Category Archives: Blog
Borsa al tracollo e spread alle stelle

Si sta consumando in queste ore di un tiepido giorno di fine settembre, l’annunciato “trionfo” della scorsa notte di una manovra economica (Def – Documento di economia e finanza 2019 – 2021), la cosiddetta “manovra del popolo”, sbandierata come strumento che eliminerà la povertà, le disuguaglianze, ma soprattutto elargirà il reddito e la pensione di cittadinanza, abbassando nel contempo le tasse (flat tax) e l’età pensionabile dei cittadini.
Oggi, venerdi 28 settembre 2018, la Borsa italiana è al tracollo e lo spread (indicatore della capacità di un paese di restituire i prestiti) alle stelle!
Una seduta del Consiglio dei ministri travagliata, con la minaccia di dimissioni del Ministro dell’Economia (fatte rientrare – a quanto pare – dall’intervento del Capo dello Stato), che cerca strenuamente di mantenere la barra dritta, a fronte di pretese assurde finalizzate esclusivamente a mantenere o procacciarsi ulteriori consensi elettorali.
Conclusioni: una manovra in deficit del 2,4% nel rapporto debito PIL (prodotto interno lordo).
Un “trionfo” annunciato in maniera inusuale e sguaiata da un gruppetto di politici, affacciati addirittura al balcone di Palazzo Chigi (sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri), ad un nugolo di simpatizzanti fatti affluire (a mezzanotte) nella piazza sottostante per osannare i vincitori con acclamazioni e bandiere.
Non si era mai vista una cosa del genere!
Ed oggi, le conseguenze facilmente prevedibili di un azzardo voluto e programmato fin nei minimi particolari, senza tener conto degli effetti e delle ripercussioni.
Si dirà ora che è opera dei “poteri forti” che manipolano i mercati e che non accettano di buon grado il cosiddetto “Governo del cambiamento”.
Ma, in verità, è già da qualche mese che a furia di proclami, annunci più o meno demagogici, perfino contro l’ordine costituito, la norme, i trattati, ecc., ci stiamo facendo male da soli: gli investitori scappano e il nostro debito pubblico aumenta sempre di più, restringendo di fatto gli scarni margini di manovra possibili. Questa è la verità.
Né è possibile, peraltro, giustificare ogni cosa “in nome del popolo”, fermandosi alla mera lettura della prima parte del secondo comma dell’articolo 1 della nostra Costituzione: “La sovranità appartiene al popolo”. Perché, subito dopo, c’è una virgola seguita del dispositivo, cioè dal modo in cui la sovranità si esercita: “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. E la nostra Costituzione è abbastanza chiara e precisa al riguardo.
Foto repertorio Borsa internet
Il quinto quarto

In matematica, la “frazione” è il rapporto fra due grandezze omogenee e commensurabili, di cui la prima (numeratore ) indica quante volte si debba prendere dell’intero una parte pari alla seconda (denominatore): per es. 7/10 (sette decimi), in cui 7 è il numeratore, 10 il denominatore.
Parlare, quindi, di 5/4 (cinque quarti) è una vera e propria eresia!
Ma, a quanto pare, così non è, poiché, al di fuori della matematica (pura), qualcuno ha fatto il miracolo di concepire anche il “quinto quarto”.
Vuoi per necessità, legata innanzitutto a ragioni di sopravvivenza (la fame), vuoi per l’ingegnosità che ha contraddistinto sempre l’essere umano, sin dalla sua prima apparizione sulla faccia della Terra, sta di fatto che il concetto matematico di frazione è stato messo in discussione, per lo meno nell’ambito della culinaria, definendo così “quinto quarto” tutto ciò che dell’animale macellato non fa parte dei quattro tagli “nobili” (i due anteriori e i due posteriori), ossia frattaglie e interiora e ogni altra sua parte secondaria; in un certo senso è il quarto nascosto perché è costituito in gran parte dagli organi interni.
Ecco un elenco (non esaustivo) delle parti che lo costituiscono:
Trippa, rognoni, cuore, polmoni, fegato, milza, animelle, intestino tenue, testicoli, mammelle, cervello,lingua, coda, zampe.
Un tempo questi tagli erano destinati esclusivamente ai meno abbienti, perché considerati elementi di scarto e quindi non degni di imbandire le tavole della nobiltà e dei ceti più agiati.
La fame non consentiva di andare molto per il sottile e, quindi, qualsiasi cosa, purchè fosse commestibile, andava bene per riempire lo stomaco.
E, questo, fin tanto che la cosiddetta cucina povera non ha rotto gli ormeggi ai quali è stata per secoli ancorata, conquistando i palati degli estimatori, dallo street food (cosiddetto cibo di strada) ai ristoranti più blasonati che hanno ripreso a raccontarla e a proporla. Si parla oggi di “dieta mediterranea”, quale modello di alimentazione tradizionale e genuina da seguire per migliorare le condizioni di salute dell’umanità.
Assistiamo oggigiorno ad una inversione di tendenze gastronomiche e molti cibi, un tempo popolari, sono tornati alla ribalta, con il recupero dei piatti della tradizione contadina, che stanno riconquistando una nuova attrattiva e nuovi percorsi, senza più distinzione di classe sociale.
Ma torniamo al nostro “quinto quarto”, un esempio significativo che dimostra l’evoluzione di un cibo, prima trascurato dai palati raffinati e che ora ha cambiato il suo status quo, trasformandosi in boccone prelibato.
Anche dalle mie parti, nell’Alto Tavoliere delle Puglie, a Poggio Imperiale (Tarranòve in vernacolo), vengono riesumati, ogni tanto, alcuni piatti della cucina povera di un tempo, alcuni dei quali ricavati con i tagli del “quinto quarto”.
Ho avuto l’opportunità di riassaggiarne alcuni, nel corso dell’estate di quest’anno trascorsa in paese, preparati in casa da mia sorella Gina.
U turcenelle d’u ijallucce
Per ferragosto è usanza preparare il galletto ripieno al sugo con le orecchiette fatte a mano. Il ripieno è fatto a base di uova (mia sorella ne ha messe 20), interiora e formaggio.
Ma la specialità vera è costituita dal torcinello preparato con le zampe del galletto precedentemente ben pulite e sbollentate, fegato e durone (u frecille), prezzemolo, aglio, formaggio e peperoncino; il tutto attorcigliato con le budelline ben pulite e lavate. Il torcinello viene cucinato al sugo insieme al galletto.
A treppozze d’a ‘gnelle
La trippa di agnellino da latte viene pulita, lavata e sbollentata preventivamente; si preparano quindi dei piccoli involtini (brascijulette), farciti con aglio prezzemolo, formaggio e peperoncino, mentre con gli altri pezzi di trippa si formano dei nodini (i nnudechille). Vengono aggiunti poi nella cottura tocchetti di patate, sedano (accije e patane) e pomodorini.
Brascijulette de coteche
Le cotenne di maiale ben pulite e sbollentate vengono tagliate a pezzi di forma quadrata; farcite poi con aglio, prezzemolo, formaggio e peperoncino e avvolte con il filo per formarne degli involtini (brascijulette). Cucinate al sugo, accompagnano un bel piatto di orecchiette, cicatelli, ‘ndorcele (troccoli) o pasta alla chitarra.
Ma tutto il nostro territorio italiano è costellato di piatti in cui il “quinto quarto” la fa da padrone. Tra i più tipici:
La trippa
La regina delle frattaglie è senza dubbio la trippa, piatto tipico italiano che si realizza con le diverse parti dello stomaco del bovino. Parliamo di una ricetta così radicata nella nostra cultura gastronomica che ne esistono molte versioni. Dalla trippa alla milanese – che il vero milanese chiama Busecca – a quella alla romana, dalla genovese alla fiorentina, dalla veneta alla piemontese e chi più ne ha più ne metta. C’è chi la prepara al sugo e chi in umido, chi la vuole più brodosa e chi più asciutta.
La finanziera e il fritto piemontese
La finanziera ha le sue radici in Piemonte e la prima versione del piatto risale a tale Maestro Martino. La variante che si è consolidata nel tempo è un vero e proprio tripudio di frattaglie e per realizzarla vengono usati più tagli di carne di diversi animali. Il vitello domina, presente sotto forma di animelle e di filoni (schienale); il resto è costituito da manzo, creste, barbigli, fegatini e ovette di pollo. Sebbene piatto della cucina contadina, la ricetta deve il suo nome alla popolarità del piatto tra la gente di borsa e di banca che lo prediligeva in quanto veloce e nutriente.
Il fritto misto piemontese si prepara invece con le animelle, i rognoni, i filoni, il cervello, il fegato e i testicoli del vitello, oltre ad avanzi di macellazione di maiale e agnello.
Il lampredotto
I chioschetti dei lampredottai sono tra le principali attrazioni di Firenze. Il capoluogo toscano non sarebbe lo stesso senza il panino al lampredotto, la cui identità è strettamente vincolata a questa città. Da piatto povero regionale, ricavato da uno dei quattro stomaci dei bovini, l’abomaso, il lampredotto è ormai un’istituzione nazionale. Al naturale con salsa verde, con fagioli all’uccelletto e salsiccia, alla cacciatora con olive nere denocciolate: sono molti i condimenti a cui si presta il panino con il lampredotto.
Il fegato alla veneziana
A Venezia, il celebre fegato alla veneziana, ricetta tipica dell’intera regione, in cui il sapore deciso del fegato si accompagna a quello delle cipolle. In origine, al tempo dei romani, al posto della cipolla venivano utilizzati i fichi.
La pajata e la coda alla vaccinara
A Roma la regina delle frattaglie è la pajata, il cui nome indica la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte che, pulito ed eviscerato ma non privato del latte bevuto dal piccolo bovino, è l’ingrediente protagonista di piatti cult della tradizione capitolina, come i rigatoni. Dopo anni di ostracismo legato all’annoso problema della mucca pazza, la pajata è tornata alla ribalta.
Sempre restando a Roma, un altro grande classico realizzato con il “quinto quarto” è la coda alla vaccinara: come suggerisce il nome, in questo caso delle frattaglie si prende ovviamente la coda del bovino.
‘O pere e ‘o musso
Una specialità della Campania, che tradotto significa il piede e il muso: la ricetta prevede infatti l’uso del piede di maiale e del muso di vitello.
Il morzeddhu
Altro inno al “quinto quarto” lo troviamo in Calabria. Stiamo parlando del morzeddhu un panino (si usa quasi sempre la pitta), farcito con un soffritto di frattaglie (milza, esofago, polmone ecc.) e parti meno pregiate della trippa di vitello, cotte nel pomodoro con alloro, origano e una quantità davvero notevole di peperoncino piccante. Le varianti del morzeddhu sono tante, ma per gustarlo nella sua versione più autentica occorre fare tappa a Catanzaro, la città che ha dato i natali a questa chicca dello street food nazionale.
Il pani ca’ meusa e le stigghiole
E, sempre rimanendo in tema di street food, cosa dire del pani ca’ meusa? E’ Palermo la patria dei meusari: venditori ambulanti della vastedda (pagnotta al sesamo) imbottita con pezzetti di milza e polmone di vitello, tagliati, bolliti e cotti a lungo nella sugna. Nei banchetti ambulanti della Sicilia sono d’obbligo anche le stigghiole, involtini di interiora di agnello (o di vitello) con prezzemolo, cucinati sulla brace.
Il crollo del cavalcavia Morandi di Genova

Genova piange i suoi morti, genovesi, ma anche tutte le altre persone, bambini, donne, uomini, giovani, anziani, turisti e lavoratori, che alle ore 11,50 di martedi scorso, 14 agosto 2018, si sono trovati a transitare a bordo di automezzi sul cavalcavia Morandi di Genova, o che, trovandosi nelle sue immediate vicinanze, sono stati travolti dal crollo improvviso dell’imponente manufatto, che si ergeva e svettava al di sopra dei fabbricati cittadini, ad un’altezza di novanta metri.
Un caso, una fatalità, l’imperizia o la leggerezza dell’uomo; saranno le inchieste in corso a fare piena luce sul tragico evento che ha scosso non solo gli animi dei genovesi, ma l’Italia intera, con una vasta eco che ha travalicato i confini nazionali.
Trentotto i morti accertati, al momento, e tanti feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni, ricoverati presso gli ospedali cittadini [Ved. nota 1].
Continuano ancora le ricerche dei dispersi tra le macerie di cemento collassate, in parte, anche sul letto del sottostante Torrente Polcevera, con immane sforzo da parte della Protezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine, Militari e Volontari.
“Una tragedia annunciata”, scrivono alcuni giornali, mentre altri si affrettano con i loro giudizi sommari nel dispensare “sentenze” a carico di politici, tecnici, imprenditori, che non avrebbero correttamente svolto il loro compito di progettazione, manutenzione, affidamento degli appalti e quant’altro.
La solita dietrologia di basso cabotaggio, che andrebbe quanto meno evitata in certi momenti, per cedere piuttosto il posto al sentimento della pietà per le povere e inconsapevoli vittime.
Speculazione e sciacallaggio che sottendono il solo ed esclusivo interesse, da parte di alcuni gruppi di pressione, a procacciarsi rendite elettorali, attraverso lo strumentale spostamento di opinioni verso concezioni di natura populistica e anche sovranista, che oltre a far male al popolo italiano, generano seri problemi all’interno della Comunità Europea, con gravi ripercussioni sul Mercato e conseguentemente sul Debito Pubblico.
Ho personalmente avuto delle frequentazioni di natura professionale con Genova e la Liguria, dal 1999 al 2008, imparando via via a conoscere da vicino la sua gente e scoprendo persone affabili, alacremente impegnate nei vari settori operativi e intimamente legate alla loro terra. Le case dei genovesi e dei liguri in genere sono vistosamente colorate, perché ognuno di essi deve poter individuare e distinguere la propria dimora, il centro dei propri affetti familiari, anche da lontano … soprattutto dal mare.
Un territorio particolare, quello della Liguria, che ha richiesto nel tempo interventi di esclusiva creatività ed ingegno e che, non di rado, è stato colpito da situazioni climatiche avverse di notevole portata, dalle quali il suo popolo è sempre riuscito a risollevarsi.
Coraggio, sono certo che supererete senz’altro anche questa ennesima circostanza!
Foto di repertorio da Internet
Nota 1: I morti successivamente accertati furono 43 in totale.
Presentazione del nuovo libro di Lorenzo Bove: intervento dell’autore

Si è tenuta a Poggio Imperiale, sabato 4 agosto 2018, nell’insolito scenario dei giardinetti pubblici della locale via Attilio Lombardi, allestiti opportunamente per l’occasione, la presentazione del nuovo libro di Lorenzo Bove dal titolo “IL CIBO in terra di Capitanata e nel Gargano tra storia, popolo e territorio – Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”, Edizioni del Poggio, 2018.
Una serata all’insegna della cultura, condotta dalla brava e bella Federica Palmieri, giornalista professionista, e resa interessante dagli interventi del giornalista, poeta e scrittore Giucar Marcone e dello scrittore di storie patrie Alfonso Chiaromonte, tra musiche e canti della tradizione popolare, con Dino Vitale alla consolle.
Le interessanti testimonianze di un vecchio fornaio terranovese, Nicola Bonante, hanno poi fatto varcare con la mente, ai convenuti, i limiti del tempo, con un salto a ritroso nel passato del borgo di Poggio Imperiale.
E la Compagnia Teatrale Terranovese, infine, con la sua consueta bravura, si è esibita in una farsa dialettale, dal titolo “Dind’a ‘na cas’a tarnuèse”, scritta dal medesimo autore del libro, riscuotendo scroscianti applausi da parte del pubblico presente, intervenuto numeroso all’evento.
La serata si è conclusa con la degustazione di pane e pomodoro terranovese e vino locale, offerti dall’autore, a cura dell’Associazione Poggio Circuito Creativo, dopo i saluti del sindaco di Poggio Imperiale Alfonso D’Aloiso, dell’Assessore alla cultura Alessandro Buzzerio, dell’Editore Peppino Tozzi e l’intervento dell’autore, che viene riportato qui di seguito:
« Il libro che stiamo qui presentando parla di cibo, ma non è un libro di cucina né tantomeno un ricettario. E’ un libro che si insinua delicatamente nella storia, nella geografia, nella filosofia e nella psicologia … un libro che esplora l’indissolubile relazione che lega il cibo, l’individuo e il territorio e cerca di dimostrarne, per quanto possibile, il fondamento.
E il cibo in terra di Capitanata e nel Gargano, l’antica Daunia, con uno sguardo prospettico alla storia, al territorio e al popolo, narrato in occasione dell’ “Anno del Cibo Italiano”, il 2018, vuole essere un atto di amore per la mia terra, prendendo le mosse da Poggio Imperiale (Tarranòve in vernacolo), il paesello dell’Alto Tavoliere che mi ha dato i natali settantatre anni orsono e con il quale ho mantenuto stretti legami, pur avendolo lasciato per attuare i miei progetti professionali e di vita, alla volta del Nord Italia.
Perché sono convinto che anche il cibo rappresenti un elemento di correlazione tra individuo e territorio, generando quei profumi e sapori con il potere e la magia di riportarti indietro nel tempo e nello spazio, legandoti senza margini di errore a un luogo e che parla della tua parte interiore e ti ricorda, quando ne hai bisogno, da dove vieni. E, a volte, basta solo percepirne lievi sentori per associare eventi, fatti, situazioni di un tempo lontano, che fa parte ormai delle tue sopite reminiscenze.
Ecco, questa è la tesi fondante del mio libro: le narrazioni (I feste recurdive: Natale, Capedanne, Pasque, U quinece d’auste, A feste du paese; U recunzele, U capecanale, A staggione quanne ce meteve, U porce appise, I commenelle, U trappide, I spusalizije, battezze e parendate), e i piatti tradizionali (i recchijetelle ku ijallucce arrechijene, i turcenelle arrestute, u panecotte, i ‘ndorcele, i cecatelle, fedech’e pelemone, i mulagnam’a rrechijene o spaccate a u furne, u panone, u cavedelle e u scijeccattamuglijere, i nevele, i cavezune, i puccellate e tand’aveti belle cose), descritti nel libro, rappresentano il mezzo, il tramite, il vettore, la via, il canale che ci aiutano ad entrare – in punta di piedi – in questo magico e affascinante mistero, celato gelosamente nello scrigno del paradigma “cibo-individuo-territorio”.
Per il cibo e l’agroalimentare italiani, il 2018 rappresenta un anno particolarmente importante: dodici mesi per sostenere la validità e la competitività delle nostre risorse, che ci consentono di tenere alto il buon nome dell’Italia nel mondo e che costituiscono motivo di orgoglio nazionale. Tante le manifestazioni, iniziative, momenti legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica italiana.
E il 4 agosto (oggi, per intenderci) una notte bianca dedicata al cibo italiano, voluta dal passato Governo Gentiloni (Ministri: Martina dell’Agricoltura e Franceschini del Turismo), che rappresenta un’iniziativa finalizzata a sensibilizzare le piazze e le attività pubbliche e private, per dimostrare che il cibo italiano è un’esperienza di tradizione, di continuità e di sviluppo, e viene dedicata a Pellegrino Artusi, storico scrittore, gastronomo e critico letterario italiano nato proprio il 4 agosto del 1820 a Forlimpopoli in provincia di Forlì Cesena. Una buona occasione per riscoprire e valorizzare i cibi della nostra tradizione.
Ma, al di là dell’evento formale e del suo livello di riferimento su scala mondiale, ritengo – personalmente – che l’anno del cibo italiano debba stimolare un po’, ciascuno di noi, a venir fuori dagli stereotipi della culinaria modaiola e globalizzante, che ha purtroppo invaso anche le nostre tavole, riscoprendo invece i sapori e gli odori della nostra buona e sana cucina tradizionale, sebbene con qualche tocco di quella inevitabile rivisitazione che gli attuali stili di vita, per alcuni versi, ci impongono.
E, questo, anche nel nostro piccolo, senza bisogno di eclatanti manifestazioni di massa, il più delle volte ispirate da esigenze di autoreferenzialità, piuttosto che da logiche di buon senso, riportando sulle nostre tavole cibo sano e genuino italiano e soprattutto locale.
Un vecchio detto paesano di Tarranòve, recitava: “Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”.
Un invito a prendere le cose per il giusto verso e senza eccessivo affanno. E, in effetti, l’antico detto voleva proprio invitare alla distensione e alla serenità che solo un piccolo borgo sviluppatosi alla sommità di una collinetta (poggio) immersa in una vegetazione lussureggiante poteva offrire.
Una collinetta dalla quale si riesce, da una parte, a scrutare il mare con le isole Tremiti in lontananza e il promontorio del Gargano, del quale si vanta di costituire la porta naturale e, dall’altra, il subappennino Dauno fino alle montagne del vicino Molise.
Aria buona e cibi semplici e genuini rappresentati da una fetta di pane pugliese, frutto del grano coltivato in queste floride campagne, accompagnata dai rossi e squisiti pomodori locali conditi con un olio extravergine di oliva paesano la cui fragranza non ha eguali.
Ed è in questa ottica che è sorta in me l’idea di raccogliere, in un libro, episodi, storie, racconti, avvenimenti, ove il tema di fondo è rappresentato prevalentemente dal cibo della tradizione della terra di Capitanata e del Gargano, alla scoperta di remote usanze, riti arcaici e piatti della cucina tradizionale, alcuni dei quali ancora oggi particolarmente apprezzati, seppure – come si diceva prima – con qualche lieve intervento di rivisitazione, ma senza tuttavia snaturane la sostanza.
L’ esplorazione delle tradizioni legate al cibo della nostra terra, di cui questo libro si prefigge di parlare, prende quindi le mosse dal piccolo borgo di Tarranòve, per la semplice ragione che qui sono nato, parlo il suo dialetto e conosco più da vicino usi, costumi, storia e tradizioni locali, anche sulla base di preziose informazioni raccolte negli anni dalla viva voce di persone del paese e della zona, alcune delle quali ora non ci sono più.
Il nostro cibo, sebbene con qualche variante che ne contraddistingue la specifica provenienza, dovuta a una serie di fattori di natura ambientale, sociale e storica, può, ragionevolmente, essere considerato patrimonio diffuso non solo nel territorio della Capitanata e del Gargano, che rappresenta in questo contesto il nostro perimetro di osservazione, ma anche in buona parte della Regione Puglia e forse un po’ anche della Basilicata, senza escludere con questo che, in certune parti del territorio, sia possibile ritrovare cibi o piatti esclusivi, legati a tradizioni e gusti particolari, che ne caratterizzano l’originalità. Andremo quindi a scoprire anche queste peculiarità soprattutto in alcune zone del Gargano, ma pure in alcuni borghi del subappenino Dauno, attraverso un viaggio virtuale che ci consentirà di scoprire da vicino il cibo e i piatti del passato con le possibili connessioni col presente.
Un modo intrigante di curiosare in casa nostra innanzitutto, ma un po’ anche in quelle degli altri, per cercare di scoprire cosa e come mangiavano i nostri nonni, provando magari anche ad andare un po’ più in là nel tempo e nello spazio.
L’intento è quello di offrire al lettore curiosi e interessanti spunti per fare un piacevole salto a ritroso nel passato, che si perde ormai nella notte dei tempi, ma che, paradossalmente, come d’incanto appare così vicino per via di quei delicati messaggi di amore, pace, serenità che riesce ancora a trasmetterci, oggi più che mai, in una “società liquida, dove i confini e i riferimenti sociali si perdono e i poteri si allontanano dal controllo delle persone. Occorre un forte investimento di umanità e di passione etica”, con particolare riguardo verso le nuove generazioni, facendo leva sulle nostre tradizioni consolidate e forse anche un po’ sulle nostre origini giudaico-cristiane.
E’ la forza delle nostre radici che ci consente di dialogare con il resto del mondo. E anche il cibo può fare la sua parte.
A mio modesto parere, il cibo è un solenne atto di amore.
Questo vale indiscutibilmente sia per chi lo offre e sia per chi lo riceve; ma anche per chi lo prepara, per chi lo produce e così via … all’infinito!
In questo mio ultimo libro ho inteso richiamare l’attenzione del lettore anche sul concetto di potenzialità del nostro territorio in materia di prodotti agroalimentari e di capacità di elaborazione del cibo da parte dei suoi abitanti, sin dai tempi lontani.
Quel cibo che genera un potere magico di identificazione con se stessi, la famiglia, il territorio e che ti porti dietro per tutta la vita.
I profumi e gli odori del cibo che ci hanno pervasi nel periodo della nostra infanzia, penetrando nelle narici e stimolando straordinari (e a volte anche inappagati) appetiti, sono indelebilmente stampati nel nostro cervello.
“Quando più niente sussiste d’un passato antico (…) – scriveva Marcel Proust ne À la recherche du temps perdu (Alla ricerca del tempo perduto) – l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano (…) sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo”.
Il passo riportato si riferisce al più famoso episodio di questo lungo romanzo del grande scrittore, ove il protagonista, dopo aver imbevuto nel tè la “madeleine”, una tortina che soleva mangiare da piccolo la domenica mattina, riesce a riappropriarsi di tutto il mondo della sua infanzia, di tutto il tempo vissuto a Combray quand’era bambino.
E, quindi, se così è, cosa succede a un vecchio tarnuèse quando invece della “madeleine” riassapora “ doije belle felle de pane e pemmedòre” ? ».
Un nuovo libro di Lorenzo Bove che parla di cibo in terra di Capitanata e nel Gargano, tra storia, popolo e territorio

Sabato 4 agosto 2018, alle ore 20,00, a Poggio Imperiale (Foggia), presso la Sala Polifunzionale della via Vittorio Veneto n.50, si terrà la presentazione del nuovo libro di Lorenzo Bove da titolo: “IL CIBO in terra di Capitanata e nel Gargano, tra storia, popolo e territorio – Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”, Edizioni del Poggio.
<< I profumi e gli odori del cibo che ci hanno pervasi nel periodo della nostra infanzia, penetrando nelle narici e stimolando straordinari (e a volte anche inappagati) appetiti, sono indelebilmente stampati nel nostro cervello e basta solo percepirne lievi sentori per associare eventi, fatti, situazioni di un tempo lontano, che fa parte ormai di sopite reminiscenze.
L’Anno del Cibo Italiano, indetto dal nostro Governo per il 2018, ha offerto all’autore lo spunto per rievocare le tradizioni popolari legate al cibo della Capitanata e del Gargano, l’antica Daunia, partendo da Tarranòve, il suo paesello di origine, tra storia, popolo e territorio.
Un vecchio detto paesano di Poggio Imperiale, Tarranòve in vernacolo, recitava: “Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”.
Un invito a prendere le cose per il giusto verso e senza eccessivo affanno. E, in effetti, quel detto voleva proprio invitare alla distensione e alla serenità che solo un piccolo borgo sviluppatosi alla sommità di una collinetta (poggio) immersa in una vegetazione lussureggiante poteva offrire. In terra di Capitanata ai piedi del Gargano del quale si vanta di costituire la porta naturale >>.
Musica e canti della tradizione popolare allieteranno la serata, nel mentre la Compagnia Teatrale Terranovese si esibirà in una breve Farsa dialettale scritta dal medesimo autore del libro, dal titolo: ‘Dind’a ‘na cas’a tarnuèse’.
Lorenzo Bove, scrittore, blogger, appassionato di tradizioni e storia locale, ha sempre mantenuto uno stretto legame con la sua terra nativa, valorizzandone peraltro il dialetto e, nel 2008, ha scritto “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse”, per i tipi di Edizioni del Poggio.
Il “giovanotto” Poggio Imperiale cresce … un nuovo libro di Alfonso Chiaromonte

Alfonso Chiaromonte, conosciuto come scrittore di storie patrie e autore di apprezzati studi, presenta nei prossimi giorni il suo ultimo libro dal titolo « Il “giovanotto” Poggio Imperiale cresce …» Edizioni del Poggio.
Un nuovo lavoro – il quattordicesimo per la precisione – che scava ancora nella storia delle nostre radici e porta alla luce ulteriori e inediti dettagli riguardo alla nascita e all’evoluzione di Poggio Imperiale, Tarranòve in vernacolo, il nostro borgo situato nell’alto Tavoliere delle Puglie.
Il titolo scelto da Alfonso parrebbe, in qualche modo, richiamare il Vangelo di Luca, in particolare “Il ritrovamento di Gesù nel Tempio”, che termina così: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.
Niente di tutto questo, per carità!
Egli paragona il nostro amato paesello ad un giovanotto che cresce … si emancipa e si avvia a conquistare la sua indipendenza, proprio quello che è realmente avvenuto oltre duecentocinquanta anni orsono: il nuovo villaggio, voluto dal Principe Placido Imperiale nel territorio di Lesina, si emancipa fino al suo completo distacco, assumendo così piena autonomia.
E Alfonso percorre, come sempre e con dovizia di particolari, gli eventi trascorsi, rendendoceli facilmente comprensibili, nonostante la loro non facile ricostruzione, anche a fronte del difficoltoso lavoro di interpretazione e a volte anche di decifrazione dei reperti cartacei rinvenuti, frutto di approfondite e faticose ricerche.
Ma non solo di questo ci parla Alfonso; egli ripercorre anche momenti e scorci di vita paesana di un tempo che rendono la lettura del libro piuttosto scorrevole e molto piacevole.
Locandina dell’evento
L’appuntamento, dunque, al Centro Polivalente di via Vittorio Veneto n.50 di Poggio Imperiale, alle ore 20,00 del prossimo 29 luglio, per assistere alla presentazione di questo nuovo libro di Alfonso Chiaromonte, che si pregia di dare per davvero valore aggiunto al patrimonio di conoscenze della storia del passato di Tarranòve.
Libro di Alfonso Chiaromonte
Ieri zia Nannina ha compiuto ben 107 anni!

Ieri 24 giugno 2018 la cara zia Nannina ha compiuto la veneranda età di centosette anni!
E la sua data di nascita coincide con il giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia San Giovanni Battista, che corrisponde al suo nome di battesimo.
Zia Nannina, al secolo Giovanna Galullo, vedova Fusco, è nata a Poggio Imperiale in provincia di Foggia il 24 giugno 1911 da Primiano Galullo e Primiana Bubici, ed attualmente vive nel Nord Italia, in Lombardia, ospite dei propri figli, la maggior parte dei quali si sono da tempo lì trasferiti.
Ad oggi, la zia Nannina vanta una nutrita schiera di pronipoti: ben 15 … una squadra di calcio con relative riserve!
E’ stata festeggiata da tutti i suoi cari con una favolosa torta sulla quale troneggiava il numero 107.
Congratulazioni!
Sapere che oggigiorno ci sono persone al mondo che sforano il muro dei cento anni è una gran bella cosa, ma avere la fortuna di conoscerne personalmente una, con la quale si è peraltro condiviso una parte del proprio percorso di vita, come vicini di casa, tanti anni fa, nella via De Cicco a Poggio Imperiale, rappresenta un qualcosa di sensazionale veramente, difficile da descrivere senza essere colti da un velo di commozione.
Tanti auguri di buon compleanno alla zia Nannina ed auguri anche di buon onomastico!
Per l’occasione, anche la stampa locale ha voluto tributarle una speciale e calorosa attenzione.
Il governo del cambiamento!

Ieri sera, dopo aver incassato anche il voto di fiducia della Camera dei Deputati a seguito di quello del Senato del giorno precedente, il primo Governo della XVIII Legislatura è così formalmente partito.
E’ partito comunque, nonostante e – al tempo stesso – grazie al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha dimostrato nella circostanza doti di grande statista ed interprete ineccepibile della nostra Carta Costituzionale, di cui è e resta il supremo garante. Grazie Presidente!
Era stato pesantemente attaccato e accusato dai populisti, che hanno paventato addirittura la sua messa in stato di accusa (la pena prevista è l’ergastolo!), quando aveva semplicemente esercitato le sue prerogative nella formazione del nuovo Governo, nell’esclusivo interesse della Nazione e del Popolo Italiano.
Sui social è stata scatenata una campagna denigratoria, fino a toccare questioni delicate riguardanti la sfera esclusiva dei sentimenti del Presidente e della sua famiglia (rievocando l’uccisione del fratello Piersanti per mano della mafia ed augurandogli medesima fine). Vergogna!
Il Governo è partito, dunque, nonostante tutto questo, proprio grazie a Sergio Mattarella che con pazienza ha saputo ben esercitare il suo Ruolo, contemperando tutti i fattori in campo e garantendo i valori connessi alla sovranità popolare nel pieno rispetto della Costituzione.
Ma, a quanto pare, la compagine governativa ha ritenuto di voler partire in maniera fragorosa; veloce con un fulmine (a ciel sereno!), senza si e senza ma. Solitamente i botti finali sono caratteristici dei grandi eventi condotti a buon fine per sugellare con i fuochi d’artificio la vittoria conquistata. Manca solo la coppa e poi siamo a posto.
La “presunzione di colpevolezza” anziché di “innocenza” invocata dal nuovo Presidente del Consiglio (un lapsus?) in occasione del voto di fiducia alla Camera, associata ad altri slogan del tipo: “ognuno ha il suo conflitto di interessi”, “ebbene, siamo populisti”, “restiamo nella NATO ma siamo anche con la Russia”, “restiamo nell’eurozona ma non disdegnamo anche di uscirne”. E, ancora: “sarò l’avvocato di tutti gli italiani” , ma per difenderci da chi? … dal nuovo Governo, dal nuovo “potere” , un tempo definito “casta”, che si è insediato?
Narrazioni che non pare depongano a favore di chi intende governare il Paese. E nessun cenno agli attacchi frontali a Mattarella o all’omicidio dell’immigrato (regolare) del Mali in Calabria, salvo correggere il tiro in corso di replica, a seguito delle contestazioni partite dagli scranni delle minoranze parlamentari.
E le ulteriori trovate del nuovo Ministro dell’Interno e Vice Presidente del Consiglio: “E’ finita la pacchia, i migranti devono prepararsi la valigia ed essere rispediti a casa”, “Dai Centri per i rimpatri non deve uscire nessuno, non devono andare in giro a combinare guai” (i nuovi Lager?); e quelle del neo Ministro per la Famiglia contro ogni forma di riconoscimento delle unioni diverse da quelle tradizionali (sveglia … c’è una Legge dello Stato in vigore!).
E dal neo Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico (anch’esso Vice Presidente del Consiglio) e dai neo Ministri della Giustizia e delle Infrastrutture e Trasporti … giustizialismo esasperato, inasprimento delle pene, eliminazione della prescrizione, legittima difesa estesa a tutti i casi legati alla semplice violazione di domicilio, agenti infiltrati sotto copertura, estensione delle intercettazioni, azzeramento degli investimenti TAV, TAP, Pedemontana, tagli delle pensioni oltre i 5.000 euro (pare che quest’ultimo intervento consenta un recupero di poco più di 100 milioni di euro), ecc.
La Flat tax, il reddito di cittadinanza, il superamento della Legge Fornero e del Job Act, comporterebbero un costo di oltre 100 miliardi di euro, della cui copertura finanziaria nessuno ha mai fatto cenno, né nel c.d. “contratto di governo”, né nella relazione programmatica del Presidente del Consiglio in Parlamento.
Comincia, peraltro, ad emergere già qualche paradosso: circolano ad esempio alcune simulazioni di casi in cui al pensionato d’oro verrebbe, da una parte, decurtato l’assegno di pensione di 360 euro al mese e, dall’altra, contestualmente corrisposto un aumento mensile di 1.500 euro per effetto della Flat tax.
E le grandi riforme annunciate cominciamo già a perdere forza, trasformandosi in ipotesi di piccoli ritocchi di facciata agli istituti esistenti, con pretesti di rinvii od altro.
E’ questo il governo del cambiamento?
La campagna elettorale è finita, l’accaparramento delle poltrone nei Palazzi della politica, delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici è in grande fermento in queste ore.
Buon lavoro!
Foto di repertorio da Internet
La “Terza Repubblica” e il “Governo del Cambiamento”!

La Repubblica Italiana è stata costituita a seguito dei risultati del Referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di governo da dare al Regno d’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. E gli italiani, chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, optarono per quest’ultima; l’unica che si conosca, in quanto – al di là degli slogan pubblicitari ad effetto – non ne esiste né una prima né una seconda. E figuriamoci se possiamo parlare addirittura di una Terza Repubblica, come qualcuno in questi giorni vuol farci credere.
Il vezzo di copiare dagli altri (uno per tutti, il contratto di governo alla tedesca) ci induce spesso, inconsapevolmente, a prendere sonore cantonate. I francesi, ad esempio, sono giunti alla loro Quinta Repubblica solo attraverso riforme sostanziali della loro forma di governo; l’ultima, in particolare, ha introdotto il “Semi Presidenzialismo”.
In Italia, abbiamo avuto l’opportunità di passare alla Seconda Repubblica il 4 dicembre 2016, quanto fummo chiamati ad esprimerci sull’ipotesi di una riforma della nostra Carta Costituzionale (per alcuni, la Costituzione più bella del mondo), finalizzata allo snellimento, efficientamento ed economizzazione dell’apparato burocratico, politico, amministrativo e giudiziario dello Stato. In particolare era previsto il superamento del “bicameralismo”, un inutile doppione che genera ingiustificate lungaggini nella formazione del processo legislativo, con il conseguente nuovo modello di legge elettorale (per la scelta dei soli membri della Camera dei Deputati) a doppio turno, che ci avrebbe consentito di conoscere il nominativo del nuovo Presidente del Consiglio la sera stessa delle elezioni.
Ma al Referendum confermativo abbiamo detto NO!
Una nuova legge elettorale (il c.d. Rosatellum) ci ha catapultati all’indietro di un quarto di secolo, riproponendo in larga misura il sistema proporzionale che in passato aveva reso l’Italia ingovernabile con governi balneari, pentapartito, di minoranza, con appoggio esterno, di astensione, ecc.
Alle recenti elezioni politiche del 4 marzo 2018 nessun partito ha raggiunto la maggioranza necessaria per poter governare da solo il Paese e i tre maggiori contendenti presentano programmi in contrapposizione e dunque inconciliabili tra loro, con l’effetto di rendere estremamente difficoltoso ogni tentativo di coalizione post elettorale (tipica del sistema proporzionale).
Il Presidente della Repubblica ha provato con il conferimento di incarichi esplorativi al Presidente del Senato prima e al Presidente della Camera dei Deputati poi, che non hanno sortito alcun effetto, nel mentre i giorni trascorrevano infruttuosi in un Parlamento che girava a vuoto tra convenevoli e bouvette, con i cospicui emolumenti assicurati e presenze valide ad ogni effetto ai fini del futuro vitalizio (che mai nessuno avrà l’ardire di eliminare, al di là delle enunciazioni fatte in campagna elettorale).
Si è arrivati così all’out-out del medesimo Presidente della Repubblica, il quale – dopo ulteriori giri di consultazioni, senza alcun risultato positivo – ha stretto i tempi, minacciando la formazione di un “Governo di tregua”, di esclusiva nomina presidenziale, per assicurare all’Italia di affrontare le problematiche interne ed internazionali che diventavano ogni giorno sempre più impellenti: un governo tecnico formato da personalità ed esperti della società civile, per traghettare il Paese fino alla formazione di un Governo politico ovvero verso le elezioni anticipate, previo scioglimento delle (nuove) Camere.
Il timore di ritornare al voto, rinunciando ai cinque anni di legislatura ben remunerati e vitalizio assicurato, ha rimesso in moto la macchina di quelli che un tempo venivano definiti “inciuci” e che oggi vengono ben camuffati all’insegna del c.d. “contratto di governo”, un mero accordo di natura privatistica tra le parti (due persone fisiche corrispondenti ai “capi” dei due movimenti “populisti” connotati da forti accenti “anti sistema”, a volte anche in netta contrapposizione fra loro). Un aggiustamento in corsa degli slogan che avevano caratterizzato la campagna elettorale, una serie di contraddizioni dalla sera alla mattina, una spartizione di poltrone, il tutto fatto passare per “governo del cambiamento”; un governo “politico” (sostengono), al vertice del quale viene invece indicato un esterno, un soggetto non eletto dal popolo.
E tutti tacciono!
Le prerogative del Capo dello Stato sono state completamente disattese, relegandolo al ruolo di mero notaio, nel mentre i due leader dei “movimenti politici” interessati stabiliscono le regole (contratto di governo) e nominano il Presidente del Consiglio e i relativi Ministri, con intimidazioni nient’affatto velate (sulla pagina Facebook di un loro consociato), di non porre intralci a scanso di rivolte popolari.
E un Presidente del Consiglio che non potrà a sua volta esercitare il ruolo che gli discende dalla Costituzione (quale centro nevralgico dell’intera attività del Governo: egli, infatti, ne dirige la politica generale e ne è il responsabile, mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuove e coordina l’attività dei Ministri), poiché dovrà soggiacere al c.d. contratto di governo (che peraltro non ha sottoscritto: il contratto ha forza di legge solo tra le parti), con i due leader che faranno buona guardia e lo richiameranno al dovere ogni volta che egli si accingerà ad assumere determinazioni di un certo rilievo magari anche a livello strategico internazionale.
Viva l’Italia!
Foto, da Internet:
Oggi, 25 aprile 2018, Festa della Liberazione

Il 22 aprile 1946, su proposta del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il principe Umberto II, allora luogotenente del Regno d’Italia, emanò un decreto legislativo luogotenenziale che recitava: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile è dichiarato festa nazionale”, che venne stabilmente istituzionalizzata solo il 27 maggio 1949, con la legge 260.
La Festa della “liberazione”, che vuole farsi risalire all’anno precedente (1945) e, simbolicamente alla data del 25 aprile, corrisponde al giorno in cui il CNLA (il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) avente sede a Milano e presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani, proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari della Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa.
Parallelamente il CLNAI emanò dei decreti legislativi, assumendo il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano”, stabilendo tra le altre cose la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti, incluso Benito Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni dopo.
“Arrendersi o perire” fu la parola d’ordine intimata dai partigiani quel giorno e in quelli immediatamente successivi.
Il movimento, comunemente indicato come “Resistenza”, ebbe inizio dopo l’armistizio di Cassibile (località distante 3 Km da Siracusa) dell’8 settembre 1943; il Comitato di Liberazione Nazionale “CLN”, in particolare, venne fondato a Roma il 9 settembre del 1943 e terminò la sua azione nei primi giorni di maggio del 1945 (durò all’incirca una ventina di mesi).
L’armistizio con le forze anglo-americane (ad ogni effetto: “una resa incondizionata”) venne sottoscritto, per conto del Regno d’Italia, dagli emissari del Governo Badoglio, nominato dal Re Vittorio Emanuele III a seguito della destituzione di Mussolini da parte del Gran Consiglio nella riunione del 25 luglio 1943, alla quale era seguito l’arresto dell’ex Duce. Più precisamente, intervennero il Gen. Eisenhower per gli Stati Uniti d’America e il Gen. Castellano per l’Italia, il quale chiese garanzie riguardo alla prevedibile reazione tedesca contro l’Italia alla notizia della firma dell’armistizio (l’Italia era infatti alleata dei tedeschi al fianco dei quali combatteva proprio gli anglo-americani).
In sintesi:
Il Regno d’Italia passò dalla posizione di alleato dei tedeschi ad “alleato” degli anglo-americani che continuavano a combattere contro i tedeschi, i quali scatenarono contro gli italiani una caccia all’uomo (militari e civili) senza esclusioni di colpi.
Ma non tutti gli italiani si comportarono allo stesso modo, infatti molti di essi aderirono alla RSI (Repubblica Sociale Italiana), detta anche “Repubblica di Salò” e i suoi aderenti “repubblichini”; una nuova compagine politico-militare (pro Germania) capeggiata dallo stesso Mussolini nel frattempo liberato dai tedeschi.
Un’Italia spaccata in due, una guerra fratricida, una guerra civile ove non si andava per il sottile e molte erano le vendette trasversali e occasioni per “togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa”.
Alcuni storici hanno evidenziato più aspetti contemporaneamente presenti all’interno del fenomeno della Resistenza: “guerra patriottica” e lotta di liberazione da un invasore straniero; insurrezione popolare spontanea; “guerra civile” tra antifascisti e fascisti, collaborazionisti con i tedeschi; “guerra di classe” con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte di alcuni gruppi partigiani socialisti e comunisti.
La Resistenza italiana, detta anche Resistenza partigiana fu dunque l’insieme dei movimenti politici (talora di opposti orientamenti politici: comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani, anarchici, in maggioranza riuniti nel CLN) e militari che in Italia, dopo l’armistizio di Cassibile si opposero al nazifascismo nell’ambito della guerra di liberazione e che contribuirono poi all’avvio effettivo di una fase di governo, da parte dei suoi rappresentanti, verso il Referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra Monarchia o Repubblica – consultazione per la quale per la prima volta furono chiamate alle urne per un voto politico anche le donne – e poi alla nascita della Repubblica Italiana.
L’Assemblea Costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai princìpi della democrazia.
Sono passati ben 73 anni dal 25 aprile 1945!
Le divisioni, gli screzi, le lotte tra movimenti, partiti, sindacati (anche al loro interno); il “bicameralismo”; i costi della politica; l’inefficienza della Pubblica Amministrazione; i conflitti tra gli Organi dello Stato, ecc.; continuano a rallentare l’azione di governo e lo sviluppo del Paese.
Forse non sarebbe male fare un bel “tagliando” del nostro apparato istituzionale a cominciare proprio dalla Costituzione.
Foto: Anna Magnani – Film: “Roma città aperta” (Roberto Rossellini, 1945), è considerato il manifesto del neorealismo e uno dei capolavori del cinema mondiale. La vicenda inizia dopo l’armistizio di Cassibile: gli Alleati sono sbarcati in Italia e avanzano verso nord ma ancora non sono giunti nella capitale, dove la resistenza è già attiva. Memorabile la scena con la formidabile Anna Magnani nel ruolo della popolana Pina che insegue il camion dove è tenuto il suo amato Francesco. http://www.lindifferenziato.com/2013/04/24/25-aprile-cinema-e-resistenza/