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Mar

Il dialetto “tarnuése” nel contesto della lingua napoletana!

Laura Francavilla, dottoressa in Lingue e Culture moderne e attualmente laureanda specialistica in Lingue straniere per le comunicazioni internazionali all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli, mi ha recentemente contattato via e-mail per mettermi al corrente del fatto che aveva avuto modo di leggere alcuni dei miei articoli, pubblicati sul sito www.paginedipoggio.com, dedicati agli ispanismi nel dialetto tarnuése e che, avendoli trovati interessanti, avrebbe voluto prenderli in considerazione come punto di riferimento per la realizzazione di uno dei capitoli della sua tesi sperimentale dedicata agli ispanismi nel dialetto napoletano, unitamente al mio libro “Ddummànne a l’acquarùle se l’acqu’è fréscijche, Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse”, Edizioni del Poggio, 2008, che sarebbe stato, allo stesso modo, menzionato nella stesura della suddetta tesi di laurea specialistica.

E, dunque, avendo la dottoressa Francavilla l’esigenza di rivolgermi alcune specifiche domande in merito al dialetto tarnuése, abbiamo concordato di realizzare – tra noi due – una colloquiale intervista sul tema.

Ne è scaturito un interessante quanto inaspettato lavoro di approfondimento, che merita senz’altro di essere portato a conoscenza dei cultori oltre che degli appassionati della materia, tant’è che abbiamo convenuto di renderlo pubblico attraverso la sua divulgazione on line.

Buona lettura!

INTERVISTA

Laura Francavilla:

Il dialetto tarnuése può essere considerato a buon diritto, degno erede della lingua (o dialetto) napoletana, da sempre ritenuta prestigiosa varietà linguistica meridionale per il suo indistinto patrimonio culturale, caratterizzato dall’influenza di molteplici culture, tra cui la cultura spagnola (e anche francese). Una sua considerazione (o un omaggio) in merito a queste due culture (napoletana e spagnola).

 Lorenzo Bove:

Nel mio libro “Ddummànne a l’acquarùle se l’acqu’è fréscijche”(1) asserisco che il dialetto tarnuése risente dell’influenza di un numero considerevole di dialetti e di lingue, dovuta alla variegazione della provenienza della sua popolazione, ma che il primo posto è sicuramente riservato al dialetto o più propriamente alla lingua napoletana, non foss’altro che per la passata appartenenza del territorio al Regno di Napoli. A maggior ragione per Poggio Imperiale, ove rilevante fu lo specifico apporto del Principe Placido Imperiale (2) della Corte di Napoli e del suo entourage napoletano in tutto il processo di costituzione nel 1759 del nuovo insediamento (l’attuale comune di Poggio Imperiale, in gergo denominato “Tarranòve”, ossia terra nuova), voluto espressamente dallo stesso  Don Placido Imperiale, Principe di S. Angelo dei Lombardi (Avellino), divenuto proprietario il 15 febbraio 1753 del Feudo A.G.P. (Ave Gratia Plena), comprendente la già esistente città di Lesina, l’omonimo lago ed altri territori limitrofi.

E, per gli effetti conseguenti, i francesismi e gli ispanismi che avevano nel tempo influenzato la lingua napoletana sono naturalmente, e con maggior forza rispetto agli altri paesi viciniori, trasmigrati nel dialetto tarnuèse. E, con essi, alla stessa stregua, sono statitramandati ai Tarnuíse anche i relativi usi, costumi e tradizioni. Una cultura illuminata per l’epoca (3), quella manifestata dall’illustre rappresentante della Corte di Napoli, il quale, abbracciando le idee illuministe del tempo, diede inizio ad un grande esperimento di colonizzazione, offrendo gratuita ospitalità a numerose famiglie italiane e straniere. Fece disboscare una collina, denominata Coppa Montorio, situata tra Apricena e Lesina, per costruirvi una grande masseria attorniata da alcune piccole case, un oratorio rurale dedicato a San Placido con San Michele tutelare ed una palazzina per il suo amministratore; un qualcosa che aveva assunto l’aspetto di una vera e propria (moderna) azienda agricola. Vi insediò subito 15 famiglie provenienti da San Marco in Lamis, Bonefro, Portocannone, Foggia, Bari e Francavilla e, successivamente, il Principe Imperiale concordò con alcuni capifamiglia albanesi l’insediamento nel nascente paese di Poggio Imperiale di una colonia, che comunque non vi restò per molto tempo. Ed il commercio divenne fiorente in quanto i prodotti  agricoli venivano trasportati a Napoli ed in altre località, grazie anche alla vicinanza del mare e del fiume Fortore. Segnali, questi, di un patrimonio culturale di alto profilo, verosimilmente conseguenza dall’influenza di molteplici culture, tra cui non possiamo escludere quelle  francesi e spagnole.

Va da sé che il confronto con diverse realtà, foss’anche in regime di subordinazione a causa dell’occupazione da parte di altri stati (come avvenne per Napoli da parte dei francesi e degli spagnoli), offre comunque l’opportunità di rimettersi in discussione e guardare al di là del proprio limitato raggio d’azione, acquisendo quel quid, quella marcia in più che fa poi la differenza. E non è detto che abbiamo sempre ragione noi e che siamo noi e soltanto noi i portatori della verità. E’ proprio nel confronto con gli altri che impariamo a comprendere che “l’unione fa la forza”, come si suol dire. E questo vale anche per la cultura in generale ed è così che fioriscono le arti, le scienze ed altro ancora.

Laura Francavilla:

Nell’articolo e nel capitolo del suo testo in cui si parla in modo specifico del dialetto tarnuése, lei afferma che nonostante la naturale tendenza all’omogeneizzazione con i dialetti circostanti, il dialetto tarnuése presenta delle diversità dal parlato dei paesi viciniori (Lesina, San Nicandro Garganico, ecc.).

Tra gli ispanismi presi in considerazione nel suo libro, potrebbe scegliere pochi esempi che dimostrino la diversità?

Lorenzo Bove:

Nel mio libro sostengo che gli avvenimenti che hanno caratterizzato la costituzione del nuovo insediamento, ad opera e per volontà del Principe Placido Imperiale della Corte di Napoli, potrebbero aver “ulteriormente esaltato l’integrazione del dialetto napoletano nella parlata tarnuèse originaria, piuttosto che nei dialetti parlati negli altri paesi viciniori”.      

Ed aggiungo, poi, che “ne è prova il fatto che i dialetti parlati a Lesina, Apricena, San Nicandro Garganico e San Paolo Civitate, presentano ancora oggi delle diversità rispetto al tarnuèse, nonostante la naturale tendenza all’omogeneizzazione”.

Occorre innanzitutto evidenziare che il Feudo A.G.P. (Ave Gratia Plena) aveva un suo insediamento che nel tempo si era consolidato nel territorio di giurisdizione, e ciò ancor prima di passare nella proprietà di Don Placido Imperiale. La popolazione ivi residente parlava quindi la propria lingua, frutto delle diverse trasformazioni avvenute nei secoli, fino a conformarsi con l’idioma napoletano in quanto parte Regno di Napoli; una lingua napoletana sebbene con influenze, com’è naturale che fosse, derivanti dalla stratificazione delle precedenti antiche parlate.

Il nuovo insediamento (Poggio Imperiale o Tarranòve che dir si voglia) è invece molto più recente; la sua fondazione risale solamente all’anno 1759, con una popolazione (nuova) proveniente in maggior parte dell’esterno del Feudo. E’ del tutto evidente che, su di essa, più forte si è riverberata l’influenza organizzativa ed anche lessicale del Principe Imperiale e del suo entourage napoletano, per cui la parlata che ha preso il sopravvento è stata senza dubbio quella napoletana “più pura ed attuale” (per l’epoca, s’intende). E dunque, il modo d’esprimersi tarnuèse, si svelò “un po’ più napoletano” di quello dei paesi del circondario.

E, come scrivo nel mio libro, “il napoletano si è ulteriormente affermato a Poggio Imperiale in relazione alla frequentazione dei suoi abitanti a Napoli per motivi di studi, ma anche per l’apprendimento delle arti e dei mestieri. Ragione per cui il napoletano ha cominciato con il rappresentare il modo di parlare forbito del ceto più abbiente”.

E’ dello stesso avviso anche il Prof. Alfonso Chiaromonte (4), il quale sostiene che “il napoletaneggiante puro resta la maggior parlata dialettale del comune [Poggio Imperiale, n.d.a.], perché è stato il linguaggio colto, così chiamato dal popolo, che distingueva i proprietari terrieri e i professionisti da tutto il resto della popolazione”.

Ma, francamente, stiamo parlando di due secoli e mezzo orsono; nel corso degli anni i linguaggi subiscono inevitabili mutazioni e, pertanto – come spiego anche nel mio libro – la destinazione a Poggio Imperiale di famiglie, provenienti da diverse località, “ha finito comunque con l’influenzare e dunque modificare nel tempo lo stesso dialetto napoletano”, generando in ogni caso un suo specifico idioma che caratterizza e contraddistingue, oggi, i tarnuìse rispetto agli abitanti dei paesi vicini.

Si tratta – però – di differenze riguardanti, ad esempio, un’inflessione diversa, una vocale un po’ più aperta o più chiusa pronunciata magari in maniera più lunga o più stretta oppure cantilenante, o anche una difforme cadenza (calata) nella intonazione ovvero nel lessico. Mentre i francesismi e gli ispanismi parrebbero essere uniformemente assorbiti nei diversi dialetti.

Qualche esempio:

 – Cordicella      =>      Poggio I. = Zukuléll(e)                            S. Nicandro G. = Zukulèdd(e)

– Lampascioni  =>       Poggio I. = Lambascijul(e)                    S.Paolo C.        = Vambascijl(e)

– Midollo          =>       Poggio I. = M(e)dúll(e)                           Lesina              = M(e)dòll(e)

– Ossa               =>      Poggio I. = Óss(e) o anche Óss(e)r(e)   Apricena          = Jòss(e)

 

Laura Francavilla:

Una sua semplice considerazione sul futuro dei dialetti locali e nel suo caso del dialetto tarnuése.

Lorenzo Bove:

Riprendo, sempre dal mio libro, alcuni spunti.

“La tradizione  consiste nel tramandare notizie, memorie e consuetudini da una generazione all’altra, attraverso l’esempio, le informazioni, le testimonianze e gli ammaestramenti orali e scritti”.

Ed ancora, “Lasciare che il tempo e l’incuria della gente permetta che le opere del passato, le gesta dei popoli antichi, gli usi e i costumi, le usanze e le tradizioni finiscano con l’essere a poco a poco coperti dalla polvere dell’oblio, fino a svanire inesorabilmente dalla mappa delle umane conoscenze, rappresenta davvero un crudele destino”.

Ebbene, i dialetti – compreso quello tarnuèse – rappresentano un patrimonio culturale inestimabile da preservare coerentemente, “non sicuramente con l’intento di erigere steccati o prefigurare divisioni – in un mondo che tende invece alla globalizzazione e dove qualsiasi forma di isolamento è da ritenere deleteria – ma, piuttosto, per valorizzare la variegazione dei dialetti come patrimonio di conoscenza e dunque come opportunità per la loro divulgazione […] soprattutto per i giovani e per le future generazioni”.

Sostiene il Prof. Giuseppe De Matteis (5) che “in tempi come i nostri, in cui l’anglicizzazione e la burocratizzazione hanno molto contaminato la lingua italiana parlata e scritta, con la triste eredità di un notevole impoverimento espressivo, il riavvicinamento al dialetto parlato e scritto […] può sicuramente rivelarsi utile per il recupero e la conservazione nei secoli futuri della creatività, della vitalità e dell’autonomia espressiva”.

Nello specifico, con riguardo al dialetto tarnuése, “ritengo, personalmente, che il culto delle tradizioni poggioimperialesi e l’amore della storia del nostro paese debbano prevalere, sempre, […] e rappresentare il vero collante nella ricerca delle nostre […] radici” (6).

 

Note

(1) Lorenzo Bove, “Ddummànne a l’acquarùle se l’acqu’è fréscijche, Detti, motti, proverbi e modi di dire Tarnuíse”, Edizioni De Poggio, 2008.

(2) Il Principe Placido Imperiale era “Grande di Spagna di Prima Classe”, massima dignità nobiliare concessa ai fedelissimi del Re di Spagna; titolo che forniva parecchi privilegi. Era inoltre un Feudatario con tutte le sue prerogative ed amministrava il primo grado della giustizia sia civile che penale. Questo l’elenco dei suoi possedimenti: Principe della Città di Sant’Angelo dei Lombardi, Signore della Città di Nusco, e Lesina, e delle Terre dei Leoni, Andretta, Carbonara, e San Paolo, ad meno, che de Feudi inabitati di Monticchio, ed Oppido, e de’ Casali di S.Bartolomeo, S.Guglielmo, e Pontelomito, ed altri annessi, ed adjacenti alle Suddette Città, e Feudi e con l’estensione della Giurisdizione ad altre prerogative in tutto il Territorio di Sua Maestà di Ripalta (cfr. Antonietta Zangardi “Poggio Imperiale 1759 – Nuovi documenti sulle origini e sulla sua fondazione, Edizioni del Poggio, 2012).

(3) Negli ultimi decenni, a partire dal libro “Poggio Imperiale, Noterelle paesane” di Alfonso De Palma, Edizione il Richiamo, 1984, si è destato l’interesse in materia da parte di alcuni insigni poggioimperialesi, in particolare Alfonso Chiaromonte, Giovanni Saitto e Antonietta Zangardi, i quali hanno sapientemente effettuato approfondite ricerche, consentendo così di poter allargare gli orizzonti conoscitivi rispetto alle scarne e superficiali notizie esistenti precedentemente.

Interessante l’ultimo libro di Giovanni Saitto “La rivoluzione agraria di Placido Imperiale e la fondazione di Poggio Imperiale”, Natan Edizioni, 2012, un volume ricco di preziosi e inediti documenti di archivio.

Dello stesso autore, anche “Poggio Imperiale, Cento anni della sua storia: dalle origini all’unità d’Italia”, Foggia 1993; e “Poggio Imperiale, storia, usi e costumi di un paese della Capitanata”, Foggia 1997.

(4) Alfonso Chiaromonte, Dizionario del dialetto di Poggio Imperiale “U Tarnuèse”, Edizioni del Poggio, 2007, pag. 13

Dello stesso autore, anche “Da Fattoria a Poggio Imperiale”, Lucera 1997; “La Capitanata tra ottocento e novecento, Poggio Imperiale nella sua vita politica e amministrativa”, Poggio Imperiale 2002 e “Tarranòve, un ritorno alle nostre radici”, Edizioni del Poggio, 2006.

(5) Giuseppe De Matteis, Università di Pescara e Foggia, Prefazione al Dizionario del dialetto di Poggio Imperiale “U Tarnuèse” di Alfonso Chiaromonte, op. cit,, pagg. 8 e 9.

(6) Lorenzo Bove, “A proposito della fondazione di Poggio Imperiale”, Sito/Blog www.paginedipoggio.com alla pagina http://www.paginedipoggio.com/?p=3615, articolo divulgato in occasione della pubblicazione del libro “Poggio Imperiale 1759 – Nuovi documenti sulle origini e sulla sua fondazione” di Antonietta Zangardi, Edizioni del Poggio, 2012.

 


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