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Mar

In Lombardia ai tempi del coronavirus

Per effetto del dilagarsi dell’epidemia da coronavirus, che dopo aver flagellato la Cina, si sta man mano diffondendo anche in buona parte degli altri Paesi del mondo, da stamattina e fino al prossimo 3 aprile tutta l’Italia diviene un’unica “zona protetta”, con il conseguente superamento delle precedenti distinzioni tra la Lombardia e le 14 province (rientranti nella cosiddetta zona rossa: ad alto rischio) e il resto della penisola, isole comprese.

In Europa, è proprio in Italia che si è manifestato il maggior numero dei casi di contagio (e di decessi) localizzati soprattutto in Lombardia, a partire dell’area della “Bassa Lodigiana” per  estendersi successivamente anche in tutte le altre province, con picchi che stanno compromettendo la tenuta delle strutture ospedaliere esistenti.

Gli spostamenti interni delle persone per motivi di lavoro, studio, salute, svago, turismo ed altro, hanno poi fatto il resto, propagando così la diffusione del virus Covid-19, fino a toccare un po’ tutta la nazione.La zona rossa, inizialmente prevista per la sola “Bassa Padana” in Lombardia e per una piccola area del “Padovano” in Veneto, è stata successivamente estesa all’intera Regione Lombardia e ad altre 14 Provincie del Nord Italia, ma a fronte di una epidemia che si stava progressivamente estendendo, si è reso necessario da parte del Governo decretare lo stato di allerta generale, fino a definire “zona protetta” l’Italia intera.

Chiuse le scuole di ogni ordine e grado, come anche cinema, teatri e musei; sospese la manifestazioni di qualunque genere (campionati di calcio e di altri sport compresi), come pure la celebrazioni delle Messe nelle Chiese. Bar e ristoranti aperti solo fino alle ore 18,00, a condizione che possa essere assicurato il mantenimento della distanza tra un cliente e l’altro di almeno un metro.

La popolazione viene invitata a rimanere in casa, evitando di frequentare luoghi affollati; in tutti gli uffici pubblici e privati gli ingressi vengono contingentati per evitare affollamenti al loro interno, ed altrettanto avviene anche nei supermercati. I centri commerciali  rimangono per ora aperti solo dal lunedi al venerdi, con la previsione (ne stanno ancora discutendo) di chiusura totale assieme a tutti gli altri esercizi commerciali, con l’esclusione di farmacie e negozi di alimentari e generi di prima necessità

Sono consentiti spostamenti fuori dal proprio luogo di residenza o dimora solo per motivi eccezionali e comprovati: il Ministero dell’Interno ha ufficializzato il modulo di “lasciapassare” da compilare e mostrare alle forze di Polizia addette ai controlli.

Molti i voli aerei cancellati e i treni soppressi, i pochi in circolazione viaggiano completamente vuoti, come vuoti rimangono gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e delle linee metropolitane.

Uno stop improvviso ai modelli individuali e collettivi di vita delle persone, anziane o giovani che siano; non più movida serale, aperitivo in compagnia, serata al cinema, teatro o al ristorante; non più palestre, biblioteche, viaggi culturali e turistici; non più piscine o settimane bianche sulla neve.

Senza dubbio, questa pausa (speriamo non molto prolungata) porterà la gente a fare qualche riflessione proprio sugli attuali modelli individuali e collettivi di vita, dopo aver vissuto momenti di ansia (e forse anche di paura), che hanno messo in luce la fragilità dell’essere umano di fronte all’imponderabile, anche perché occorrerà rimboccarsi le maniche per venir fuori dalla crisi anche di natura economica che  questa pandemia virale ha comportato al mondo intero.

Proprio come avvenne nel dopoguerra, perché al di là di ogni variegata connotazione, è una guerra quella che si sta combattendo in questi infausti giorni. Una guerra contro un nemico sconosciuto, subdolo e insidioso che ti aggredisce e prima di ucciderti ti trasforma da vittima ad inconsapevole “untore” capace di contagiare gli altri, rendendoti quindi ignaro portatore di morte dei tuoi simili.

E, così come avviene in guerra, a mali estremi, estremi rimedi.

Proprio quello che sta succedendo in questi giorni a Milano e in Lombardia, qualcosa che non avremmo minimamente potuto mai immaginare che potesse accadere ai nostri tempi. Ma è la guerra!

La Società italiana di anestesia, rianimazione e terapia intensiva ha diffuso un documento tecnico in cui scrive che “può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in terapia intensiva. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza”. Il dossier di anestesisti e rianimatori, “Priorità per accesso a terapie intensive”, lancia un allarme: secondo la società scientifica, il documento vuole “fornire un supporto agli anestesisti-rianimatori attualmente impegnati a gestire in prima linea, che non ha precedenti per caratteristiche e proporzioni“. “In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di ‘first come, first served’ (primo arrivato, primo servito), equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla Terapia Intensiva”.

Quindi una chiara sospensione di etica clinica per l’ammissione a trattamenti intensivi, in condizioni eccezionali di squilibrio tra necessità e risorse disponibili, ponendo un limite d’età, basato sulle maggiori possibilità di sopravvivenza.

“Siamo consapevoli – continua il documento – che affrontare questo tema può essere moralmente ed emotivamente difficile. Come Società scientifica avremmo potuto (tacendo) affidare tutto al buon senso, alla sensibilità e all’esperienza del singolo anestesista rianimatore, oppure tentare (come abbiamo scelto di fare) di illuminarne il processo decisionale con questo piccolo supporto che potrebbe contribuire a ridurne l’ansia, lo stress e soprattutto il senso di solitudine. Non è la Siaarti, con questo documento di raccomandazioni, a proporre di trattare alcuni pazienti e di limitare i trattamenti su altri – concludono – al contrario, sono gli eventi emergenziali che stanno costringendo gli anestesisti-rianimatori a focalizzare l’attenzione sull’appropriatezza dei trattamenti verso chi ne può trarre maggiore beneficio, laddove le risorse non sono sufficienti per tutti pazienti”.



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