Author Archives: Lorenzo
A Padova il “corpo” di sant’Antonio ricompare in mezzo a noi.
Nella tarda serata di sabato 20 febbraio 2010 si è conclusa a Padova l’ostensione dei resti mortali di sant’Antonio, ora nuovamente ricollocati sotto l’altare della cappella dell’Arca, appena restaurata, nella Pontificia Basilica del Santo.
Nei sei giorni di ostensione, centocinquantamila sono stati i visitatori giunti da ogni parte del mondo che, in paziente attesa anche sotto la pioggia, in una lunga coda, hanno voluto vedere e venerare le sacre spoglie.
Pellegrini in visita alle spoglie del Santo
E’ la quarta volta – in otto secoli – che sant’Antonio si mostra ai suoi fedeli; un evento dunque eccezionale e carico di significati, tale da attirare migliaia di pellegrini fin dalle prime luci dell’alba.
Il Papa Benedetto XVI non ha fatto mancare il segno della sua vicinanza inviando un telegramma al superiore del Convento, auspicando che “questo provvido evento, riproponendo il luminoso esempio del sacerdote francescano tanto popolare, che affascinò generazioni di fedeli (…) susciti rinnovati propositi di amore a Cristo e ai fratelli, come pure un generoso impegno per la giustizia e la pace”.
Anch’io con mia moglie e le mie cognate abbiamo voluto rendere omaggio al Santo nella giornata di venerdi 19 febbrario. La giornata piovosa e particolarmente fredda non ci ha affatto scoraggiati. Abbiamo raggiunto Padova in treno partendo da Milano Centrale di buon mattino.
L’ostensione del corpo del Santo è coincisa con la festa liturgica della Traslazione di Sant’Antonio detta anche “Festa della Lingua”, che si celebra ogni anno in Basilica il 15 febbraio, a ricordo della prima traslazione avvenuta l’8 aprile 1263 ad opera di San Bonaventura, che ritrovò in quell’occasione la Lingua “incorrotta” di frate Antonio, e di quella del 15 febbraio 1350, quando la tomba del Santo ebbe la sua definitiva sistemazione nell’attuale Cappella dell’Arca all’interno della Basilica.
La lunga fila in attesa della visita
I pellegrini e i devoti del Santo hanno ora potuto rivedere il corpo di Sant’Antonio, ricomposto e visibile in un’urna di vetro, dopo 29 anni dall’ultima “ricognizione” canonica e medico-scientifica avvenuta nel gennaio 1981, a 750 anni dalla morte del Santo, cui seguì una memorabile ostensione, che si prolungò fino al 1° marzo 1981. In quella occasione affluirono in Basilica circa 650mila pellegrini.
Il teschio del Santo lascia immaginare zigomi alti, mento sporgente ed occhi infossati, mentre lo scheletro rivela (secondo gli studi anatomici del Prof. Meneghelli) una statura di un metro e settanta centimetri, molto alta per l’epoca.
Al termine dell’ostensione, durata sei giorni, da lunedi 15 a sabato 20 febbraio 2010, il corpo di Sant’Antonio è ritornato nella Cappella dell’Arca, che ora risplende in tutta la sua bellezza, dopo i lunghi e complessi lavori di restauro iniziato il 12 aprile 2008, con il trasferimento temporaneo dell’urna nella Cappella di San Giacomo, e conclusi lo scorso 4 dicembre 2009.
Già domenica sera 14 febbraio, alle 21, c’era stata una cerimonia durante la quale è stata aperta la cassa che conteneva l’urna di cristallo con le reliquie del santo.
L’urna è stata poi trasportata nella Cappella delle reliquie, dove sono conservate le teche con il mento e la lingua di Antonio.
Durante l’ostensione la Basilica è rimasta aperta dalle 6,20 alle 19 e sabato fino alle 19,45.
Un po’ di storia
Sant’Antonio di Padova, (in portoghese Santo António de Lisboa), nato Fernando Martim de Bulhões e Taveira Azevedo, (Lisbona, 15 agosto 1195 – Padova, 13 giugno 1231), è stato un francescano portoghese, canonizzato dalla Chiesa cattolica e, più recentemente, proclamato Dottore della Chiesa.
Da principio monaco agostiniano a Coimbra dal 1210, poi dal 1220 frate francescano. Viaggiò molto, vivendo prima in Portogallo quindi in Italia ed in Francia.
Nel 1221 si recò al Capitolo Generale ad Assisi, dove vide di persona San Francesco d’Assisi. Dotato di grande umiltà ma anche grande sapienza e cultura. Per le sue valenti doti di predicatore, mostrate per la prima volta a Forlì nel 1222, fu incaricato dell’insegnamento della teologia e inviato per questo dallo stesso San Francesco a contrastare la diffusione dell’eresia càtara (1) in Francia. Fu poi trasferito a Bologna e quindi a Padova. Morì all’età di 36 anni.
È notoriamente e popolarmente considerato un grande Santo, anche perché di lui si narrano grandi prodigi miracolosi, sin dai primissimi tempi dalla sua morte e fino ai nostri giorni. Tali eventi prodigiosi furono di tale intensità e natura che facilitarono la sua rapida canonizzazione e la diffusione mondiale della sua devozione.
La Chiesa nella persona del Papa Gregorio IX, in considerazione della mole di miracoli attribuitagli, lo canonizzò dopo solo un anno dalla morte (1232).
Nel 1946, il Papa Pio XII ha innalzato sant’Antonio tra i Dottori della Chiesa cattolica, conferendogli il titolo di Doctor Evangelicus, in quanto nei suoi scritti e nelle prediche che ci sono giunte era solito sostenere le sue affermazioni con citazioni del Vangelo.
Al Santo fu dedicata la grande Basilica Pontificia di Padova e la sua festa cade il 13 giugno, giorno della sua morte.
(1) Con la definizione di càtari, detti anche albigesi (dal nome della cittadina francese di Albi), furono designate le persone coinvolte nel sostegno culturale o religioso del movimento ereticale sorto intorno al XII secolo. Le dottrine càtare vennero condannate come eretiche dalla Chiesa romana, prima ancora che essa, dopo il Concilio di Trento potesse definirsi Chiesa cattolica. Per debellare l’eresia càtara fu appositamente creato da papa Gregorio IX il Tribunale dell’Inquisizione, che impiegò settant’anni ad estirpare il catarismo dal sud della Francia.
Nota: Le foto sono tratte da: Il mattino di Padova (18 febbraio 2010) http://mattinopadova.gelocal.it/multimedia/home/23094224/1
Tre le vittime di Poggio Imperiale nei LAGER nazisti!
Ernesto Braccia, Nicola Verzino e Giuseppe Zangardi
Poggio Imperiale ha voluto commemorare quest’anno i suoi tre concittadini morti nei LAGER nazisti e, più precisamente, nei campi di concentramento e di prigionia di Dachau, Gross Lubars e Kaiserslauter, in Germania.
Un evento che ha avuto luogo domenica 31 gennaio scorso presso la Biblioteca Multimediale, a conclusione di una Mostra Bibliografica sulla SHOAH allestita presso la medesima Biblioteca dal 27 al 31 gennaio, in occasione della giornata della Memoria che ricorre il giorno 27 di gennaio.
La Mostra ha registrato notevole affluenza di visitatori ed anche il circuito delle visite riservate alle scolaresche è risultato di particolare interesse.
Visite delle scolaresche alla Mostra Bibliografica della Shoah
E’ importante che anche le nuove generazioni abbiano conoscenza di quanto è avvento … perché ciò non abbia mai più a ripetersi!
“Poggio Imperiale – Dachau 65 anni dopo”
Commemorazione dei concittadini deportati e morti nei lager nazisti
Questo il tema che ha fatto da sfondo alla cerimonia di commemorazione, presieduta dal Sindaco, con l’intervento dell’Assessore alla cultura e la testimonianza di alcuni reduci del secondo conflitto mondiale.
La cittadinanza è intervenuta numerosa.
Si riporta, qui di seguito, l’articolo pubblicato dalla “Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 febbraio 2010, concernente la manifestazione.
La pagina della “Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 febbraio 2010
Si trascrive integralmente il testo dell’articolo.
« Ernesto, Nicola e Giuseppe uccisi dai nazisti. Poggio Imperiale ricorda le sue vittime nei campi di concentramento. Uno a casa non è più tornato. Gli altri due sono tornati nel paese natìo anni dopo la morte. E per la prima volta il paese che ha dato loro i natali, Poggio Imperiale, li ha voluti ricordare tutti e tre, in occasione della giornata della Memoria. La cerimonia domenica scorsa, nella biblioteca multimediale. Il ricordo, quello delle tre vittime terranovesi [anche così chiamati i poggioimperialesi] in campi di prigionia o di concentramento. Le storie di Ernesto Braccia, Nicola Verzino e Giuseppe Zangardi, tutti catturati dai tedeschi dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943, sono state ricostruite da Antonio Mazzarella, assessore alla cultura e appassionato di storia locale, incrociando i dati ufficiali, le testimonianze orali e i ricordi delle famiglie. Ernesto Braccia nacque nel 1909 e morì il 31 gennaio del 1945 nel campo di concentramento di Gross Lubars, in Germania. Qualche elemento in più si conosce sulla vita di Nicola Verzino, nato nel 1925, morto il 27 luglio del 1945 nel campo di prigionia di Kaiserslauter, sempre in Germania. Verzino era un carabiniere e fu catturato in Francia. Fu facilmente individuato perché non volle liberarsi della divisa da carabiniere, che lo avrebbe reso facilmente riconoscibile. Sembra sia morto di stenti nel campo di prigionia. Anche Giuseppe Zangardi morì nel 1945, in uno dei campi di morte più tristemente noti nell’epopea dell’Olocausto, quello di Dachau. Sul braccio gli avevano tatuato il numero 54397. La sua morte sei settimane prima che il campo venisse liberato dalla 45esima divisione di fanteria dell’esercito americano. Diverse le sorti delle spoglie dei tre terra novesi dopo la loro morte. Ernesto Braccia e Nicola Verzino furono sepolti in fosse singole, i loro corpi quindi furono recuperati e tornarono a Poggio Imperiale il primo nel 1995, il secondo nel 1958. Il corpo di Giuseppe Zangardi invece fu tumulato in una fossa comune, e i resti mai ritrovati. Mazzarella ha incrociato le storie dei tre deportati durante la stesura del testo, “L’album dei ricordi di Poggio Imperiale narrato dalle immagini”, scritto con Giovanni Saitto. “Nello scrivere il libro, nel 2006 – spiega – e nel ricordare i nostri morti, in tutte le guerre, abbiamo fatto ricerche più dettagliate proprio sui tre deportati e quest’anno abbiamo voluto dedicare loro un ricordo più sentito, per farli conoscere anche ai più giovani”. Un ricordo che non si fermerà alla giornata della Memoria, poiché l’assessore ha annunciato che l’amministrazione comunale intitolerà ai tre deportati una piazzetta e nei prossimi mesi una delegazione si recherà a Dachau per deporre una lapide in pietra con il nome del terra novese che non è più tornato a casa [Ste. Lab.]».
Un momento della commemorazione del 31 gennaio 2010
In primo piano l’Assessore alla cultura ed il Sindaco sullo sfondo
La manifestazione è stata organizzata dall’Assessorato alla Cultura in collaborazione con gli amici della Biblioteca Comunale di Poggio Imperiale.
Il Giorno della Memoria … per non dimenticare … mai!
Il 21.10.2008 ho pubblicato su questo mio stesso sito www.paginedipoggio.com => (Blog: Come la penso io! ), nella sezione “Viaggi”, un articolo dal titolo: «YAD VASHEM IL MUSEO DELL’OLOCAUSTO: la didascalia contestata ».
L’articolo risulta, ad oggi, linkato ben 926 volte: è segno che ha destato interesse.
Quella sintesi di viaggio aveva l’intento di partecipare anche ad altri le emozioni provate nel corso della visita che io e mia moglie avevamo fatto nella primavera del 2007 allo Yad Vashem di Gerusalemme.
Dicevo, allora, che “Lo Yad Vashem è il memoriale dei sei milioni di ebrei deportati e uccisi dai nazisti. Tante foto, documenti, lettere, indumenti di ogni tipo, ricostruzione fedele di campi di concentramento e di tradotte (treni) militari, libri, oggetti personali dei deportati, ecc. Una cosa davvero toccante, che ti lascia dentro un senso di pietà e di impotenza al tempo stesso, ma che ti scatena anche sentimenti di rabbia per tutto quanto è potuto accadere”.
Ma i crimini commessi dai nazisti nei campi di concentramento non riguardano naturalmente solo gli ebrei; riguardano anche tanti altri uomini e donne, compresi i nostri tre concittadini che la comunità di Poggio Imperiale ha voluto commemorare e, a buona ragione, l’intera umanità per l’efferatezza con cui sono stati perpetrati.
In proposito, Renzo Gattegna, Presidente Unione Comunità Ebraiche Italiane, sostiene che “nei campi di concentramento nazisti sono stati commessi crimini di incredibile efferatezza. Tali crimini non furono commessi solo contro il popolo ebraico e gli altri popoli e categorie oppressi, ma contro tutta l’umanità, segnando una sorta di punto di non ritorno nella Storia. L’umanità esige che ciò che è avvenuto non accada più, in nessun luogo e in nessun tempo. E’ di enorme importanza che le nuove e future generazioni facciano proprio questo insegnamento nel modo più vivo e partecipato possibile, stimolando il dibattito, le domande, i “perché” indispensabili per la comprensione di quei tragici eventi. Favorendo noi una riflessione vivace nei ragazzi, renderemo forse il servizio migliore a questo Giorno che, per essere vissuto nel modo più autentico, necessita di un pensiero non statico, non nozionistico. Occorre fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche empirici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più. Questo, forse, è il senso più vero del Giorno della Memoria, ed è un bene prezioso per tutti”.
Da “Il senso del Giorno della Memoria” di Renzo Gattegna
[Sito internet: htpp://www.ucei.it/giornodella memoria ]
A Poggio Imperiale … la passione per le “antiche cose”!
Singolare iniziativa di un “poggioimperialese” che ha pazientemente ricercato e raccolto, negli anni, antichi attrezzi agricoli ed artigianali, ma anche macchinari un po’più sofisticati di un tempo; strumenti di arti e mestieri oltre che per il diletto, il gioco e lo sport; arredi ed attrezzature domestiche per la cucina, l’illuminazione, il riscaldamento e l’igiene personale; stampe, quadri, libri, fotografie; mezzi di trasporto (biciclette, moto, ecc.), oggetti di culto e tanto altro materiale.
Attrezzature agricole varie
In molti casi gli oggetti raccolti sono stati sottoposti ad un attento restauro, riportandoli alla loro originaria funzionalità.
Tutto questo ad opera di un “pimpante” sessantenne “poggioimperialese”.
Si tratta di Leonardo Iadarola, classe 1948”, per gli amici “Nardino”; uno dei figli del più noto Nazario Iadarola: “Lazzàr(e) u bidéll(e)”, un riferimento storico per diverse generazioni – me compreso – nei ricordi delle “elementari” frequentate a Poggio Imperiale.
Macchinario agricolo
Giovanissimo, nel 1961, “Nardino” si è trasferito in Lombardia, a Milano, ove ha avuto l’opportunità e la perseveranza di specializzarsi, acquisendo la qualifica di “tubista industriale”.
Nel 1977 ha fatto ritorno in paese per mettere a frutto la propria capacità professionale, raggiungendo livelli di tutto rispetto.
Ed è proprio qui, a Poggio Imperiale, che ha “scoperto” la sua passione per le cose antiche, cominciando pian piano a raccoglierle e a conservarle in alcuni angoli dei suoi “capannoni industriali”, allestendo gradualmente una notevole “esposizione”.
Macchina per la cucitura delle pelli
Oggi, la raccolta di “Nardino” può ben definirsi una “collezione” a pieno titolo, sia per quanto attiene alla quantità degli oggetti, sia con riguardo alla varietà degli articoli disponibili.
Arnesi di vario genere
Ho avuto modo di visitare i capannoni con mia moglie, nei primissimi giorni di gennaio 2010, nel corso della nostra permanenza in paese per le festività di fine anno, e devo dire – ad onor del vero – che siamo rimasti inizialmente stupiti e poi via via affascinati dalla presenza di tanto materiale, che richiama alla mente un tempo che non c’è più.
Utensili domestici
E’ tutto molto interessante, ma forse l’iniziativa di “Nardino” andrebbe valorizzata all’interno del del paese, ma ancor di più all’esterno, onde dare visibilità, attraverso un circuito virtuoso di mostre, visite scolastiche, circuiti turistici, ecc., alla vita, alle tradizioni, alla storia, agli usi e ai costumi dei “poggioimperialesi” che hanno vissuto prima di noi.
Ritengo che la conoscenza delle nostre radici ci consente di meglio sviluppare il nostro futuro.
Ed è bene che i giovani e le nuove generazioni ne prendano atto facendo un “tuffo nel passato” …con una visita alla “raccolta” delle “antiche cose” di “Nardino” … per poi ridestarsi … nell’epoca del benessere (e del “superfluo”) e … magari … provare a fare qualche “raffronto”!
Inoltre, al fine di non disperdere il “patrimonio” raccolto, un passaggio successivo dovrebbe riguardare la catalogazione di tutto il materiale per categoria, con descrizione e numerazione di ogni reperto, supportato da documentazione fotografica.
Tutto questo, eventualmente, nella prefigurazione di una “pubblicazione/catalogo” da mettere a disposizione dei visitatori e di tutti gli estimatori delle belle “cose antiche” di Poggio Imperiale.
Biciclette di vario tipo
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Per prendere contatti con “Nardino”:
“ARTIGIANTUBI snc”
71010 Poggio Imperiale (Foggia)
Tel. 0882 994288
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E … sempre a proposito dell’aurora: Andrea Arnaboldi !
Tra i commenti ricevuti sul mio Blog www.paginedipoggio.com – “Come la penso io!” – corre l’obbligo di segnalarne uno di particolare interesse.
Si tratta di un commento al mio articolo dal titolo:
L’aurora (del 18/11/2009)
Il commento, che riporto integralmente qui di seguito, è dell’autore dell’opera lirica “L’Aurora di Gerusalemme”, da me citata nel predetto articolo.
Commenti
"Buongiorno, Volevo ringraziarla per il commento sull’opera "L’aurora di Gerusalemme". Se può interessare ho scritto un’altra opera "Dante racconta l’Inferno" sulla Divina Commedia. La prima nel suo genere: www.linferno.org Nel ringraziarla ancora invio cordiali saluti Andrea Arnaboldi (inviato il 15/01/2010)".
Avevo riportato nel mio articolo che … a proposito dell’aurora … “C’è anche una splendida opera lirica sulla riconquista del Santo Sepolcro, di Andrea Arnaboldi tratta dalla "Gerusalemme Liberata" di Torquato Tasso, intitolata: " L’Aurora di Gerusalemme ".
L’autore ci fa ora sapere che ne ha composta anche un’altra tratta dalla Divina Commedia di Dante, dal titolo: "Dante racconta l’Inferno".
E, curiosando sul sito www.linferno.org abbiamo acquisito qualche informazione in più sul personaggio e sulle sue opere.
Dal sito www.linferno.org
" Andrea Arnaboldi
Compositore, intraprende in giovane età gli studi di pianoforte e composizione. Diviene membro della Commissione Artistica Regionale dell’Anbima e di giurie presso prestigiosi concorsi corali nazionali. Contemporaneamente si laurea a pieni voti in scienze politiche presso l’Università Cattolica di Milano. Di formazione compositiva classica, si indirizza da sempre alla ricerca della teatralità del comporre musicale, adeguandolo ai generi musicali più disparati: dal melodramma alla musica corale polifonica, dalla canzone d’autore al dramma musicale. Sulla scorta di alcune importanti collaborazioni con Francesco Guccini e Fabrizio De Andrè, arrangia per ensemble corali opere degli stessi, all’interno di un progetto edito dalla EMI Music Italy e trasmesse regolarmente in TV e in radio. Autore eclettico, ha seguito le orme del melodramma italiano, perseguendo in particolar modo i lasciti della Scuola Verista, elaborando uno stile che coniuga l’accento drammatico del testo, nel solco della tradizione verdiana, e l’espressionismo verista, caratterizzato dall’impeto e dall’avvincente gioco timbrico sinfonico. Di grande impatto sono i suoi lavori su testi di poesia colta e a questo riguardo grande successo ha ottenuto uno dei suoi più importanti lavori, L’Aurora di Gerusalemme (2002), su libretto ispirato all’opera La Gerusalemme Liberata del Tasso. Si segnala come ultimo lavoro appunto Dante racconta l’ Inferno, sulla stregua del poema dantesco di cui è autore del libretto, delle musiche e di diverse orchestrazioni " .
Complimenti Maestro !
E tantissimi auguri per un futuro costellato di ulteriori soddisfazioni ed altrettanto successo.
Natale 2009: il Presepe Vivente a Poggio Imperiale
Anche quest’anno l’Azione Cattolica poggioimperialese ha riproposto il Presepe Vivente.
La manifestazione è stata inserita nell’ambito del programma delle festività natalizie e di fine anno ed ha avuto luogo in paese la sera di domenica 3 gennaio 2010.
Dopo la Santa Messa serale celebrata dal parroco Don Luca, anticipata per l’occasione alle ore 18,00, sono entrati in scena i tre Re Magi e due angioletti che, seguiti dalla cittadinanza in processione, hanno raggiunto, partendo dalla Chiesa Parrocchiale di San Placido Martire, la Chiesa del Cuore di Gesù, in prossimità della quale era stato allestito il Palazzo del Re Erode.
E, da qui, hanno poi iniziato il loro cammino verso la Grotta della Natività del Bambino Gesù, soffermandosi nelle diverse tappe ove erano stati ambientati i luoghi e i personaggi del Presepe.
Foto gentilmente resa disponibile da Alfonso Chiaromonte
Ogni tappa è stata accompagnata da letture di approfondimento riferite agli eventi, fino alla Grotta, meta finale del percorso, concluso con la recita di alcune preghiere di rito guidata dallo stesso Don Luca.
Le ambientazioni sono state realizzate all’interno di antiche e vecchie strutture del centro storico di Poggio Imperiale, un tempo adibite a botteghe artigianali, cantine, stalle o anche umili abitazioni , ma anche all’esterno, valorizzando particolari e suggestivi scorci del paesaggio urbano del paese.
Al termine del rito formale della processione, le viuzze del centro storico interessate dal percorso del Presepe Vivente, transennate e cosparse di paglia, hanno d’improvviso iniziato ad animarsi festosamente e persone di ogni età hanno cominciato ad interagire con i vari personaggi del Presepe, i quali offrivano ai visitatori i prodotti che stavano man mano preparando nei diversi luoghi.
Quindi, una vera e propria degustazione di antichi cibi di Poggio Imperiale, sapientemente preparati – al momento – dalle abili mani di concittadine e concittadini in costumi tradizionali ed in ambienti che richiamavano le vecchie tradizioni paesane.
Pan cotto alle verdure, bruschette, scarpelle, tarallucci, ceci e fave abbrustolite; questi i cibi di un tempo offerti insieme a qualche buon bicchiere di vino rosso.
Grande l’affluenza della cittadinanza che ha preso parte all’evento.
Un ringraziamento speciale ad Alfonso Chiaromonte per la foto.
Liquori di agrumi del Gargano: il “LIMOLIVO” e il “LIMONCELLO”.
La delizia dei liquori di agrumi del Gargano può accompagnare, in tutte le stagioni, la fine di un buon pasto, anche con effetto digestivo.
Ma anche fuori pasto, da sorseggiare con squisiti dolcetti secchi, alla frutta, alla crema o al cioccolato, oppure semplicemente sul gelato.
Gli aranceti e i limoneti del Gargano, conferiscono al paesaggio un particolare colore, offerto proprio dai limoni e dalle arance, dando luogo ad un affascinante contrappunto con il verde-argenteo degli olivi ed il blu intenso del mare.
Queste terre hanno dato vita a tradizioni che si tramandano da generazioni. Tra queste, una delle più importanti è sicuramente un’antica ricetta dalla quale si ricava un liquore chiamato “Limolivo” che è il parente stretto del più conosciuto “Limoncello”.
Il Limoncello
Il “Limolivo” è uno squisito liquore amaro di ineguagliabile sapore antico. Racchiude in se l’armonia dei profumi delle arance, dei limoni e delle foglie di olivo, vera ricchezza delle aspre terre del Promontorio del Gargano. E’ lo sposalizio della natura con l’arte di racchiuderla in un liquore unico.
Il Limolivo
Tale prodotto, considerato un amaro dall’aspetto semipastoso, ha colorazione scura tipica di questa categoria di alcolici, seppure perfettamente fluido. E’ nato con l’intento di esaltare la bellissima colorazione che le foglie di olivo cedono all’alcool quando questo viene messo a contatto con esse.
Il “Limolivo” è una specialità del Gargano ed in particolare di Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia, la località famosa per la presenza della Grotta di San Michele Arcangelo.
Si tratta di un posto affascinante da un punto di vista paesaggistico giacchè situato in collina con una bella vista sul mare; a pochi chilometri da Monte Sant’Angelo si trova la famosa località balneare di Mattinata.
Il Santuario di San Michele sorge all’incrocio delle strade che conducono a Manfredonia, a San Giovanni Rotondo, ove è sepolto Padre Pio da Pietrelcina, e alla Foresta Umbra. Entrando nel complesso, colpisce immediatamente il maestoso campanile detto anche la “Torre Angioina”, eretto da Carlo I d’Angiò come ringraziamento a San Michele Arcangelo per la conquista dell’Italia meridionale, iniziato nel 1274 durante il Pontificato di Gregorio X (1271-1276), progettato dall’architetto Giordano, originario di Monte Sant’Angelo e completato nel 1282. La Torre era originariamente alta 40 metri, poi fu ridotta agli attuali 27 metri di altezza per motivi sconosciuti, secondo alcuni per effetto di un fulmine o per collocarvi le campane.
Ma lo spettacolo più affascinante, è offerto dalla Grotta di San Michele Arcangelo: la caverna, dall’irregolare volta rocciosa, che nell’arco dei secoli ha accolto milioni di pellegrini; sono presenti varie statue e bassorilievi, ma ciò che colpisce è proprio la conformazione davvero particolare della grotta, ascoltare una messa lì è esperienza emozionante per chiunque, anche per i non credenti.
E, in tale mistico contesto, sopravvivono anche ricette semplici ed antiche; non si tratta di lunghe e difficili distillazioni o di misture dagli ingredienti segreti, cose lontanissime dalla cultura contadina, ma di semplici infusioni in alcool di prodotti della terra del Gargano.
Il “Limolivo” è uno squisito liquore amaro di ineguagliabile sapore antico; racchiude in se l’armonia dei profumi delle arance, dei limoni e delle foglie di olivo, vera ricchezza delle aspre terre del promontorio del Gargano.
Il “Limoncello” è un piacevolissimo liquore prodotto artigianalmente dalla lenta e sapiente macerazione delle profumatissime scorze di limoni del Gargano.
Il Gargano, grazie alla sua composizione calcare, produce allo stato naturale un limone dal profumo inconfondibile.
Di “Limolivo” e di “Limoncello” se ne trova in commercio di ogni tipo e marca, ma quello che si riesce a preparare in casa, con le proprie mani, seguendo le semplici ricette tramandate dalle nostre nonne, è senza dubbio il più gustoso.
Ricetta del LIMOLIVO
Dose ridotta (prova)
Far macerare in 400 ml di alcool etilico le bucce di 2 limoni, 2 arance e 2 mandaranci (eliminare bene la parte bianca) e 5 foglie di olivo, per 10 giorni.
Filtrare bene l’infuso.
Portare ad ebollizione 600 ml di acqua con 300 gr. di zucchero.
Preparare 100 gr. di zucchero caramellato.
Amalgamare bene con un cucchiaio di legno tutti gli ingredienti precedentemente preparati ed imbottigliare il liquore così ottenuto.
Si consiglia di tenere la bottiglia di “Limolivo” in freezer e di servire il liquore ben ghiacciato in bicchierini.
Ricetta del LIMONCELLO
Dose ridotta (prova)
Far macerare in 400 ml di alcool etilico le bucce di 2 limoni, 2 arance e 2 mandaranci e, se disponibile, anche la buccia di un cedro (eliminare bene la parte bianca), per 10 giorni.
Filtrare bene l’infuso.
Portare ad ebollizione 600 ml di acqua con 400 gr. di zucchero.
Amalgamare bene con un cucchiaio di legno tutti gli ingredienti precedentemente preparati ed imbottigliare il liquore così ottenuto.
Si consiglia di tenere la bottiglia di “Limoncello” in freezer e di servire il liquore ben ghiacciato in bicchierini.
Il “San Giovanni ” di Leonardo torna a Milano dopo 70 anni
Sabato 5 dicembre io e mia moglie abbiamo avuto l’opportunità di visitare la mostra “Leonardo a Milano – Dal museo del Louvre a Palazzo Marino – Esposizione straordinaria del San Giovanni Battista di Leonardo”.
Il capolavoro leonardesco è tornato a Milano dopo 70 anni; mancava dal 1939 allorchè venne esposto alla Triennale.
E’ stato riportato nel capoluogo lombardo grazie alla partnership con il museo parigino del Louvre e resterà esposto per un mese, fino al 27 dicembre, nella Sala Alessi di Palazzo Marino.
Proprio Milano è stata la città che adottò Leonardo da Vinci, che però portò il San Giovanni con sè ad Amboise, in Francia, dove trascorse l’ultimo periodo della sua vita.
Oggi il museo del Louvre sceglie Milano per un ritorno atteso e felice del grande genio italiano Leonardo, unico per la sua personalità di grande innovatore.
Realizzato a Firenze fra il 1508 e il 1513 per volere di Giovanni Benci (1), questo dipinto ad olio su una tavola di 69cm x 57cm fu terminato a Milano prima di essere portato in Francia dallo stesso Leonardo, che lo custodiva gelosamente nel suo studio a Cloux.
Nella Sala Alessi, grazie a un perfetto sistema di illuminazione, il visitatore può cogliere uno ad uno i molti frammenti che danno vita a questa immagine: dal sorriso ai lunghi riccioli biondi, per alcuni il segno conclamato dell’ambiguità sessuale di questo giovane, fino a quel dito puntato in alto, verso l’aldilà divino, invisibile al nostro sguardo.
Il San Giovanni è un olio su tavola (legno di noce) considerato uno degli ultimi dipinti di Leonardo. Arriva dal Louvre di Parigi, dove è conservato insieme alla Gioconda e a Sant’Anna, la Vergine e il Bambino.
Il “prestito” è nato dalla collaborazione tra il celebre museo parigino, il Comune di Milano, il Ministero dei Beni Culturali ed ENI (Ente Nazionale Idrocarburi).
L’allestimento della mostra risulta molto sobrio; il capolavoro è stato tolto dalla cornice ed esposto tra quattro pareti (pannelli) nere, senza la presenza di altri quadri.
Questo consente di potersi concentrare solo ed esclusivamente su di esso, potendo così osservare ed apprezzare l’unicità e la preziosità dell’opera del grande maestro.
Si riesce a guardare negli occhi di San Giovanni Battista e restare ammaliati dallo sguardo di questo “giovane” e dal suo sorriso forse un po’ ambiguo, complice quell’indice puntato verso l’alto, verso una dimensione superiore.
In una sala attigua viene invece proiettato un interessante ed originale “filmato”, girato appositamente per illustrare l’evento, integrato con tratti storici di riferimento risultanti di notevole interesse.
(1) Un altro capolavoro di Leonardo da Vinci è la “Ginevra de’ Benci”, esposto negli Stati Uniti d’America presso la prestigiosa “National Gallery of Art” di Washington DC.
Raffigura la fiorentina Lisa Gherardini; Monna Lisa Gherardini moglie dello stesso Giovanni Benci, amico di Leonardo, che ha commissionato al maestro il “San Giovanni Battista” esposto al Louvre di Parigi ed ora “in prestito” per un mese a Milano (dal 27 novembre al 27 dicembre 2009).
Per maggiori dettagli sulla “Ginevra de’ Benci” di Leonardo è possibile “sfogliare” gli articoli di questo Blog e ricercare “Leonardo da Vinci di casa in America con Ginevra Benci” dell’11.5.2009.
La 7^ Edizione della “MicroEditoria” di Chiari 2009 dedicata alla memoria della poetessa scomparsa Alda Merini.
Anche quest’anno, nei giorni 13, 14 e 15 novembre 2009, nella splendida cornice di Villa Mazzotti di Chiari (Brescia), si è tenuta la consueta “Rassegna della MicroEditoria”, giunta alla sua settima edizione.
Più di 100 gli Editori intervenuti, tra i quali le EDIZIONI DEL POGGIO www.edizionidelpoggio.it del Dott. Giuseppe Tozzi di Poggio Imperiale (Foggia), già presente lo scorso anno; 50 gli Eventi programmati oltre ai Laboratori scientifici e letture per bambini.
Stand Edizioni Del Poggio
L’edizione 2009 è stata dedicata alla memoria di Alda Merini, madrina della manifestazione.
Alda Merini, prima ospite importante della Microeditoria durante la prima edizione, è stata colei che ha consentito di far conoscere e far decollare la manifestazione, così come è stata colei che, partecipando alla conferenza stampa dell’anno successivo, ha fatto sì che, dopo il lancio, anche il proseguimento dell’evento si consolidasse, sotto le sue ali, che sapevano volare davvero alto.
In questa edizione è stata ricordata come un “inno alla vita”, con l’affetto e la riconoscenza dovuti per la grande poetessa e soprattutto per la grande donna, da sempre capace di cantare la bellezza e l’afflizione, di camminare su linee sospese tra quelle che la gente chiama ragione e follia, di parlare a piccoli e grandi, indifferentemente.
Tra gli ospiti invitati quest’anno all’evento:
– Margherita HACK astrofisica;
– Vittorio MESSORI autore di “Ipotesi di Gesù”;
– Sergio RIZZO autore de “La Casta”;
– Enzo DE CARO attore;
– Vittorio PRODI eurodeputato, Commissione Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Ambientale.
Numeroso il pubblico ed i visitatori affluiti.
Tema dell’anno: “Il desiderio di uscita dalla crisi e la voglia di alzare lo sguardo al cielo, celebrando anche l’Anno internazionale dell’astronomia”.
Ecco allora l’editoria attenta, che si muove con supporti modernissimi, offrendo soluzioni innovative come gli audiobook, da ascoltare, oltre che da leggere e toccare, come l’opera Siddartha di Herman Hesse, letta dall’attore Enzo De Caro.
In omaggio alla madrina Alda Merini, a cui l’associazione «L’impronta» ha dedicato la settima edizione, Enzo De Caro (sala Zodiaco) e Antonella Barina (sala Morcelli) hanno letto poesie della poetessa recentemente scomparsa.
Organizzazione:
L’associazione culturale “L’Impronta” e il Comune di Chiari, con il patrocinio del Consiglio Regionale della Lombardia, della Provincia di Brescia e dell’Universita’ Cattolica di Milano, in collaborazione con il Parlamento Europeo, il Sistema Bibliotecario Sud Ovest Bresciano, la Fondazione Cogeme Onlus e il Centro Giovanile 2000, hanno voluto promuovere questa rassegna per valorizzare la produzione della piccola editoria italiana e perche’ il pubblico avesse l’opportunita’ di conoscere questa realta’ attraverso i volti dei suoi protagonisti.
La “Villa Mazzotti” di Chiari (Brescia)
La Villa Mazzotti Biancinelli sorge in un parco di circa 10 ettari. Fu commissionata dal conte Ludovico Mazzotti Biancinelli all’architetto Antonio Vandone di Torino, che la realizzo’ fra il 1911 ed il 1919 con la collaborazione dell’architetto Citterio.
L’aurora
Nella scorsa primavera, in aereo, nel corso del viaggio di ritorno dagli Stati Uniti d’America, complice l’insonnia che solitamente accompagna me e mia moglie in tutti i trasferimenti, di qualsiasi tipo, abbiamo avuto modo di goderci l’aurora di un nuovo giorno che pian piano cominciava a delinearsi.
Uno spettacolo unico nel suo genere.
La luce dell’aurora assume inizialmente tonalità di colore lilla-lavanda per poi passare ad un più surreale pesca-arancio.
In quota, dal finestrino dell’aereo, dal buio più profondo della notte abbiamo iniziato a scorgere le prime lievi note di luce; un momento affascinante in cui le ombre della notte lentamente si diradano e comincia ad avanzare un chiarore che illumina lentamente e sempre di più il cielo.
L’aurora è stata nei secoli molto amata dai poeti e dai pensatori, e continua ad esserlo tuttora, perché rappresenta un momento magico e misterioso al tempo stesso.
Omero magnifica la dea Aurora, sia nell’Odissea che nell’Iliade, attribuendole “dita di rosa”, circa venti volte nei suoi versi: “ Quando, figlia di luce, brillò l’Aurora dita rosate …”.
A questa dea era attribuito il dono di aprire le porte del Cielo al carro del Sole semplicemente con il tocco delle dita color di rosa.
Quella che i romani chiamavano Aurora era la dea Eos della mitologia greca.
Appartiene alla prima generazione divina, quella dei Titani.
E’, infatti, figlia di Iperione e di Teia e sorella di Elio e di Selene; secondo altre tradizioni, era figlia di Pallante.
Con Astreo, un dio della stessa stirpe, generò i Venti: Zefiro, Borea e Noto, e così la “Fiaccola dell’Aurora” e gli Astri.
La sua leggenda è totalmente costellata dei suoi amori: un tempo, si racconta, si era unita ad Ares, attirandosi così la collera di Afrodite, che l’aveva punita facendone un’eterna innamorata.
Amò e portò con sé numerosi giovani noti per la loro straordinaria bellezza, come Orione, Cefalo e Titone, che divenne suo sposo.
Ovidio la chiama infatti “sposa di Titone”, mentre Dante nomina Aurora nel canto II e nel canto IX del Purgatorio , dove è citata come “la concubina di Titone antico”.
Anche nella musica l’Aurora ha sempre ispirato compositori classici e moderni.
Dell’Aurora ritroviamo “le rosee sue dita” nella “Mattinata” di Ruggero Leoncavallo, scritta per Enrico Caruso nel 1903 e successivamente cantata anche da Luciano Pavarotti e da Al Bano (nella sua versione rivisitata).
L’aurora di bianco vestita
Già l’uscio dischiude al gran sol;
Di già con le rosee sue dita
Carezza de’ fiori lo stuol!
C’è anche una splendida opera lirica sulla riconquista del Santo Sepolcro, di Andrea Arnaboldi tratta dalla “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso, intitolata: “ L’Aurora di Gerusalemme “.
Ed ancora, Eros Ramazzotti così canta nella sua canzone dal titolo “L’Aurora”:
. … sarà sarà l’aurora
per me sarà cosi
sarà sarà di più
ancora tutto il chiaro che farà…
Il “grano dei morti”.
Le tonde zucche arancioni e i primi freddi autunnali annunciano la prossima festa di “Halloween” che da qualche tempo sta prendendo piede anche nel nostro paese.
Una zucca di Hallowen
Negli Stati Uniti d’America è in uso mettere in giardino, la sera del 31 ottobre, sulla finestra o davanti alla porta di ingresso, grandi zucche arancioni svuotate della polpa in cui sono intagliati occhi accigliati, nasi satanici e bocche senza denti nel cui interno vengono infilate grosse candele accese.
La luce delle candele, penetrando dalle cavita’, crea effetti singolari e sinistri e questa sorta di “teschi” che originariamente avrebbero dovuto allontanare le occulte presenze, oggi acquistano un valore di “festoso” invito.
“Halloween” diventa quasi una gara tra chi possiede piu’ zucche e tra chi riesce a creare le facce piu’ originali, terribili e spiritose.
I giovani, travestiti da fantasmi, scheletri e streghe, si riuniscono in gruppi girando di casa in casa mimando il ritorno dei defunti e ripetendo “Trick or Treat”, che significa “Inganno o Offerta”; “Scherzo o Dolce”.
Pure da noi è ormai un classico, tra bambini, ragazzi e giovani, ripetere il motto: “Scherzetto o Dolcetto?”, “omologandosi” di fatto ai loro coetanei statunitensi.
E, questo, pare che si registri non solo in Italia, ma via via in ogni parte del mondo!
Le nuove usanze vanno così a sostituire le vecchie e consuete tradizioni che, in ogni paese, caratterizzavano un tempo la “festività dei morti”.
Nella tradizione “foggiana”, ad esempio, il “grano” faceva parte delle celebrazioni rituali “dei morti”.
Si usava mangiarlo in novembre in suffragio dei morti e rappresentava uno dei cibi rituali che scandivano il tempo della festa e del lavoro nella civiltà contadina.
E tale tradizione continua ancora oggi.
Una ciotola di “grano dei morti”
Il grano viene cotto ed amalgamato al mosto cotto, arricchito con chicchi di melograno e cioccolato fondente spezzettato, e quindi servito in ciotole individuali per essere gustato a fine pasto come dolce al cucchiaio, in abbinamento a un vino da dessert.
La tradizione del “grano dei morti” è presente, oltre che in Puglia, anche in altre regioni meridionali come la Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.
E sono tante le varietà degli ingredienti che in ogni località vengono aggiunti al grano cotto; si va dalla cannella alle noci o mandorle sgusciate, zucchero, cedro candito, uva passa ed altro.
E’ una specialità che si tramanda da generazioni nel “foggiano” per la ricorrenza dei morti.
Ingredienti per la preparazione del “grano dei morti” nel foggiano
Nell’area salentina questo dolce è detto “colva” o “coliba”, termine preso in prestito dal bizantino “kolba” che, a sua volta, deriva dal greco “koliva”; in altre parti della Puglia e’ conosciuto col termine dialettale di “cicc cuott”.
Nell’antica Grecia gli ingredienti di questo particolare dolce, grano e melograno combinati insieme, erano offerti a Demetra, dea dell’agricoltura e alla figlia Kore che, rapita da Fiutone, nell’Ade aveva assaporato i chicchi rossi.
Ancora oggi, in qualche parte della Grecia, fino a quaranta giorni dopo un decesso, si consuma grano cotto sulla tomba del defunto.
A partire dal neolitico, in area egea, il culto dei morti appare in tutta evidenza collegato con i riti stagionali della fertilità, e del ciclo del grano in particolare, nei quali il rifiorire della vita in primavera era messo in relazione con la resurrezione dalla tomba.
La dimensione magico-religiosa che accompagnava il lavoro agricolo era parte di un più complesso universo mitico-rituale.
Con le feste della “mietitura” si conclude il ciclo della spiga. Un ciclo che ha avuto inizio 7/8 mesi prima, al momento della semina, quando i chicchi sono stati introdotti nel seno della terra e affidati alle sue forze sotterranee.
La spiga, dal momento in cui si è alzata e irrobustita sullo stelo (aprile-maggio), si è tratta fuori dall’influenza delle potenze sotterranee. Anche esse però vanno ringraziate per quanto hanno fatto.
Se infatti la Commemorazione dei defunti apre il mese di novembre e la semina, i riti della rinascita primaverile, del periodo marzo-aprile, sono le ultime feste dei morti. In esse si saluta la vita nuova mentre si esprime gratitudine alle entità che hanno sostenuto il processo generativo.
Questo passaggio è nel Cristianesimo riassunto ed esplicitato dalla stessa vicenda del Cristo.
Il Risorto, non a caso, reca in mano un mazzo di spighe: egli è il Signore delle spighe.
La Settimana Santa è pertanto il luogo e il tempo del ritorno e del passaggio; è l’ultima festa della Terra e dei Morti.
La semina è dunque indissolubilmente correlata al culto delle divinità sotterranee e dei morti.
La coltivazione del grano risale a 5000 anni fa e sin dall’antichità ha rappresentato un alimento principale, semplice e nutriente.
Il grano è un cereale che si distingue in “grano duro” a frattura vitrea idoneo per la trasformazione in semola e pasta e “grano tenero” a frattura farinosa per la farina, per farne pane e dolci.
Tra prodotti tipici pugliesi più famosi figura il pane di Altamura, l’unico pane in Italia in grado di fregiarsi del marchio DOP.
Dal grano duro coltivato in Puglia non si produce solo pane, ma anche pasta fresca, come le orecchiette, il cui formato si erge a simbolo della Regione nel mondo intero.