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Benvenuti in PagineDiPoggio.com
Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
un dolce declivio.
Un luogo privilegiato di osservazione
sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
27
Lug

Un nuovo libro di Lorenzo Bove che parla di cibo in terra di Capitanata e nel Gargano, tra storia, popolo e territorio

 

Sabato 4 agosto 2018, alle ore 20,00, a Poggio Imperiale (Foggia), presso la Sala Polifunzionale della via Vittorio Veneto n.50, si terrà la presentazione del nuovo libro di Lorenzo Bove da titolo: “IL CIBO  in terra di Capitanata e nel Gargano, tra storia, popolo e territorio – Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”, Edizioni del Poggio.

<< I profumi e gli odori del cibo che ci hanno pervasi nel periodo della nostra infanzia, penetrando nelle narici e stimolando straordinari (e a volte anche inappagati) appetiti, sono indelebilmente stampati nel nostro cervello e basta solo percepirne lievi sentori per associare eventi, fatti, situazioni di un tempo lontano, che fa parte ormai di sopite reminiscenze.

L’Anno del Cibo Italiano, indetto dal nostro Governo per il 2018, ha offerto all’autore lo spunto per rievocare le tradizioni popolari legate al cibo della Capitanata e del Gargano, l’antica Daunia, partendo da Tarranòve, il suo paesello di origine, tra storia, popolo e territorio.

Un vecchio detto paesano di Poggio Imperiale, Tarranòve in vernacolo, recitava: “Tarranòve, pane e pemmedòre e arija bbòne”.

Un invito a prendere le cose per il giusto verso e senza eccessivo affanno. E, in effetti, quel detto voleva proprio invitare alla distensione e alla serenità che solo un piccolo borgo sviluppatosi alla sommità di una collinetta (poggio) immersa in una vegetazione lussureggiante poteva offrire. In terra di Capitanata ai piedi del Gargano del quale si vanta di costituire la porta naturale >>.

Musica e canti della tradizione popolare allieteranno la serata, nel mentre la Compagnia Teatrale Terranovese si esibirà in una breve Farsa dialettale scritta dal medesimo autore del libro, dal titolo: ‘Dind’a ‘na cas’a tarnuèse’.

Lorenzo Bove, scrittore, blogger, appassionato di tradizioni e storia locale, ha sempre mantenuto uno stretto legame con la sua terra nativa, valorizzandone peraltro il dialetto e, nel 2008, ha scritto  “Ddummànne a l’acquarúle se l’acqu’è fréscijche – Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse, per i tipi di Edizioni del Poggio.


15
Lug

Il “giovanotto” Poggio Imperiale cresce … un nuovo libro di Alfonso Chiaromonte

Alfonso Chiaromonte, conosciuto come scrittore di storie patrie e autore di apprezzati studi,  presenta nei prossimi giorni il suo ultimo libro dal titolo  « Il “giovanotto” Poggio Imperiale cresce …» Edizioni del Poggio.

Un nuovo lavoro –  il quattordicesimo per la precisione – che scava ancora nella storia delle nostre radici e porta alla luce ulteriori e inediti dettagli riguardo alla nascita e all’evoluzione di Poggio Imperiale, Tarranòve in vernacolo, il nostro borgo situato nell’alto Tavoliere delle Puglie.

Il titolo scelto da Alfonso parrebbe, in qualche modo,  richiamare il Vangelo di Luca, in particolare “Il ritrovamento di Gesù nel Tempio”, che termina così: “E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.

Niente di tutto questo, per carità!

Egli paragona il nostro amato paesello ad un giovanotto che cresce … si emancipa e si avvia a conquistare la sua indipendenza, proprio quello che è realmente avvenuto oltre duecentocinquanta anni orsono: il nuovo villaggio, voluto dal Principe Placido Imperiale nel territorio di Lesina, si emancipa fino al suo completo distacco, assumendo così piena autonomia.

E Alfonso percorre, come sempre e con dovizia di particolari, gli eventi trascorsi, rendendoceli facilmente comprensibili, nonostante la loro non facile ricostruzione, anche a fronte del difficoltoso lavoro di  interpretazione e a volte anche di decifrazione dei reperti cartacei rinvenuti, frutto di approfondite e faticose ricerche.

Ma non solo di questo ci parla Alfonso; egli ripercorre anche momenti  e scorci di vita paesana di un tempo che rendono la lettura del libro piuttosto scorrevole e molto piacevole.

Locandina dell’evento

L’appuntamento, dunque,  al Centro Polivalente di via Vittorio Veneto n.50 di Poggio Imperiale, alle ore 20,00 del prossimo 29 luglio,  per assistere alla presentazione di questo nuovo libro di Alfonso Chiaromonte, che si pregia di dare per davvero valore aggiunto  al patrimonio di conoscenze della storia  del passato di Tarranòve.

Libro di Alfonso Chiaromonte

 


25
Giu

Ieri zia Nannina ha compiuto ben 107 anni!

 

 

 

 

Ieri 24 giugno 2018 la cara zia Nannina  ha compiuto la veneranda età di centosette anni!

E la sua data di nascita coincide con il giorno in cui la Chiesa Cattolica festeggia San Giovanni Battista, che corrisponde al suo nome di battesimo.

Zia Nannina, al secolo Giovanna Galullo, vedova Fusco, è nata a Poggio Imperiale in provincia di Foggia il 24 giugno 1911 da Primiano Galullo e Primiana Bubici, ed attualmente vive nel Nord Italia, in Lombardia, ospite dei propri figli, la maggior parte dei quali si sono da tempo lì trasferiti.

Ad oggi, la zia Nannina vanta una nutrita schiera di pronipoti: ben 15 … una squadra di calcio con relative riserve!

E’ stata festeggiata da tutti i suoi cari con una favolosa torta sulla quale troneggiava il  numero 107.

Congratulazioni!

Sapere che oggigiorno ci sono persone al mondo che sforano il muro dei cento anni è una gran bella cosa, ma avere la fortuna di conoscerne personalmente una, con la quale si è peraltro condiviso una parte del proprio percorso di vita, come vicini di casa, tanti anni fa, nella via De Cicco a Poggio Imperiale, rappresenta un qualcosa di  sensazionale veramente, difficile da descrivere senza essere colti da un velo di commozione.

Tanti auguri di buon compleanno alla zia Nannina ed auguri anche di buon onomastico!

Per l’occasione, anche la stampa locale ha voluto tributarle una speciale e calorosa attenzione.


7
Giu

Il governo del cambiamento!

Ieri sera, dopo aver incassato anche il voto di fiducia della Camera dei Deputati  a seguito di quello del Senato del giorno precedente, il primo Governo della XVIII Legislatura è così formalmente partito.

E’ partito comunque, nonostante e – al tempo stesso – grazie al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha dimostrato nella circostanza doti di grande statista ed interprete ineccepibile della nostra Carta Costituzionale, di cui è e resta il supremo garante. Grazie Presidente!

Era stato pesantemente attaccato e accusato dai populisti, che hanno paventato addirittura la sua messa in stato di accusa (la pena prevista è l’ergastolo!), quando aveva semplicemente esercitato le sue prerogative nella formazione del nuovo Governo, nell’esclusivo interesse della Nazione e del Popolo Italiano.

Sui social è stata scatenata una campagna denigratoria, fino a toccare questioni delicate riguardanti la sfera esclusiva dei sentimenti del Presidente e della sua famiglia (rievocando l’uccisione del fratello Piersanti per mano della mafia ed augurandogli medesima fine). Vergogna!

Il Governo è partito, dunque, nonostante tutto questo, proprio grazie a Sergio Mattarella che con pazienza ha saputo ben esercitare il suo Ruolo, contemperando tutti i fattori in campo e garantendo i valori connessi alla sovranità popolare nel pieno rispetto della Costituzione.

Ma, a quanto pare, la compagine governativa ha ritenuto di voler partire in maniera fragorosa; veloce con un fulmine (a ciel sereno!), senza si e senza ma. Solitamente i botti finali sono caratteristici dei grandi eventi condotti a buon fine per sugellare con i fuochi d’artificio la vittoria conquistata. Manca solo la coppa e poi siamo a posto.

La “presunzione di colpevolezza” anziché di “innocenza” invocata dal nuovo Presidente del Consiglio (un lapsus?) in occasione del voto di fiducia alla Camera, associata ad altri slogan del tipo: “ognuno ha il suo conflitto di interessi”, “ebbene, siamo populisti”, “restiamo nella NATO ma siamo anche con la Russia”, “restiamo nell’eurozona  ma non disdegnamo anche di uscirne”. E, ancora: “sarò l’avvocato di tutti gli italiani” , ma per difenderci da chi? … dal nuovo Governo, dal nuovo “potere” , un tempo definito “casta”, che si è insediato?

Narrazioni che non pare depongano a favore di chi intende governare il Paese. E nessun cenno agli attacchi frontali a Mattarella o all’omicidio dell’immigrato (regolare) del Mali in Calabria, salvo correggere il tiro in corso di replica, a seguito delle contestazioni partite dagli scranni delle minoranze parlamentari.

E le ulteriori trovate del nuovo Ministro dell’Interno e Vice Presidente del Consiglio: “E’ finita la pacchia, i migranti devono prepararsi la valigia ed essere rispediti a casa”, “Dai Centri per i rimpatri non deve uscire nessuno, non devono andare in giro a combinare guai” (i nuovi Lager?); e quelle del neo Ministro per la Famiglia contro ogni forma di riconoscimento delle unioni diverse da quelle tradizionali (sveglia … c’è una Legge dello Stato in vigore!).

E dal neo Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico (anch’esso Vice Presidente del Consiglio) e dai neo Ministri della Giustizia  e delle Infrastrutture e Trasporti … giustizialismo esasperato, inasprimento delle pene, eliminazione della prescrizione, legittima difesa estesa a tutti i casi legati alla semplice violazione di domicilio, agenti infiltrati sotto copertura, estensione delle intercettazioni, azzeramento degli investimenti TAV, TAP, Pedemontana, tagli delle pensioni oltre i 5.000 euro (pare che quest’ultimo intervento consenta un recupero di poco più di 100 milioni di euro), ecc.

La Flat tax, il reddito di cittadinanza, il superamento della Legge Fornero e del Job Act, comporterebbero un costo di oltre 100 miliardi di euro, della cui copertura finanziaria nessuno ha mai fatto cenno, né nel c.d. “contratto di governo”, né nella relazione programmatica del Presidente del Consiglio in Parlamento.

Comincia, peraltro, ad emergere già qualche paradosso: circolano ad esempio alcune simulazioni di casi in cui al pensionato d’oro verrebbe, da una parte, decurtato l’assegno di pensione di 360 euro al mese e, dall’altra, contestualmente corrisposto un aumento mensile di 1.500 euro per effetto della Flat tax.

E le grandi riforme annunciate cominciamo già a perdere forza, trasformandosi in ipotesi di piccoli ritocchi di facciata agli istituti esistenti, con pretesti di rinvii od altro.

E’ questo il governo del cambiamento?

La campagna elettorale è finita, l’accaparramento delle poltrone nei Palazzi della politica, delle Amministrazioni dello Stato e degli Enti pubblici è in grande fermento in queste ore.

Buon lavoro!

Foto di repertorio da Internet

 


24
Mag

La “Terza Repubblica” e il “Governo del Cambiamento”!

La Repubblica Italiana è stata costituita a seguito dei risultati del Referendum istituzionale del 2 e 3 giugno 1946, indetto per determinare la forma di governo da dare al Regno d’Italia, dopo la seconda guerra mondiale. E gli italiani, chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica, optarono per quest’ultima;  l’unica che si conosca, in quanto – al di là degli slogan pubblicitari ad effetto – non ne esiste né una prima né una seconda. E figuriamoci se possiamo parlare addirittura di una Terza Repubblica, come qualcuno in questi giorni vuol farci credere.

Il vezzo di copiare dagli altri (uno per tutti, il contratto di governo alla tedesca) ci induce spesso, inconsapevolmente, a prendere sonore cantonate. I francesi, ad esempio, sono giunti alla loro Quinta Repubblica solo attraverso riforme sostanziali della loro forma di governo; l’ultima, in particolare, ha introdotto il “Semi Presidenzialismo”.

In Italia, abbiamo avuto l’opportunità di passare alla Seconda Repubblica il 4 dicembre 2016, quanto fummo chiamati ad esprimerci sull’ipotesi di una riforma della nostra Carta Costituzionale (per alcuni, la Costituzione più bella del mondo), finalizzata allo snellimento, efficientamento ed economizzazione dell’apparato burocratico, politico, amministrativo e giudiziario dello Stato. In particolare era previsto il superamento del “bicameralismo”, un inutile doppione che genera ingiustificate lungaggini nella formazione del processo legislativo, con il conseguente nuovo modello di legge elettorale (per la scelta dei soli membri della Camera dei Deputati) a doppio turno, che ci avrebbe consentito di conoscere il nominativo del nuovo Presidente del Consiglio la sera stessa delle elezioni.

Ma al Referendum confermativo abbiamo detto NO!

Una nuova legge elettorale (il c.d. Rosatellum) ci ha catapultati all’indietro di un quarto di secolo, riproponendo in larga misura il sistema proporzionale che in passato aveva reso l’Italia ingovernabile con governi balneari, pentapartito, di minoranza, con appoggio esterno, di astensione, ecc.

Alle recenti elezioni politiche del 4 marzo 2018 nessun partito ha raggiunto la maggioranza necessaria per poter governare da solo il Paese e i tre maggiori contendenti presentano programmi in contrapposizione e dunque inconciliabili tra loro, con l’effetto di rendere estremamente difficoltoso ogni tentativo di coalizione post elettorale (tipica del sistema proporzionale).

Il Presidente della Repubblica ha provato con il conferimento di incarichi esplorativi al Presidente del Senato prima e al Presidente della Camera dei Deputati poi, che non hanno sortito alcun effetto, nel mentre i giorni trascorrevano infruttuosi in un Parlamento che girava a vuoto  tra convenevoli e bouvette, con i cospicui emolumenti assicurati e presenze valide ad ogni effetto ai fini del futuro vitalizio (che mai nessuno avrà l’ardire di eliminare, al di là delle enunciazioni fatte in campagna elettorale).

Si è arrivati così all’out-out del medesimo Presidente della Repubblica, il quale – dopo ulteriori giri di consultazioni, senza alcun risultato positivo – ha stretto i tempi, minacciando la formazione di un “Governo di tregua”, di esclusiva nomina presidenziale, per assicurare all’Italia di affrontare le problematiche interne ed internazionali che diventavano ogni giorno sempre più impellenti: un governo tecnico formato da personalità ed esperti  della società civile, per traghettare il Paese fino alla formazione di un Governo politico ovvero verso le elezioni anticipate, previo scioglimento delle (nuove) Camere.

Il timore di ritornare al voto, rinunciando ai cinque anni di legislatura ben remunerati e vitalizio assicurato, ha rimesso in moto la macchina di quelli che un tempo venivano definiti “inciuci” e che oggi vengono ben camuffati all’insegna del c.d. “contratto di governo”, un mero accordo di natura privatistica tra le parti (due persone fisiche corrispondenti ai “capi” dei due movimenti “populisti” connotati da forti accenti “anti sistema”, a volte anche in netta contrapposizione fra loro). Un aggiustamento in corsa degli slogan che avevano caratterizzato la campagna elettorale, una serie di contraddizioni dalla sera alla mattina, una spartizione di poltrone, il tutto fatto passare per “governo del cambiamento”; un governo “politico” (sostengono), al vertice del quale viene invece indicato un esterno, un soggetto non eletto dal popolo.

E tutti tacciono!

Le prerogative del Capo dello Stato sono state completamente disattese, relegandolo al ruolo di mero notaio, nel mentre i due leader dei “movimenti politici”  interessati stabiliscono le regole (contratto di governo) e nominano il Presidente del Consiglio e i relativi Ministri, con intimidazioni  nient’affatto velate (sulla pagina Facebook di un loro consociato), di non porre intralci a scanso di rivolte popolari.

E un Presidente del Consiglio che non potrà a sua volta esercitare il  ruolo che gli discende dalla Costituzione (quale centro nevralgico dell’intera attività del Governo: egli, infatti, ne dirige la politica generale e ne è il responsabile, mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo, promuove e coordina l’attività dei Ministri), poiché dovrà soggiacere al c.d. contratto di governo (che peraltro non ha sottoscritto: il contratto ha forza di legge solo tra le parti), con i due leader che faranno buona guardia e lo richiameranno al dovere ogni volta che egli si accingerà ad assumere determinazioni di un certo rilievo magari anche a livello strategico internazionale.

Viva l’Italia!

Bandiera italiana strappata

 

Foto, da Internet:

https://www.google.it/search?q=bandiera+italiana+strappata+foto&tbm=isch&source=iu&ictx=1&fir=yCZB_abfZ59JmM%253A%252CIv0EbscrFt_2ZM%252C_&usg=__FamqML6GLqFiljXs-wYcYeImGe4%3D&sa=X&ved=0ahUKEwjlmYCyyJ7bAhXHyqQKHafLCaMQ9QEIKjAA#imgrc=yCZB_abfZ59JmM:


25
Apr

Oggi, 25 aprile 2018, Festa della Liberazione

Il 22 aprile 1946, su proposta del presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il principe Umberto II, allora luogotenente del Regno d’Italia, emanò un decreto legislativo luogotenenziale che recitava: “A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile è dichiarato festa nazionale”, che venne stabilmente istituzionalizzata solo il 27 maggio 1949, con la legge 260.

La Festa della “liberazione”, che vuole farsi risalire all’anno precedente (1945) e, simbolicamente alla data del 25 aprile, corrisponde al giorno in cui il CNLA (il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) avente sede a Milano e presieduto da Luigi Longo, Emilio Sereni, Sandro Pertini e Leo Valiani, proclamò l’insurrezione generale in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti, indicando a tutte le forze partigiane attive nel Nord Italia facenti parte del Corpo Volontari della Libertà di attaccare i presidi fascisti e tedeschi imponendo la resa.

Parallelamente il CLNAI emanò dei decreti legislativi, assumendo il potere “in nome del popolo italiano e quale delegato del Governo Italiano”, stabilendo tra le altre cose la condanna a morte per tutti i gerarchi fascisti, incluso Benito Mussolini, che sarebbe stato raggiunto e fucilato tre giorni dopo.

“Arrendersi o perire” fu la parola d’ordine intimata dai partigiani quel giorno e in quelli immediatamente successivi.

Il movimento, comunemente indicato come “Resistenza”, ebbe inizio dopo l’armistizio di Cassibile (località distante 3 Km da Siracusa) dell’8 settembre 1943; il Comitato  di Liberazione Nazionale  “CLN”, in particolare, venne fondato a Roma il 9 settembre del 1943 e terminò la sua azione nei primi giorni di maggio del 1945 (durò all’incirca  una ventina di mesi).

L’armistizio con le forze anglo-americane (ad ogni effetto: “una resa incondizionata”) venne sottoscritto, per conto del Regno d’Italia, dagli emissari del Governo Badoglio, nominato dal Re Vittorio Emanuele III a seguito della destituzione di Mussolini da parte del Gran Consiglio nella riunione del 25 luglio 1943, alla quale era seguito l’arresto dell’ex Duce. Più precisamente, intervennero il Gen. Eisenhower per gli Stati Uniti d’America e il Gen. Castellano per l’Italia, il quale chiese garanzie riguardo alla prevedibile reazione tedesca contro l’Italia alla notizia della firma dell’armistizio (l’Italia era infatti alleata dei tedeschi al fianco dei quali combatteva proprio gli anglo-americani).

In sintesi:

Il Regno d’Italia passò dalla posizione di alleato dei tedeschi ad “alleato” degli anglo-americani che continuavano a combattere contro i tedeschi, i quali scatenarono contro gli italiani  una caccia all’uomo (militari e civili) senza esclusioni di colpi.

Ma non tutti gli italiani si comportarono allo stesso modo, infatti molti di essi aderirono alla RSI (Repubblica Sociale Italiana), detta anche “Repubblica di Salò” e i suoi aderenti “repubblichini”; una nuova compagine politico-militare (pro Germania) capeggiata dallo stesso Mussolini nel frattempo liberato dai tedeschi.

Un’Italia spaccata in due, una guerra fratricida, una guerra civile ove non si andava per il sottile e molte erano le vendette trasversali e occasioni per “togliersi anche qualche sassolino dalla scarpa”.

Alcuni storici hanno evidenziato più aspetti contemporaneamente presenti all’interno del fenomeno della Resistenza: “guerra patriottica” e lotta di liberazione da un invasore straniero; insurrezione popolare spontanea; “guerra civile” tra antifascisti e fascisti, collaborazionisti con i tedeschi; “guerra di classe” con aspettative rivoluzionarie soprattutto da parte di alcuni gruppi partigiani socialisti e comunisti.

La Resistenza italiana, detta anche Resistenza partigiana fu dunque l’insieme dei movimenti politici (talora di opposti orientamenti politici: comunisti, azionisti, monarchici, socialisti, democristiani, liberali, repubblicani,  anarchici, in maggioranza riuniti nel CLN) e militari che in Italia, dopo l’armistizio di Cassibile si opposero al nazifascismo nell’ambito della guerra di liberazione e che contribuirono poi all’avvio effettivo di una fase di governo, da parte dei suoi rappresentanti, verso il Referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra Monarchia o Repubblica – consultazione per la quale per la prima volta furono chiamate alle urne per un voto politico anche le donne – e poi alla nascita della Repubblica Italiana.

L’Assemblea Costituente fu in massima parte composta da esponenti dei partiti che avevano dato vita al CLN, i quali scrissero la Costituzione fondandola sulla sintesi tra le rispettive tradizioni politiche e ispirandola ai princìpi della democrazia.

Sono passati ben 73 anni dal 25 aprile 1945!

Le divisioni, gli screzi, le lotte tra movimenti, partiti, sindacati (anche al loro interno); il “bicameralismo”; i costi della politica; l’inefficienza della Pubblica Amministrazione; i conflitti tra gli Organi dello Stato, ecc.; continuano a rallentare l’azione di  governo e lo sviluppo del Paese.

Forse non sarebbe male fare un bel “tagliando” del nostro apparato istituzionale a cominciare proprio dalla Costituzione.

Foto: Anna Magnani  – Film: “Roma città aperta” (Roberto Rossellini, 1945), è considerato il manifesto del neorealismo e uno dei capolavori del cinema mondiale. La vicenda inizia dopo l’armistizio di Cassibile: gli Alleati sono sbarcati in Italia e avanzano verso nord ma ancora non sono giunti nella capitale, dove la resistenza è già attiva. Memorabile la scena con la formidabile Anna Magnani nel ruolo della popolana Pina che insegue il camion dove è tenuto il suo amato Francesco. http://www.lindifferenziato.com/2013/04/24/25-aprile-cinema-e-resistenza/


7
Mar

Le elezioni politiche italiane del 4 marzo 2018 e la bacchetta magica

C’era una volta un Paese lontano, lontano anni luce dal nostro Pianeta Terra: un puntino quasi invisibile nella Volta Celeste, che solo a notte fonda e con una buona visibilità si riusciva a malapena a individuare ad occhio nudo.

In quel Paese tutto era possibile, bastava esprimere un desiderio, magari solo con il pensiero, che immediatamente si realizzava. Bisognava addirittura stare attenti a non fantasticare troppo, altrimenti si rischiava di rimanere sommersi da un’enorme quantità di cose utili e a volte anche superflue, di cui poterne anche fare a meno.

Il denaro non aveva alcun valore poiché oltre a riempire i portafogli della gente con flussi continui ed esagerati, non poteva essere speso in quanto tutto arrivava già bello e pronto. Non occorreva fare la spesa e cucinare, comprare vestiti, scarpe, giocattoli, profumi o indebitarsi e chiedere prestiti o mutui per acquistare la casa o l’autovettura, il frigorifero o un nuovo televisore maxischermo. Settimane bianche, crociere, viaggi di qualunque genere, mobili, soprammobili, orologi, collane, diamanti, caviale e champagne … insomma tutto: proprio tutto; e senza la presenza di persone indesiderate, soprattutto straniere!

Ma che bello avere tutto e senza la preoccupazione di:

  • svegliarsi la mattina e andare a lavorare;
  • tribolare per tanti anni in attesa di quella pensione che, man mano che gli anni passano, si allontana sempre di più;
  • attendere un posto di lavoro a tempo indeterminato o doversi accontentare di lavori saltuari e precari, magari lontani da casa propria;
  • convivere con soggetti indesiderabili che arrivano da chissà quale parte del mondo.

E pensare che tanti, tanti anni o secoli prima, in quel Paese occorreva impegnarsi, studiare, fare la gavetta e poi lavorare per potersi realizzare, mettere su famiglia, allevare e provvedere alla salute e all’istruzione dei figli, e finalmente maturare una pensione per affrontare serenamente la vecchiaia.

Ma un bel giorno in quel Paese arrivò dal cielo un’astronave con due Maghi a bordo che, una volta atterrati, scalzarono i governanti locali e liberarono finalmente il popolo dalla schiavitù del lavoro, assicurando a tutti il reddito di cittadinanza  fino a cinquant’anni e dal giorno successivo la pensione. E, non solo, al popolo assicurarono, con decreto legge avente effetto immediato, la realizzazione di ogni suo desiderio da esprimere anche con il solo pensiero.

Domenica 4 marzo 2018 si sono tenute in Italia le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento, un giorno memorabile: due maghi sono atterrati nel nostro Paese con la loro astronave carica di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di euro per assicurare anche qui da noi  (ciascuno con il suo programma elettorale), il reddito di cittadinanza, la pensione (senza la Fornero), la “cacciata” degli immigrati e l’uscita dall’euro.

Auguri!

 


28
Feb

2018 Anno del Cibo Italiano

Il cibo occupa una posizione rilevante per l’intera umanità; esso si colloca infatti alla base della vita stessa dell’uomo, il quale per poter svolgere le attività di ogni giorno, ha bisogno di assumere una determinata quantità di calorie, da ingerire in diversi modi.

E’ quindi del tutto evidente che la privazione di alimenti,  spesso collegata alla carestia o ad altre cause, può avere effetti devastanti e diffusi sulla salute umana e sulla mortalità.

Nel mondo, milioni di persone sono sottonutrite  e, ogni giorno, 8 mila bambini muoiono di fame (prima dei 5 anni).  L’aiuto alimentare può soccorrere le comunità che soffrono, a causa della scarsità di risorse alimentari, per migliorare la vita delle persone afflitte dalla fame, nel breve termine, per consentire un successivo recupero e per riavviare, per quanto possibile, la produzione locale.

Per contro, l’aiuto alimentare mal gestito può generare diversi problemi: perché rischia in qualche maniera di interrompere i mercati locali, scoraggiando le produzioni alimentari sul posto. Ragione per cui gli sforzi internazionali di distribuire gli aiuti alimentari ai paesi più bisognosi sono coordinati da un programma mondiale di alimentazione.

Più recentemente, le abitudini dietetiche sono state influenzate dalle preoccupazioni che numerose persone hanno circa gli effetti possibili sulla salute o sull’ambiente degli elementi geneticamente modificati. Ulteriori preoccupazioni causate dall’agricoltura industriale, riguardano la protezione degli animali, la salute umana e l’ambiente in particolare.

Queste preoccupazioni stanno avendo notevole effetto sulle abitudini concernenti l’alimentazione umana contemporanea. Ciò ha condotto all’emersione della preferenza per l’alimento organico, preferibilmente biologico, ed il più possibile di coltivazione/produzione locale (oggi è di moda il c.d. prodotto a Km zero).

Ma organico e biologico è la stessa cosa?

Sicuramente il cibo a marchio controllato dovrebbe rappresentare una buona scelta per limitare i danni.

Il cibo biologico, in Italia, possiede un marchio di garanzia certificato che aiuta il consumatore consapevole a scegliere il prodotto migliore e a sentirsi più tutelato. Un cibo organico invece fa riferimento a tutti i prodotti di origine animale e vegetale ma non è sinonimo di garanzia di prodotto privo di pesticidi o ormoni.

La confusione nasce dalla traduzione del termine “organic” che per gli inglesi ha la valenza del nostro “biologico”. Volendo semplificare: si tende ad accomunare in italiano il termine organico (traduzione immediata dall’inglese) con il suo significato originale che è appunto biologico. Nella lingua italiana non è la stessa cosa e organico non è sinonimo di biologico.

Si definiscono organici quei cibi che non sono lavorati dall’industria, come frutta, verdura, carne, pesce o uova; ma questo non vuol dire che sono biologici. La certificazione biologica, controllata per legge, viene concessa solo a quelle aziende che seguono criteri specifici nell’agricoltura o nell’allevamento.

“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è  stato il Tema al centro della manifestazione di Expo 2015 di Milano, il filo logico che ha attraversato tutti gli eventi organizzati sia all’interno sia all’esterno dello Sito Espositivo. E’ stata quella l’occasione per riflettere e confrontarsi sui diversi tentativi di trovare soluzioni alle contraddizioni del nostro mondo: se da una parte c’è ancora chi soffre la fame (circa 870 milioni di persone denutrite nel biennio 2010-2012), dall’altra c’è chi muore per disturbi di salute legati a un’alimentazione scorretta e troppo cibo (circa 2,8 milioni di decessi per malattie legate a obesità o sovrappeso). Inoltre ogni anno, circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono sprecate. Per questo motivo servono scelte politiche consapevoli, stili di vita sostenibili e forse, anche attraverso l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia, sarà possibile trovare un equilibrio tra disponibilità e consumo delle risorse.

E, dopo l’eccezionale successo dell’evento di Milano del 2015, ecco che l’Italia è ritornata ora in campo con una nuova iniziativa davvero interessante: Il 2018 Anno  del Cibo Italiano.

Gli intenti sono lodevoli e così anche  l’impegno profuso dai due ministri del Governo Gentiloni, Maurizio Martina delle Politiche Agricole e Dario Franceschini della Cultura, che hanno unito gli sforzi per promuovere il know out italiano nel particolare settore, molto importante per la nostra economia, tenuto in debito riguardo il fatto che il comparto è stimato in termini di parecchie decine di miliardi di euro.

Si è puntato, come spiega una nota congiunta dei due ministri, sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria, i paesaggi della Langhe Roero e Monferrato, Parma città creativa della gastronomia e all’Arte del pizzaiuolo napoletano iscritta di recente. Ma è anche l’occasione per il sostegno alla candidatura Unesco già avviata per il Prosecco e quella per l’Amatriciana. Allo stesso tempo sono state attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici, per il coinvolgimento e la promozione delle filiere, con un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari, con alcune iniziative particolari.

Il legame fra cibo, paesaggio, identità, cultura viene sottolineato, “dando avvio al nuovo progetto dei distretti del cibo coinvolgendo i protagonisti a partire da agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi”, come ha spiegato il ministro Martina, che ha dedicato il 2018 al grande chef italiano Gualtiero Marchesi, recentemente scomparso. Mentre il ministro Franceschini ha evidenziato la capacità di  “fare sistema” per “un grande investimento per l’immagine del nostro Paese nel mondo”, iniziando magari dalla corretta informazione, in luoghi inusuali: dal primo gennaio infatti una campagna di comunicazione dei musei statali pone l’attenzione sul rapporto, nei secoli, tra arti e enogastronomia, sottolineandone il ruolo fondamentale nella costruzione del patrimonio culturale italiano. Dunque cibo, arte e paesaggio, cultura e storia, buona tavola ed economia, in un insieme difficile da scomporre nelle sue parti, ma certamente significativo, anche dal punto di vista del bilancio dell’intero Paese: basti pensare che nel 2017 le esportazioni agroalimentari hanno toccato il traguardo dei 40 miliardi di euro.

Dodici mesi, dunque, per sostenere il cibo e l’agroalimentare italiano, che costituiscono delle risorse valide ed estremamente competitive nel mondo intero; un’espressione di orgoglio nazionale per il  nostro specifico settore, che ci consente di tenere alto il buon nome dell’Italia nel mondo.

Da gennaio 2018 il via alle manifestazioni, iniziative, momenti legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica italiana.

E, dulcis in fundo, il 4 agosto una notte bianca dedicata al cibo italiano.

La “Notte bianca del Cibo Italiano”, voluta dal nostro Governo per il 4 agosto, rappresenta un’iniziativa  finalizzata a sensibilizzare le piazze e le attività pubbliche e private, per dimostrare che il cibo italiano è un’esperienza di tradizione, di continuità e di sviluppo, e viene dedicata a Pellegrino Artusi, storico scrittore, gastronomo e critico letterario italiano nato il 4 agosto del 1820 a Forlimpopoli in provincia di Forlì Cesena.

Una buona occasione per riscoprire e valorizzare i cibi della nostra tradizione.

Ma, al di là dell’evento formale e del suo livello di riferimento su scala mondiale, ritengo  – personalmente – che “l’anno  del cibo italiano” debba stimolare un po’, ciascuno di noi, a venir fuori dagli stereotipi della culinaria modaiola e globalizzante, che ha purtroppo invaso anche le nostre tavole, riscoprendo invece i sapori e gli odori della nostra buona e sana cucina tradizionale, sebbene con qualche tocco di quella inevitabile rivisitazione che gli attuali stili di vita, per alcuni versi, ci impongono.

E, questo, anche nel nostro piccolo, senza bisogno di eclatanti manifestazioni di massa, il più delle volte ispirate da esigenze di autoreferenzialità, piuttosto che da logiche di buon senso, riportando sulle nostre tavole cibo sano e genuino italiano e soprattutto locale.

Foto da Internet: http://www.turismo.beniculturali.it/multimedia/2018-anno-del-cibo/

Dati sulla malnutrizione e la fame nel mondo: Rapporto di Save the Children, da “ La Stampa – Società”, Internet: http://www.lastampa.it/2017/10/12/societa/una-fame-da-morire-mila-minori-di-anni-si-spengono-ogni-giorno-per-la-malnutrizione-FQQhjveuS4UA5D5KdEupCP/pagina.html


24
Gen

27 gennaio il Giorno della Memoria

Anche quest’anno il 27 gennaio ricorre e si celebra il Giorno della Memoria.

È una ricorrenza importante: ogni anno, nel mondo, in questo giorno vengono ricordati i quindici milioni di vittime complessivi dell’Olocausto rinchiusi e uccisi nei campi di concentramento nazisti, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa ricorrenza è riconosciuta dalle Nazioni Unite e viene celebrata anche in Italia dal 2001, dopo l’approvazione del Parlamento nel 2000 del disegno di legge volto a riconoscerla formalmente.La funzione del ricordo, che non è un nostalgico voltarsi indietro nella Storia, ma un ben più corposo dare un senso al passato per costruire un futuro che non ne ripeta gli errori.

La memoria ha tanti risvolti e presenta esiti contrastanti, in positivo o in negativo a seconda di come viene trattata. Riflettere sugli avvenimenti che ci hanno preceduto per capire il presente significa ricercare le coordinate che ci permettano di interpretare le nuove situazioni con la consapevolezza dei pericoli o delle opportunità che certi meccanismi culturali, sociali e individuali innescano.

In occasione del nostro viaggio in Terra Santa, nel 2007,  io e mia moglie abbiamo voluto dedicare una visita particolare anche al Memoriale dell’Olocausto Yad Vashem di Gerusalemme.

Yad Vashem è l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Israele, istituito per documentare e tramandare la storia del popolo ebraico durante la Shoah, preservando la memoria di ognuna delle loro sei milioni di vittime, nonché per ricordare e celebrare i non ebrei di diverse nazioni che rischiarono le loro vite per aiutare gli ebrei durante la Shoah e certificati fino al 1º gennaio 2017 in 26,513 persone. Fondato il 19 agosto 1953 con la Legge del memoriale approvata dalla Knesset, il Parlamento israeliano, il sito che ospita tutte le strutture del Memoriale è stato costruito sul versante occidentale del Monte Herzl (“Monte della Memoria” o “Monte del Ricordo”) della foresta di Gerusalemme, a 804 metri sul livello del mare, con un museo storico che occupa un’area di 4.200 m² con strutture prevalentemente sotterranee.

Dopo il Muro del Pianto, il Memoriale dell’Olocausto e degli eroi, il principale museo dedicato al ricordo dell’Olocausto nel mondo, è il secondo sito turistico più visitato di Israele con oltre due milioni di visitatori l’anno.

Ricordo ancora oggi l’emozione profonda che provammo nel ritrovarci immersi in quel contesto di grande dolore e tristezza ove  l’evidenza della sopraffazione del male sul bene si evidenzia in tutta la sua forza dirompente.

E’ necessario ricordare e riflettere, sempre!

 

Note:

Per approfondire l’argomento:

Lorenzo Bove, ”YAD VASHEM IL MUSEO DELL’OLOCAUSTO DI GERUSALEMME: la didascalia contestata”, 21 ottobre 2008 www.paginedipoggio.com

Lorenzo Bove,  “Ancora … sullo YAD VASHEM di Gerusalemme!”, 22 marzo 2010 www.paginedipoggio.com


19
Dic

La “Sacra Conversazione” del 1520 di Tiziano esposta a Milano

Anche quest’anno, per le festività di fine anno, a cominciare già dalla ricorrenza di Sant’Ambrogio (1) che a Milano, con la “prima” della Scala e la “Fiera degli Oh Bej! Oh Bej!” (2),  apre di fatto il lungo periodo dei festeggiamenti, il Comune di Milano ospita e offre alla visione dei visitatori un’altra eccellente opera di alto valore artistico.

Il protagonista di quest’ultimo incontro dei milanesi con i capolavori dell’arte è Tiziano con la “Sacra Conversazione” del 1520, la maestosa pala d’altare (Pala Gozzi) proveniente dalla Pinacoteca Civica “Francesco Podesti” di Ancona.

Il tradizionale appuntamento natalizio con l’arte a Palazzo Marino, giunto alla sua decima edizione, è tornato dunque con l’esclusivo capolavoro di Tiziano Vecellio (3) nella stupenda Sala Alessi, aperta al pubblico dal 5 dicembre al 14 gennaio 2018 e, come sempre, con ingresso libero. I visitatori vengono accolti, in piccoli gruppi, da storici dell’arte e accompagnati lungo lo straordinario percorso espositivo.

Anch’io e mia moglie, pure quest’anno, abbiamo  partecipato all’ormai consueto evento e siamo rimasti affascinati dalla bellezza dell’opera e dalla maestria dell’allestimento.

Insieme all’indiscussa importanza storico-artistica del dipinto di Tiziano, la scelta del Comune di portare a Palazzo Marino un’opera della Pinacoteca di Ancona, testimonia la vicinanza di Milano al Capoluogo marchigiano, che svolge un ruolo fondamentale come centro di raccolta di numerose opere d’arte, tra cui molti capolavori, provenienti dalle zone colpite dal  terremoto dello scorso anno; vicinanza dimostrata anche attraverso il costante e generoso impegno della città di Milano a favore di un territorio in difficoltà.

Grazie all’originale allestimento, frutto di un importante progetto curato dall’architetto Corrado Anselmi, i visitatori  hanno la possibilità di osservare, straordinariamente,  non solo il capolavoro di Tiziano ma anche il retro della tavola, dove sono presenti schizzi a matita, in parte ombreggiati a pennello, realizzati dallo stesso Tiziano e raffiguranti varie teste, una delle quali potrebbe essere il bozzetto per il Bambino in una prima stesura del dipinto. La possibilità di ammirare anche il retro della grande pala d’altare (olio su tavola, 312 x 215 cm) consente di scoprire come venivano realizzate nel Cinquecento queste opere che tanta importanza e diffusione hanno avuto nella storia dell’arte del nostro Paese.

Dipinta nel 1520 dall’allora trentenne Tiziano per il mercante Luigi Gozzi di Dubrovnik (città nota anche con la denominazione di “Ragusa” e ubicata lungo la costa della Dalmazia), e destinata all’altare principale della locale Chiesa di San Francesco, la “Sacra Conversazione” è il primo dipinto firmato e datato di Tiziano a noi noto. Infatti, in un cartiglio nella parte bassa dell’opera, si legge: “ALOYXIUS GOTIUS RAGOSINUS / FECIT FIERI / MDXX / TITIANUS CADORINUS PINSIT”.

Questa importante opera di Tiziano andò poi ad arricchire la Chiesa del convento francescano ad Alto, ad Ancona, per volontà dello stesso  mercante raguseo Luigi Gozzi che era stato ben accolto dalla città. Secondo la tradizione, il luogo in cui la Chiesa fu eretta era stato scelto dallo stesso San Francesco nel 1219, anno in cui era ad Ancona per imbarcarsi per l’Egitto; il suo viaggio era motivato dalla volontà di portare una parola di pace in una terra funestata dalle lotte tra Cristiani e Musulmani. La denominazione “Ad Alto” sarebbe quindi tratta dalle parole stesse del Santo di Assisi, che le pronunciò mentre si trovava sulle banchine del porto, indicando il colle Astagno come luogo in cui erigere il primo convento francescano di Ancona.

A seguito dell’Unità d’Italia la Chiesa venne demanializzata e secolarizzata (in epoca più recente, poi, il complesso francescano divenne sede del Distretto Militare) e gli arredi, le sculture e i dipinti trovarono ricollocazione in vari luoghi della città. La Pala di Tiziano, in particolare, ha trovato collocazione presso la Pinacoteca Civica Francesco Podesti di Ancona.

La tavola dell’artista cadorino (nato a Pieve di Cadore), è una tappa decisiva nell’affermarsi di una nuova forma di pala d’altare, svincolata dagli schemi architettonici e prospettici del Quattrocento. Una rivoluzione che era stata intuita da Leonardo con la Vergine delle Rocce, proseguita da Raffaello, ma interpretata da Tiziano con uno spirito aperto alla natura. L’opera appartiene al tradizionale genere iconografico della pala d’altare definita ‘Sacra Conversazione’: la Madonna con il Bambino appare improvvisamente in un cielo di nuvole in vibrante movimento, infuocato dalla luce magica del tramonto; in basso contemplano sbigottiti la visione San Francesco, a cui era dedicata la Chiesa che ospitava la Pala, e San Biagio vescovo e protettore della città dalmata, che indica al committente inginocchiato l’apparizione celeste.

Immerso in una calda luce reale, un paesaggio irripetibile, dove spiccano in primo piano le relazioni visive tra i personaggi: ognuno guarda qualcuno, sino ad arrivare al Bambin Gesù che a sua volta punta lo sguardo all’esterno, sullo spettatore, che viene così a diventare parte dell’opera stessa. Sullo sfondo della rappresentazione, ben visibile, il bacino di San Marco con il Palazzo Ducale e il suo campanile.
Un dipinto grandioso che unisce Venezia, Ancona e Dubrovnik: Tiziano sembra suggerire un’alleanza tra i tre più importanti porti dell’Adriatico, sullo sfondo delle turbolenze politiche sul suolo italiano e dell’espansionismo ottomano.

A valorizzare ancor di più il capolavoro, l’impianto illuminotecnico a cura dell’architetto Francesco Murano, che ha utilizzato la tecnica della luce miscelata, ottenuta componendo luci calde e fredde, favorendo così una visione particolarmente brillante dei colori con particolari faretti.

Curata da Stefano Zuffi, la mostra è promossa da Comune di Milano, Intesa Sanpaolo – partner istituzionale – con il sostegno della “ Rinascente”. L’iniziativa è coordinata da Palazzo Reale e realizzata insieme alla Città di Ancona – Pinacoteca Civica “Francesco Podesti” in collaborazione con le Gallerie d’Italia di Piazza Scala e organizzata con Civita.

Note:

(1) Sant’Ambrogio, Patrono di Milano, ricorrenza 7 dicembre.

(2) Fiera degli Oh Bej! Oh Bej!” . Si accendono le luci di Milano sull’Avvento e puntuali, a partire dalla settimana di Sant’Ambrogio, tornano i mercatini natalizi della tradizione popolare. Su tutti la “Fiera degli Oh Bej! Oh Bej!” Inossidabile e frequentatissima. Con il suo richiamo anticipa – da oltre cinque secoli – l’atmosfera tipica delle festività natalizie, tra colori, profumi e sapori. Dal 5 all’8 dicembre di ogni anno il perimetro attorno al Castello Sforzesco (un tempo, invece, negli spazi antistanti l’antica Basilica di Sant’Ambrogio) si popola con tantissimi espositori. Presenti rigattieri, fioristi e artigiani, venditori di stampe e libri, abbigliamento e accessori moda. Immancabili i giocattoli e i palloncini. E tante leccornie: dolci e caldarroste, oltre a vin brulè e i “Firunatt”, filoni di castagne affumicate.

(3) Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488/1490 – Venezia, 27 agosto 1576) è stato pittore italiano, cittadino della Repubblica di Venezia.

Foto: Lorenzo Bove


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