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Apr

A zèlle e u zellùse a Tarranòve

Ogni tanto mi affiorano alla mente ricordi di un tempo che fu, trascorso da ragazzo nel mio paesello di nascita, nell’Alto Tavoliere della Puglia, come dei flashback che si inseriscono nella mia quotidianità per lasciar spazio alla rievocazione di avvenimenti del passato.

E ricordo che a Tarranòve (Poggio Imperiale, in terra di Capitanata), in situazioni ove si verificavano circostanze che presupponevano condizioni di competitività, come ad esempio nel gioco delle carte, ma anche in situazioni analoghe, si poneva soventemente in risalto qualche individuo (quasi una macchietta) che, in maniera loquace, prolissa e ciarliera, attribuiva al compagno di gioco (a coppie) l’incompetenza e lo scarso concentramento che pregiudicavano i risultati della partita oppure, all’avversario, il fatto di avere una fortuna smisurata e di vincere pur non sapendo giocare.

Si diceva, in gergo, che il tizio o il caio erano “zellùse” e l’atteggiamento posto in essere veniva denominato “a zèlle”,

Insomma “u zellùse” voleva vincere sempre, a tutti i costi, e non era capace di accettare sconfitte; in ogni circostanza la voleva vinta lui e pretendeva di avere sempre ragione su tutti e sopra ogni cosa. Si sentiva apparentemente superiore agli altri, ma era solitamente un soggetto mediocre ed irascibile che serbava rancore, odio e invidia verso il prossimo, senza neanche sforzarsi di nascondere pubblicamente le sue sciocche peculiarità: aveva la capacità di trasformare le competizioni in rivalità ed era particolarmente abile nell’approfittare di situazioni delicate per suscitare litigi altrui, mettendo i malcapitati gli uni contro gli altri.

Molto più in generale, “a zèlle” indicava quell’improvviso pretesto con cui una persona, nutrendo una sorta di antipatia o astio personali verso un altro, e non avendo motivi validi per aprire un contenzioso giustificabile e razionale, al fine di giustificare la dichiarazione di rivalità, si impuntava su qualche cavillo che cavalcava a dismisura in modo irragionevole.

Quel cavillo o pretesto, appunto, era “a zèlle” e, naturalmente “u zellùse” era il soggetto che con disinvoltura la praticava.

“U zellùse” manifestava la sua contrarietà in tutti i campi, cominciando dal nutrimento; infatti non gli andava bene mai niente di quello che era stato preparato per pranzo o per cena e anche per colazione o merenda.

Così dicasi per l’abbigliamento, vestiti, camicie, calze, scarpe; l’arredo della casa, i viaggi, le vacanze, l’ombrellone, gli spettacoli e quant’altro potesse venirgli mai proposto.

In lingua italiana potrebbe definirsi il “bastian contrario” della situazione, espressione idiomatica che indica colui che assume per partito preso le opinioni e gli atteggiamenti contrari a quelli della maggioranza.

E col tempo i due termini sono entrati nel linguaggio corrente dei Terranovesi, affievolendone il significato in maniera scherzosa e con toni divertenti soprattutto con i bambini capricciosi o in genere nelle contrattazioni.

Proviamo ora a vedere, per quanto possibile, la sua derivazione etimologica.

Nell’area del Cilento (1), “zella” indica più specificatamente la lite, l’ira, e “zelluso” è dunque l’attaccabrighe, la persona facile all’ira, pronto a “spaccare il capello in quattro” nella misurazione del torto che assume di aver subito, facile alla reazione e permaloso.

E, sulla loro origine (2), l’ipotesi più accreditata è quella di una derivazione dal greco “zelos” che tra i molteplici significati contempla anche quello di ira, rivalità, animosità; e da “zelos” viene anche la parola “gelosia”.

Nella storia di Tarranòve si rinviene una nutrita mescolanza di idiomi provenienti da varie località della Campania, della Puglia centrale e meridionale, della Basilicata (un tempo denominata Lucania) e della Calabria, nonché del Molise e dell’Abruzzo, ragione per cui i termini “zèlle” e “zellùse” potrebbero essere stati importati proprio dal Cilento, peraltro maggiormente influenzato dalla cultura greca, con il trasferimento in paese di famiglie provenienti da quei luoghi, che vennero a popolare questo nuovo insediamento (terra nuova: Tarranòve) in Capitanata voluto dal Principe Placido Imperiale, verso la metà del 1700.

Come ultima notazione, si evidenzia anche il fatto che a Tarranòve il termine “zèlle” – ma solo al plurale (i zèlle) era sinonimo di “debiti”, ed è così che si diceva ad esempio: “Quillullà sta chine chine de zèlle” (quello là è pieno pieno di debiti) …ma questa è un’altra storia!

(1) Il Cilento è un’area territoriale della provincia di Salerno, nella Campania meridionale. Unitamente al Vallo di Diano, in epoca romana il Cilento era parte della Lucania; a decorrere dal medioevo appartenne al Principato Citeriore, definito anche “Lucania occidentale” ma facente capo a Salerno.

(2)L’interessante materiale di ricerca, riportato nell’articolo, è stato reperito sul sito internet Cilento Reporter l’Altra Informazione https://cilentoreporter.itAccademia della Vrenna al quale vanno i ringraziamenti di paginedipoggio.


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