giornalisti specializzati per essere presentata al pubblico il 4 luglio 1957.

Il nome di Nuova 500 fu scelto per sottolineare la sua discendenza dalla 500 Topolino, arrivata alla versione “C” e uscita di produzione pochi anni prima. La velocità massima era di 85 km/h. Il prezzo di lancio 490.000 lire, piuttosto alto se paragonato a quello di della 600 superiore di appena 150.000 lire, che aveva quattro posti veri e non due più due di fortuna.

L’accoglienza del pubblico è tuttavia piuttosto tiepida rispetto alle previsioni, se non addirittura fredda. La nuova piccola vettura appare troppo spartana agli occhi dei più, ormai usi alla vista delle luccicanti cromature che adornano le altre automobili. Il cliente-tipo ipotizzato dall’azienda è il vecchio proprietario di Topolino e chi usa piccole motociclette per gli spostamenti quotidiani, tanto che nella parata inaugurale partita dagli stabilimenti Mirafiori le nuove 500 sfilano davanti a una Gilera Saturno del 1956 con marmitta Abarth, motocicletta assai famosa in quegli anni e di prezzo paragonabile.

Molti di questi vedono però di mal occhio i soli due posti e la giudicano troppo costosa rispetto alla sorella maggiore: meglio accantonare qualche soldo in più e acquistare la 600. Anche le prestazioni sono motivo di critica, il motore è poco elastico, la potenza modesta, la velocità massima un po’ troppo bassa, il motore bicilindrico vibra troppo ai bassi regimi ed è troppo rumoroso agli alti. Basterebbe forse poco di più per accontentare la clientela, e l’azienda corre ai ripari.

Nel settembre dello stesso anno esce una versione lievemente revisionata, con l’aggiunta alla lista degli optional delle coppe ruota cromate, ma non basta. Si pensa allora a un aggiornamento sostanzioso e si lavora sia sul motore sia sull’allestimento. Il primo viene rivisto nel carburatore (Weber 24IMB2) nella fasatura e nell’alzata delle valvole migliorandone l’erogazione ed elevandone la potenza alla soglia dei 15 cv a 4000 giri al minuto, il secondo si arricchisce di molti dettagli ritenuti irrinunciabili come le modanature cromate sulle fiancate e i finestrini discendenti. La velocità massima sale a 90 km/h.

A partire dal novembre 1957 la Nuova 500 viene quindi commercializzata in due versioni: Economica (quella della presentazione, venduta a 465.000 lire anziché 490.000) e Normale, l’allestimento migliorato descritto sopra, venduta a 490.000 lire. Caso unico nella storia dell’automobile, i proprietari delle Nuova 500 Economica vendute prima del lancio della Normale, ricevono la differenza di 25.000 lire tramite assegno e vengono invitati presso le Stazioni di Servizio autorizzate Fiat per l’aggiornamento gratuito del motore.

È importante osservare che la 500 economica non fu la prima 500 prodotta. Questo ruolo spetta alla cosiddetta prima serie che restò in produzione solo tre mesi: dal luglio 1957 al settembre 1957. Il nome ufficiale delle prima serie è Nuova 500; le serie successive conservano questo nome ma gli affiancano una denominazione esplicativa (Economica, Normale, America, Sport, Giardiniera D, Giardiniera F e Giardiniera Autobianchi, D, F, L, R; nelle varianti trasformabile e tetto apribile) quasi mai indicata sul corpo della vettura in modo chiaro ed inequivocabile.

Per questi motivi un esemplare originale della prima serie è oggi di eccezionale rarità.

La produzione dal 1971 avviene non solo a Torino ma anche a Desio nello stabilimento dell’Autobianchi per la 500 Giardiniera e in Sicilia a Termini Imerese in provincia di Palermo. In seguito viene spostata interamente nello stabilimento siciliano.

Esce di produzione il 1º agosto del 1975, dopo ben 18 anni dal lancio della prima serie del 1957; l’ultimo esemplare costruito porta il numero di telaio 5.231.518.

Naturalmente non bisogna dimenticare le “speciali”, ovvero le versioni costruite in piccola serie, destinate alla nascente categoria delle “automobiliste”, oppure ad esaudire una richiesta elitaria e, fino ad allora, inimmaginabile: la seconda macchina.

Menzione speciale meritano infine le versioni sportive allestite dai preparatori, in particolare Abarth e Giannini entrate subito nel mito e vittoriose in molte competizioni. Il massimo concorrente dell’Abarth per la personalizzazione della piccola di casa Fiat, fu senza dubbio il carrozziere romano Giannini.

Nel 1991 la Fiat lanciò una “nuova piccola utilitaria”, la Fiat Cinquecento, che fu prodotta fino al 1998.

Nel 2007 la Fiat ha immesso infine sul mercato una nuova 500, disegnata appositamente affinché lo stile ricordi molto la versione nata cinquant’anni prima.

7
Apr

Alla scoperta di una tradizione senza eguali: la Settimana Santa in Puglia.

A Poggio Imperiale la “Via Crucis Vivente”.

 

 

I riti e le tradizioni che caratterizzano la Settimana Santa in Puglia sono molto sentiti dalla popolazione adulta ma anche dalle nuove generazioni.

Prova ne è il fatto che la partecipazione agli eventi e alle manifestazioni religiose risulta sempre abbastanza nutrita.

Ogni borgo, ogni paese, ogni città della Puglia con i suoi riti, le sue tradizioni.

Forse la Settimana Santa di Taranto, soprattutto la due giorni di processioni, nella “città che cammina”, offre l’occasione per scoprire una tradizione senza eguali, una rappresentazione collettiva unica al mondo.

« In questi giorni a Taranto non si fa altro che camminare, dalla chiesa vecchia a quella nuova e ritorno; si cammina insieme, dietro e intorno alle Processioni: quella della notte del Giovedi Santo, l’Addolorata, e quella del Venerdi Santo, i Misteri.

Nessuno può farne a meno, soprattutto i “perdùne” , i confratelli, con il loro passo lento e scalzo, un incedere particolare cui viene dato il nome di “nazzecata”.

Sono ore di Passione, da inseguire, da vivere, da affogare nel perdono. E, a sua volta, da cercare, chiedere, concedere.

(…) Camminano nel dolore cullati dalle musiche per banda: marce funebri e lente nenie che servono a sopire gli animi, a domare le passioni.

La gente cammina con loro, i fratelli incappucciati: rapita dal rito del perdono o semplicemente curiosa di una tradizione che non ha eguali in Italia, o anche nel mondo, se è vero che solo Siviglia può contenderle la maestosità ».

[Dal Corriere del Mezzogiorno, Giovedi 1 Aprile 2010]

Seppure Taranto rappresenti il fiore all’occhiello della tradizione, non da meno sono da considerarsi le manifestazioni religiose che hanno luogo durante la Settimana Santa nelle altre località pugliesi.

Magari meno frenetiche, ma altrettanto intense e cariche di significato.

Pure in terra di Capitanata e nel Gargano i riti della Settimana Santa sono molto sentiti.

 

 

Famoso, ad esempio, il rito delle “Fracchie” di San Marco in Lamis: enormi tronchi di alberi aperti a listelli e colmi di legna da ardere, dalla forma di cunei, tipo cornucopie, montati su strutture munite di ruote, ai quali viene dato fuoco durante la processione della sera del Venerdi Santo.

Poggio Imperiale ha voluto anche quest’anno riproporre la “Via Crucis Vivente”, interpretata da una trentina di figuranti in costume d’epoca, richiamandosi alle antiche tradizioni di fede dei “poggioimperialesi”.

Si è svolta mercoledi 31 marzo 2010, poiché la programmazione di sabato 27 marzo è stata sospesa a causa della pioggia che non ne ha consentito il proseguimento fino alla sua conclusione.

L’evento ha avuto inizio verso le ore 19,00, al termine della Santa Messa , nell’area adiacente all’antica Chiesa del Sacro Cuore, che rappresenta un suggestivo scorcio panoramico del centro storico del paese, dove è stato inscenato il processo “romano” di fronte a Pilato, culminato con la condanna a morte mediante crocifissione del Nazareno.

La “Via Crucis” (propriamente “via della croce”) si è poi dispiegata lungo la centralissima via Vittorio Veneto, svoltando per la vecchia via “del pozzo”, fino a giungere all’altezza dell’antico sito della “seggiulètte”, luogo in cui si è consumato l’epilogo della Crocifissione di Cristo.

Le scene delle “stazioni”, che rappresentano i diversi momenti della “Passione”, rinnovando l’itineriario ovvero la via della passione medesima, sono state magistralmente interpretate dai protagonisti e dalle comparse della “drammatizzazione”, generando momenti di vera commozione tra la folla dei partecipanti in sommessa meditazione e preghiere penitenziali.

Tra le altre, due le scene fondamentali: la prima focalizzata sul processo a Gesù e l’altra – la vera scena madre – quella finale riguardante la sua crocifissione, morte e risurrezione.

 

 

Il processo

Dinanzi al Governatore romano Ponzio Pilato due avvocati, uno per l’accusa, l’altro per la difesa, hanno sostenuto le rispettive tesi di colpevolezza e d’innocenza con arringhe i cui testi sono stati liberamente tratti dai brani biblici.

 

 

L’epilogo

La crocifissione e la morte di Cristo è risultata di grande effetto grazie anche alla bravura dell’interprete oltre che agli effetti di luci e suoni e dello scenario naturale ove la rappresentazione si è svolta.

Una collinetta, un muretto a secco in pietra naturale, alberi di ulivi secolari e tre croci; su quella centrale il Cristo.

Le altre cerimonie religiose della Settimana Santa a Poggio Imperiale:

Giovedi Santo 1 aprile 2010, alle ore 18,00, è stata celebrata presso la Parrocchia San Placido Martire la Santa Messa “in Coena Domini” dell’istituzione del Sacramento dell’Eucaristia con lavanda dei piedi.

Venerdi Santo 2 aprile 2010, la mattina, prestissimo, alle ore 5,30, si è svolta per le strade del paese la Processione della statua di Gesù che porta la croce, portata a spalle da Confratelli incappucciati, in partenza dalla Chiesa Parrocchiale, e la Processione della statua della Madonna Addolorata anch’essa portata a spalle, da sole donne, in partenza dalla Chiesa del Sacro Cuore.

Il suggestivo incontro tra Madre e Figlio, con il conseguente “intreccio” delle due Processioni , è avvenuto in piazza Imperiale, ove il parroco ha tenuto il consueto discorso di rito.

 

 

Sono seguite le celebrazioni delle “Lodi” nella Chiesa Parrocchiale, dove sono confluite le due statue con i loro rispettivi seguiti.

Alle ore 18,30 dello stesso giorno, l’Azione Liturgica “in morte Domini” con lettura del Vangelo della Passione e, alle ore 19,30, la Processione serale con le statue di Gesù Morto e della Madonna Addolorata, in partenza dalla Chiesa Parrocchiale, in un unico corteo, fino alla Chiesa del Sacro Cuore.

Sabato Santo 3 aprile 2010, Veglia pasquale e Santa Messa alle ore 23,00 presso la Chiesa Parrocchiale.

Domenica 4 aprile 2010: Solenne celebrazione della Santa Pasqua di Risurrezione , alle ore 11,00 presso la Chiesa Parrocchiale.

25
Mar

Il “Buon Vento”

A 107 anni la “nonna di Poggio Imperiale” mette a dimora uno degli alberi piantati in suo onore.

Sabato scorso 20 marzo 2010, si è conclusa a Poggio Imperiale la seconda fase dell’originale evento denominato “Buon Vento”, iniziato nel mese di dicembre del passato 2009.

La prima fase della manifestazione, battezzata “Natale con Alberi Vivi”, si è svolta in prossimità delle festività natalizie, allorchè l’Amministrazione Comunale consegnò a tutti gli esercizi commerciali del paese cinquanta alberi (del tipo Cedro Deodara, Cedro Atlantica, Tuya e Abete), che vennero riccamente addobbati a cura dei titolari dei medesimi esercizi.

La seconda fase, battezzata “Piantiamo Alberi” si è tenuta invece sabato 20 Marzo, giorno della “Festa dell’Albero”, ed è stata caratterizzata dalla messa a dimora degli stessi cinquanta alberi, da parte degli alunni delle scuole elementari e medie di Poggio Imperiale.

Il “Buon Vento” è un progetto promosso dall’Assessorato alle Politiche Giovanili e alla Cultura, ed “adottato” e finanziato dall’International Power, la multinazionale inglese che ha realizzato e gestisce il “Parco Eolico” di Poggio Imperiale1.

Il Parco Eolico o Wind Farm (fattoria del vento); il “Buon Vento” che con la sua forza consente di produrre energia elettrica “pulita”.

Numerosa la presenza di giovani e giovanissimi con i loro genitori alla manifestazione, che si è svolta presso la Scuola Media, dove sono state lette poesie dedicate agli alberi scritte dagli alunni.

Presente anche il Comandante della Stazione del Corpo Forestale di Sannicandro Garganico, il parroco Don Luca De Rosa, il sindaco Dott. Rocco Lentinio con tutta l’amministrazione comunale, le associazioni operanti sul territorio, Caritas, Avis, Associazione Carabinieri in congedo, Libertas, ecc.

Nell’occasione, é stata festeggiata anche la “Nonna di Poggio Imperiale”, Maria Giuseppa Robucci, nata il 20 marzo 1903, arrivata alla Scuola Media a bordo di una fiammante Alfa Romeo Spider decappottabile rossa, ed accolta , tra applausi e fuochi pirotecnici, dalle ragazze pon pon, dagli sbandieratori e dal coro degli alunni che hanno intonato un coinvolgente “Tanti auguri … a te”.

 

 

Durante la manifestazione la festeggiata ha ricevuto, a sorpresa, la visita dell’altro Nonno di Poggio Imperiale”, Giuseppe Nista, che il giorno 8 del prossimo mese di aprile compirà ben 101 anni.

L’incontro fra i due concittadini ultracentenari ha rappresentato un momento di forte commozione che ha toccato il cuore di tutti i presenti.

 

 

Ma la vera sorpresa l’ha fatta proprio Nonna Maria Giuseppa, quando ha voluto usare da sola il badile per coprire con la terra uno degli alberi piantati in suo onore.

 

 

Poi il classico taglio della torta, dopo lo spegnimento di 107 candeline, e il gradito omaggio floreale di ben 107 rose offerto dall’Amministrazione Comunale.

Sette anni fa, allo scoccare dei 100 anni, Nonna Maria Giuseppe fu festeggiata con la presenza in paese di inviati della trasmissione televisiva “La vita in diretta” di Rai 1.

I cinquanta alberi sono stati piantumati nelle aree pubbliche del paese, fra le quali la Scuola Media; alcuni altri verranno messi a dimora prossimamente nella piazzetta in via Di Vittorio, dove sarà eretto un monumento in memoria delle tre vittime poggioimperialesi dei lager nazisti: Verzino, Braccia e Zangardi.

Un albero … quante riflessioni!

 

 

1 Il Parco Eolico di Poggio Imperiale è stato ufficialmente inaugurato il 27 giugno 2009. L’impianto è costituito da 15 aerogeneratori Vestas V80 da 2 MW ciascuno. Un parco eolico o wind farm (fattoria del vento) è un insieme di aerogeneratori (torri o pale eoliche) localizzati in un territorio delimitato e interconnessi tra loro che producono energia elettrica sfruttando la forza del vento. La generazione di energia elettrica varia in funzione del vento e della capacità generativa degli aerogeneratori. In un parco eolico le singole turbine sono interconnesse tra loro con una linea di collegamento a medio voltaggio (generalmente 34,5 kV) e con un sistema di comunicazione (per il cosiddetto remote monitoring). La energia a medio voltaggio viene poi convertita in alto voltaggio tramite un trasformatore in una sottostazione ed immessa nella rete elettrica.  

22
Mar

Ancora … sullo YAD VASHEM di Gerusalemme!

Il 21/10/2088 ho pubblicato su questo mio stesso sito www.paginedipoggio.com => Blog “Come la penso io!”  l’articolo dal titolo “YAD VASHEM IL MUSEO DELL’OLOCAUSTO DI GERUSALEMME: la didascalia contestata”, per parlare delle emozioni che avevo provato l’anno prima, in occasione della visita al Museo con mia moglie.

L’articolo risulta essere stato “linkato” oltre 1000 volte e diversi sono i “commenti” pervenuti.

Riporto qui di seguito, per gli interessati che avessero voglia di approfondire poi l’argomento sul sito internet http://www.vaticanfiles.splinder.com, il “commento” inviato dal Prof. Matteo Luigi Napolitano il giorno 8/2/2010:

« Ho avuto l’onore di far parte della delegazione vaticana, incaricata di una missione scientifica a Yad Va-shem, preparatoria della visita del Santo Padre. L’8 e 9 marzo 2009 abbiamo discusso a porte chiuse della questione di Pio XII e della didascalia. I nostri lavori di "commissione mista" Vaticano-Yad Va-shem saranno resi noti quest’anno, con un volume di atti di quella conferenza (che doveva restare segreta ma di cui si seppe presto; come si può vedere anche su You Tube). Posso assicurare che i lavori si sono svolti in un clima di grande dialogo e di comprensione, e che la didascalia in questione, per come è formulata, anche a Yad Va-shem non è condivisa da molti. Sulla didascalia ho fatto uno studio approfondito che si potrà leggere su vaticanfiles.splinder.com. Matteo Luigi Napolitano».

Sul Prof. Matteo Luigi Napolitano

[Dal sito internet: http://www.vatican.va]:

Il 23 agosto 2005 il Prof. Matteo Luigi Napolitano è stato nominato delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the History of the Second World War, in sostituzione di P. Pierre Blet che ha lasciato la carica per sopraggiunti limiti di età.

Matteo Luigi Napolitano, nato nel 1962 a S. Severo (Foggia), insegna Storia delle Relazioni internazionali all’Università degli Studi del Molise. È autore dei volumi "Mussolini e la Conferenza di Locarno" (Urbino, 1996), "Un ponte tra Vangelo e cultura" (con Ornella di Pumpo, Roma, 1998), "Pio XII tra guerra e pace" (Roma, 2002), "Il Papa che salvò gli Ebrei" (con Andrea Tornielli, Casale Monferrato, 2004), "Angelo Giuseppe Roncalli/Giovanni XXIII" (Milano 2004), "Pacelli Roncalli e i battesimi della Shoah" (con Andrea Tornielli, Casale Monferrato, 2005). Ha pubblicato diversi saggi di storia diplomatica e delle relazioni internazionali, fra i quali "Reassessing Italy’s Postwar Choices" (1995), "Trieste 1948: un problema diplomatico e nazionale"(1998), "Pio e il XII e il Nazismo" (2001), "La Santa Sede e la Germania nazista" (2003). Si occupa di storia della diplomazia vaticana, di relazioni euro-atlantiche e di documentazione sul nazismo e sulla Guerra fredda. Collabora con la rivista "La Civiltà Cattolica".

[Dal sitio internet: http://polistampa.com]:

(…) Dirige la collana «Officine di Storia europea» dell’Istituto Poligrafico dello Stato, per la quale ha curato il volume Le possibili Europe. Storia, diritti, conflitti (2009) e Diplomazia delle risorse. Le materie prime e il sistema internazionale nel Novecento (con Massimiliano Guderzo, 2004). Ha pubblicato, inoltre, diversi saggi di storia diplomatica e delle relazioni internazionali.

Opere a cura di Matteo Luigi Napolitano su LeonardoLibri:

Diplomazia delle risorse. Le materie prime e il sistema internazionale nel Novecento. a cura di Massimiliano Guderzo, Matteo Luigi Napolitano. © Polistampa 2004, cm 17×24, pp. 596, br., € 28,00

L’America Latina tra guerra fredda e globalizzazione. a cura di Massimiliano Cricco, Maria Eleonora Guasconi, Matteo Luigi Napolitano. © Polistampa 2010, cm 17×24, pp. 168, br., € 14,00

8
Mar

Le “foibe”: quel genocidio di italiani dimenticato!

Anche a Poggio Imperiale il “Giorno del Ricordo” … per non dimenticare.

Le vittime dello sterminio di massa non hanno colore politico!

In memoria delle vittime delle “foibe” (1) e dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati, un tempo cittadini italiani, si celebra in Italia il 10 febbraio di ogni anno il “Giorno del Ricordo”, istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004.

 

 Il “Giorno del Ricordo”

presso la Biblioteca Multimediale

di Poggio Imperiale

La legge segna un mutamento di atteggiamento da parte della comunità nazionale nei confronti delle vittime e degli esuli di quei tragici eventi della nostra storia patria.

Questo il testo della legge:

« La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata […] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero ».

Un segnale di grande civiltà.

Con la legge n. 211 del 20 luglio 2000, l’Italia aveva istituito il “Giorno della Memoria”, aderendo in tal modo alla proposta internazionale di dichiarare il 27 gennaio come giornata in commemorazione delle vittime del nazismo e dell’Olocausto e in onore di coloro che a rischio della propria vita hanno protetto i perseguitati.

Il testo dell’articolo 1 della legge così ne definisce le finalità:

« La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati ».

 

  Il “Giorno del Ricordo”

presso la Biblioteca Multimediale

di Poggio Imperiale

E, quindi, anche a Poggio Imperiale, dopo il “Giorno della Memoria”, con l’interessante Mostra Bibliografica sulla Shoah e la commemorazione di tre suoi concittadini morti nel Lager nazisti – di cui ho avuto già modo di parlare nell’articolo “Tre le vittime di Poggio Imperiale nei Lager nazisti!”, pubblicato su questo stesso sito il giorno 7 febbraio 2010 – sabato 27 febbraio 2010, presso la locale “Biblioteca Multimediale”, è stato celebrato il “Giorno del Ricordo”.

Nel corso della cerimonia sono state lette testimonianze dei familiari delle vittime delle “foibe” e proiettati alcuni video.

Nell’occasione è stato ricordato il Sotto Brigadiere di terra della Regia Finanza Vincenzo De Ninno, nativo della vicina cittadina di Lesina ed in servizio a Trieste (2), barbaramente trucidato e infoibato dai partigiani titini (3) ai primi di maggio del 1945.

L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Poggio Imperiale, è stata organizzata dall’Assessore alla Cultura Antonio Mazzarella unitamente agli “Amici della Biblioteca”.

Alla commemorazione era presente l’Assessore alla Cultura di Lesina, rappresentanti dell’A.N.F.I. (Associazione Nazionale Finanzieri Italiana) e il parroco di Poggio Imperiale don Luca De Rosa.

Lo scorso anno, proprio nella ricorrenza del “Giorno del Ricordo”, il comune di Lesina ha intitolato una piazza al suo compianto concittadino, al quale è stata intitolata anche la Sezione A.N.F.I. lesinese, che annovera tra gli iscritti pure “finanzieri” di Poggio Imperiali in servizio e in pensione.

 

Il Sotto Brigadiere di terra della Regia Finanza Vincenzo De Ninno

 

NOTE:

(1) Foibe: Cavità naturali presenti nel Carso, tra l’Istria e Trieste.

(2) La tragedia che si è consumata ha riguardato migliaia di cittadini triestini, soldati ed appartenenti alle forze di Polizia, fra i quali circa 350 Finanzieri che prestavano servizio a Trieste e nell’Istria, compresi i 97 Finanzieri prelevati dalla Caserma di Via Campo Marzio (fra questi vi era anche Vincenzo De Ninno); il 2 maggio 1945 tutti impietosamente trucidati nelle foibe per il solo motivo, come a suo tempo precisò il Presidente della Repubblica On. Scalfaro, “che molte delle persone eliminate erano colpevoli soltanto di essere italiane”.

(3) Partigiani titini: Molte delle vittime italiane barbaramente trucidate e infoibate non erano affatto militanti fascisti; erano normalissime e pacifiche persone che dimoravano negli ex territori della Jugoslavia un tempo italiani, ma anche a Trieste e località limitrofe. La caccia all’italiano faceva parte della strategia di Tito (il maresciallo Tito era il Presidente della Jugoslavia), che voleva annettersi anche Trieste ed altre zone del Friuli. I partigiani titini (da Tito), appoggiati dai partigiani comunisti italiani, effettuarono vere e proprie incursioni armate contro popolazioni inermi. E, poi, un colpo alla nuca, e giù nelle foibe. Almeno diecimila persone, negli anni drammatici a cavallo del 1945, sono state torturate e uccise dagli jugoslavi a Trieste e nell’Istria. Il 10 febbraio è il giorno che l’Italia dedica alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle “foibe” e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in occasione della “Giornata del Ricordo” del 2007, ha detto che “va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle “foibe”, ma egualmente l’odissea dell’esodo e del dolore e della fatica che costò a fiumani, istriani e dalmati ricostruirsi una vita nell’Italia tornata libera e indipendente ma umiliata e mutilata nella sua regione orientale. E va ricordata (…) la congiura del silenzio, la fase meno drammatica ma ancor più amara e demoralizzante dell’oblio”.

28
Feb

La partita di rugby che ha consacrato il Sud Africa libero

In questi giorni è in programmazione in molte sale cinematografiche del modo l’ultima opera di Clint Eastwood in veste di Regista e Produttore: il film “Invictus”.

Anch’io non ho voluto perdere l’occasione di assistere alla … “partita di rugby che ha consacrato il Sud Africa libero”: oltre due ore di intenso spettacolo che tocca la profondità dell’anima.

 

 

Il film originariamente intitolato “The Human Factor” è stato ribattezzato “Invictus”, una parola latina che significa “Invincibile”, e che si riferisce ad un poema spesso recitato da Mandela, composto da William Ernest Henley nel 1875.

“Sotto i colpi d’ascia della sorte,

il mio capo sanguina, ma non si china.

Non importa quanto sia stretta la porta,

quanto piena di castighi la vita.

Io sono il padrone del mio destino:

Io sono il capitano della mia anima”.

(William Ernest Henley)

Clint Eastwood , Regista, ormai da tempo persegue con il suo cinema una ricerca nel profondo degli elementi che possono provare a conciliare gli opposti, senza che nessuno perda la propria identità.

E questo film racconta giustappunto di un popolo che ha sorpreso il mondo costruendo una nazione sui diritti e non sulla vendetta, grazie al suo Presidente, Nelson Mandela, che ha saputo serenamente ispirarli nonostante i 27 anni di carcere duro trascorsi a “Robben Island”.

L’ex detenuto matricola n. 46664 parla di … “sorprenderli con la generosità; comprensione; io so cosa i bianchi ci hanno tolto ma questo è il momento di costruire una nazione”.

 

 

La finale della Coppa del Mondo del 1995 è stata, per molta gente, solo un’emozionante partita di rugby, ma per il Sud Africa ha rappresentato un momento cruciale della storia del Paese, un’esperienza condivisa che ha aiutato a sanare le ferite del passato e a infondere speranza per il futuro.

L’artefice di questo evento epocale è stato il Presidente Nelson Mandela e i protagonisti i giocatori della squadra sudafricana di rugby, gli “Springboks”, guidati dal loro capitano.

 

 

Nelson Mandela è il Presidente appena eletto del Sud Africa. Il suo intento primario è quello di avviare un processo di riconciliazione nazionale. Per far ciò si deve scontrare con forti resistenze sia dalla parte dei bianchi che da quella dei neri.

Ma “Madiba”, come lo chiamano affettuosamente e rispettosamente i suoi più stretti collaboratori, non intende demordere. C’è uno sport molto diffuso nel Paese: il rugby e c’è una squadra, gli “Springboks”, che catalizza l’attenzione di tutti, sia che si interessino di sport sia che non se ne occupino.

In generale nel Paese il gioco del rugby, amato dai bianchi, è odiato dai neri che preferiscono il gioco del calcio. Nei sobborghi di Johannesburg si dice che … “il calcio è uno sport da signorine giocato da duri, mentre il rugby è uno sport da duri giocato da signorine”.

E, quindi, poichè gli “Springboks”, squadra formata da tutti bianchi con un solo giocatore nero, sono uno dei simboli dell’apartheid, Mandela decide di puntare proprio su di loro in vista dei Mondiali di rugby che stanno per giocare in Sud Africa nel 1995.

Il suo punto di riferimento per riuscire nell’operazione di riunire la Nazione intorno alla squadra è il suo capitano François Pienaar, interpretato nel film dall’attore Matt Damon.

Da alcune dichiarazioni di Clint Eastwood: “La storia si svolge in un momento cruciale della presidenza di Mandela. Penso che abbia dimostrato grande saggezza nel comprendere lo sport nello sforzo di riconciliazione del Paese. Sapeva che bisognava unire tutti, trovare un modo per fare appello all’orgoglio nazionale, agendo sull’unica cosa che allora avevano in comune. Sapeva che la popolazione bianca e la popolazione nera avrebbero dovuto lavorare come una squadra o il Paese sarebbe fallito, così come ha mostrato grande creatività nell’usare lo sport come mezzo per raggiungere un fine (…). Non avrei girato il film in nessun altro posto che non fosse il Sud Africa. Devi stare lì, hai bisogno della gente, hai bisogno dei luoghi. Volevamo questa autenticità. La maggior parte del cast e delle nostre comparse sono sudafricani. In Sud Africa hanno anche un buon settore cinematografico, quindi abbiamo creato un bel gruppo di americani e sudafricani anche dal punto di vista tecnico (…). Quando siamo andati a Robben Island, siamo stati colpiti dalla ristrettezza degli spazi. E passare lì dentro 27 anni, forse i migliori della tua vita, e uscirne senza rancore è un’impresa”.

Ciò che Clint Eastwood racconta nel film non è frutto della fantasia di uno sceneggiatore, ma trae origine dai fatti narrati nel libro di John Carlin “Playing the Enemy: Nelson Mandela and the Game That Made a Nation”.

Eastwood ne trae un film, assolutamente classico, dal quale traspare, attraverso Morgan Freeman (l’attore che interpreta Mandela) la sua profonda ammirazione per Nelson Mandela.

Un ottimo film: Clint Eastwood, l’attore che interpretava il cowboy preferito Sergio Leone con sigaro, cappello e poncho sulle spalle, sta dimostrando di essere un altrettanto bravo regista.

“Il Cinema deve essere spettacolo,

è questo che il pubblico vuole.

E per me lo spettacolo più bello è quello del Mito”.

(Sergio Leone)

 

 

Nota

Alcune parti del testo sono tratte da recensioni di:

“Europa * Cinemas” – Fice (Federazione italiana cinema d’essai)

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