Halloween 2025 di Lorenzo Bove
Tra qualche giorno ritorna, come avviene ormai da qualche anno anche in Italia, la festa di Halloween, che coinvolge soprattutto i più giovani, ma non solo loro, in una baraonda di iniziative di vario genere tra “scherzetti o dolcetti”,“travestimenti macabri”,“cene a tema” e quant’altro di più lugubre possibile, tra il serio e il faceto.
Halloween 2025 si festeggerà venerdì 31 ottobre, vigilia di Ognissanti (il 1° novembre) e a ridosso della Commemorazione dei Defunti del 2 novembre.
La ricorrenza dei morti è un momento dell’anno molto suggestivo nella tradizione italiana; ma lo era anche in passato, a seconda delle tradizioni locali, nel pieno rispetto di disciplinari canonici non scritti, seguiti pedissequamente dalle varie popolazioni.
A Poggio Imperiale (in origineTarranòve), era la notte dei regali: i morti si recavano nottetempo (un po’ come la Befana) nelle case dei parenti e riempivano le calze, appese dai bambini con la complicità dei loro genitori, di melecotogne, melograni, castagne, mandorle, noci, fichi secchi, ecc., od anche di carbone per quelli monelli.
La notte si lasciava la tavola apparecchiata con delle pietanze per i defunti, che sarebbero passati di lì nel corso della famosa processione collettiva di tutti i morti del paese, nel cuore della notte, partendo dal Cimitero fino alla Chiesa di san Placido Martire e ritorno al Cimitero, dopo aver fatto il giro della piazza Imperiale. E tutti a letto, sotto le coperte, poiché non era assolutamente permesso ai vivi di prendervi parte, o anche solamente cercare di guardare dal buco della serratura o di origliare: gli eventuali trasgressori sarebbero morti all’istante.
E, di giorno, i bambini, trascinandosi sulle spalle lunghi calzettoni, facevano il giro dei parenti per la questua di regali (gli stessi di quelli sopra menzionati), intonando una tipica filastrocca locale, che faceva così:
Cecijotte cecijotte a l’aneme d’i morte
Cecijotte cecijuttèlle a l’aneme d’i murtecèlle
Lacrime lacrime per l’anima dei morti
Lacrime lacrimucce per l’anima dei morticini
E, tra le varie tradizioni del territorio, si rinviene il cosiddetto “grano dei morti”, una pietanza (oggi diremmo: un dessert) che veniva preparato per l’occasione, e del quale ho ampiamente parlato in un mio articolo pubblicato il 27 ottobre del 2009 su questo mio stesso Sito/Blog www.paginedipoggio.com, che riporto qui di seguito, per chi volesse approfondire l’argomento.
Le tonde zucche arancioni e i primi freddi autunnali annunciano la prossima festa di “Halloween” che da qualche tempo sta prendendo piede anche nel nostro paese.

Foto by Lorenzo Bove
Negli Stati Uniti d’America è in uso mettere in giardino, la sera del 31 ottobre, sulla finestra o davanti alla porta di ingresso, grandi zucche arancioni svuotate della polpa in cui sono intagliati occhi accigliati, nasi satanici e bocche senza denti nel cui interno vengono infilate grosse candele accese.
La luce delle candele, penetrando dalle cavita’, crea effetti singolari e sinistri e questa sorta di “teschi” che originariamente avrebbero dovuto allontanare le occulte presenze, oggi acquistano un valore di “festoso” invito.
“Halloween” diventa quasi una gara tra chi possiede piu’ zucche e tra chi riesce a creare le facce piu’ originali, terribili e spiritose.
I giovani, travestiti da fantasmi, scheletri e streghe, si riuniscono in gruppi girando di casa in casa mimando il ritorno dei defunti e ripetendo “Trick or Treat”, che significa “Inganno o Offerta”; “Scherzo o Dolce”.
Pure da noi è ormai un classico, tra bambini, ragazzi e giovani, ripetere il motto: “Scherzetto o Dolcetto?”, “omologandosi” di fatto ai loro coetanei statunitensi.
E, questo, pare che si registri non solo in Italia, ma via via in ogni parte del mondo!
Le nuove usanze vanno così a sostituire le vecchie e consuete tradizioni che, in ogni paese, caratterizzavano un tempo la “festività dei morti”.
Nella tradizione “foggiana”, ad esempio, il “grano” faceva parte delle celebrazioni rituali “dei morti”.
Si usava mangiarlo in novembre in suffragio dei morti e rappresentava uno dei cibi rituali che scandivano il tempo della festa e del lavoro nella civiltà contadina.
E tale tradizione continua ancora oggi.

Foto by Lorenzo Bove
Il grano viene cotto ed amalgamato al mosto cotto, arricchito con chicchi di melograno e cioccolato fondente spezzettato, e quindi servito in ciotole individuali per essere gustato a fine pasto come dolce al cucchiaio, in abbinamento a un vino da dessert.
La tradizione del “grano dei morti” è presente, oltre che in Puglia, anche in altre regioni meridionali come la Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.
E sono tante le varietà degli ingredienti che in ogni località vengono aggiunti al grano cotto; si va dalla cannella alle noci o mandorle sgusciate, zucchero, cedro candito, uva passa ed altro.
E’ una specialità che si tramanda da generazioni nel “foggiano” per la ricorrenza dei morti.

del “grano dei morti” nel foggiano
Foto by Lorenzo Bove
Nell’area salentina questo dolce è detto “colva” o “coliba”, termine preso in prestito dal bizantino “kolba” che, a sua volta, deriva dal greco “koliva”; in altre parti della Puglia e’ conosciuto col termine dialettale di “cicc cuott”.
Nell’antica Grecia gli ingredienti di questo particolare dolce, grano e melograno combinati insieme, erano offerti a Demetra, dea dell’agricoltura e alla figlia Kore che, rapita da Fiutone, nell’Ade aveva assaporato i chicchi rossi.
Ancora oggi, in qualche parte della Grecia, fino a quaranta giorni dopo un decesso, si consuma grano cotto sulla tomba del defunto.
A partire dal neolitico, in area egea, il culto dei morti appare in tutta evidenza collegato con i riti stagionali della fertilità, e del ciclo del grano in particolare, nei quali il rifiorire della vita in primavera era messo in relazione con la resurrezione dalla tomba.
La dimensione magico-religiosa che accompagnava il lavoro agricolo era parte di un più complesso universo mitico-rituale.
Con le feste della “mietitura” si conclude il ciclo della spiga. Un ciclo che ha avuto inizio 7/8 mesi prima, al momento della semina, quando i chicchi sono stati introdotti nel seno della terra e affidati alle sue forze sotterranee.
La spiga, dal momento in cui si è alzata e irrobustita sullo stelo (aprile-maggio), si è tratta fuori dall’influenza delle potenze sotterranee. Anche esse però vanno ringraziate per quanto hanno fatto.
Se infatti la Commemorazione dei defunti apre il mese di novembre e la semina, i riti della rinascita primaverile, del periodo marzo-aprile, sono le ultime feste dei morti. In esse si saluta la vita nuova mentre si esprime gratitudine alle entità che hanno sostenuto il processo generativo.
Questo passaggio è nel Cristianesimo riassunto ed esplicitato dalla stessa vicenda del Cristo.
Il Risorto, non a caso, reca in mano un mazzo di spighe: egli è il Signore delle spighe.
La Settimana Santa è pertanto il luogo e il tempo del ritorno e del passaggio; è l’ultima festa della Terra e dei Morti.
La semina è dunque indissolubilmente correlata al culto delle divinità sotterranee e dei morti.
La coltivazione del grano risale a 5000 anni fa e sin dall’antichità ha rappresentato un alimento principale, semplice e nutriente.
Il grano è un cereale che si distingue in “grano duro” a frattura vitrea idoneo per la trasformazione in semola e pasta e “grano tenero” a frattura farinosa per la farina, per farne pane e dolci.
Tra prodotti tipici pugliesi più famosi figura il pane di Altamura, l’unico pane in Italia in grado di fregiarsi del marchio DOP.
Dal grano duro coltivato in Puglia non si produce solo pane, ma anche pasta fresca, come le orecchiette, il cui formato si erge a simbolo della Regione nel mondo intero.
N.d.A.: Il “grano dei morti” riportato nelle foto sopra riportate è stato preparato da Elvira Antonietta Palmieri, secondo la ricetta tradizionale della cognata (foggiana di residenza) Giovanna Bove.

Foto di repertorio da Internet