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Benvenuti in PagineDiPoggio.com
Poggio Imperiale, la Porta della Puglia e del Gargano.

Un poggio, un'altura,
un dolce declivio.
Un luogo privilegiato di osservazione
sul passato, presente e futuro.
Sul mondo intero.
(l.b.)
18
Ago

E … sette!

Giacomo Fina è giunto al suo settimo libro; anche quest’anno  non ha deluso le attese e, puntualmente, in agosto, ha presentato il suo ultimo lavoro: una nuova raccolta di poesie accompagnata da alcuni brani di prosa.

“Il respiro della memoria e altre storie”,  questo il titolo dell’ultima fatica dell’Autore, pubblicato dalle “Edizioni del Poggio”, la Casa Editrice del Dott. Giuseppe Tozzi di Poggio Imperiale, che si va sempre più affermando, soprattutto per il  suo “Premio Letterario” giunto quest’anno alla sua VI Edizione.

La presentazione si è svolta a Poggio Imperiale il giorno 13 agosto 2014, alle ore 19,30, presso i locali della Scuola Elementare, in via Oberdan.

Le letture poetiche di Fabio Gemo, attore e regista teatrale, hanno nell’occasione appassionato gli intervenuti,  mettendo in risalto gli aspetti più toccanti dei  versi del Fina.

“Il tema dominante  del pensiero  del poeta” – come sostiene  nella Prefazione la Prof.ssa  Maria Rosaria  Matrella, docente della Facoltà di  Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi di Foggia –   “è rappresentato  dalla memoria che respira nel ricordo di gioie passate, di illusioni svanite, di lacrime versate nel silenzio dell’anima”.

La manifestazione  è stata patrocinata dal Comune di Poggio Imperiale, Assessorato alla Cultura.

Presenti il Sindaco, il Consigliere delegato alla Cultura ed il Parroco, che hanno portato i loro saluti.

Relatore: la Prof.ssa Maria Rosaria Matrella.

I dipinti in copertina e nel testo sono di Giacomo Fina.

Dello stesso Autore:

–          Dialogo postumo del 2007;

–          Viaggio d’autunno del 2009;

–          Il Viandante del 2010;

–          Come le onde del 2011;

–          Io e il Principe del 2012;

–          Il vecchio e il Principe, una vita del 2012.

A quanto pare, dunque, Giacomo Fina, per gli amici Mimì, alla luce delle opere sin qui realizzate, non può essere considerato una semplice meteora occasionalmente transitata nell’infinito universo della poesia e della prosa, non foss’altro che per la costanza e l’impegno dimostrati in questi anni.

E tutto fa presagire che Mimì non si fermerà qui, ma che continuerà a dipingere e a scrivere poesie, offrendoci ulteriori opportunità per condividere con lui nuove emozioni.


31
Lug

Il sito archeologico di Saepinum – Altilia in Molise

Tra i tanti ricordi della mia infanzia, mi riaffiorano alla mente alcuni periodi estivi trascorsi con la mia famiglia a Sepino, in provincia di Campobasso, nel Molise.

Ci si andava per “cambiare aria”  – come si diceva allora – ma soprattutto perché a Sepino sgorgava dalle sue rocce un’acqua straordinaria che pareva curasse e prevenisse l’insorgenza di  ogni specie di malanno. Sicuramente la località, posta a 702 metri di altitudine, su di un colle boschivo alle propaggini del Massiccio del Matese, non poteva che offrire –  nel corso dell’estate – refrigerio e benessere.

Ed erano parecchie le famiglie di Poggio Imperiale, il mio paese di nascita ubicato in terra di Capitanata, in provincia di Foggia e confinante con quella di Campobasso, che  sceglievano all’epoca proprio Sepino come località di relax, prima o subito dopo  il periodo di balneazione  al mare a Torre Fortore (ove oggi è insediato il centro turistico di Lesina Marina).

Ricordo le belle passeggiate e soprattutto  le mattinate e i pomeriggi  trascorsi alle “Tre Fontane”,  le Terme che si trovavano un po’ fuori dal centro abitato, dove gli adulti “facevano la cura delle acque” e noi bambini giocavamo e ne combinavamo di tutti i colori, fino all’ora di pranzo e di cena.

E poi, la sera, tutti in piazza: bancarelle, luminarie, concerti bandistici, cantanti di musica classica e musica leggera; ogni sera, qualcosa di nuovo e di interessante.

Nel corso della vacanza, una visita culturale agli scavi archeologici di “ Saepinum – Altilia” era obbligatoria, anche se noi piccoli non facevamo altro che correre e rincorrerci tra le colonne e i resti di capitelli  sparsi qua e là tra le antiche strade romane.

Nei giorni scorsi, nel corso di un giro in Molise, io e mia moglie in compagnia delle mie due  sorelle e i rispettivi mariti, abbiamo voluto ripercorrere anche quei luoghi,  per ricercare spunti dei nostri ricordi di oltre mezzo secolo fa.

E come spesso succede, qualche delusione te la devi pure aspettare.

Le Terme non ci sono più: chiuse già da tempo! E, quindi, niente “Tre Fontane”, ma anche il paese, nel suo insieme, ci è apparso alquanto dimesso.

Abbiamo però recuperato con la visita dell’area archeologica, che rimane pur sempre una tappa interessante, anche se si percepisce l’insussistenza di un adeguato livello di attenzione da parte degli “addetti ai lavori”, rispetto all’inestimabile valore del sito: accessi aperti a chiunque e carenza  di sorveglianza in tutto il perimetro. Solo i due Bar/Ristoranti  presenti in loco davano segni di vita.

Ma, al di là di questo, è comunque sempre interessante fare una capatina a Sepino, sperando che la località venga maggiormente valorizzata a livello universale, perché si tratta di un museo a cielo aperto che ci parla del nostro passato.

Sepino (da saepio, in latino recingere, forse perché circondata da monti o forse perché l’antica Saepinum era cinta da mura)  è un comune di poco più di 2.000 abitanti della provincia di Campobasso e fa parte del circuito dei ”Borghi più belli d’Italia”.

Nel centro cittadino sorge la chiesa di Santa Cristina, probabilmente costruita quando la popolazione, alla fine dell’Alto Medioevo, abbandonò  Saepinum  per fondare l’odierna Sepino.  All’interno della chiesa si trovano la “grotta di Santa Cristina” con i Misteri, la Sala del Tesoro, un coro ligneo ottocentesco e l’archivio storico parrocchiale, che conserva anche pergamene del XII secolo.

Meritano attenzione anche il campanile romanico della Chiesa di San Lorenzo, le chiese di Santa Maria Assunta e del Purgatorio, nonché l’ex Chiesa di Santo Stefano, oggi adibita a teatro e a sala conferenze. A poca distanza dal centro, in località Petrilli, si trova il convento della SS. Trinità. Ne decorano l’interno alcuni dipinti, statue e fontane. Dal piazzale del convento è possibile giungere alle rovine del convento Santa Maria degli Angeli, oggi abbandonato.

Il centro abitato di Sepino conserva le tipiche caratteristiche medievali; un’ampia piazza alla quale confluisconto un certo numero di stretti vicoli.

Vi si trovano numerose fontane, come quella ubicata nella piazza principale, i cui rubinetti indicano i punti cardinali, o quelle della Canala e del Mascherone. Degno di nota è infine il Ponte San Rocco, da cui prende nome l’omonima località.

L’abitato medievale era circondato da una cintura muraria a forma quasi ellittica, con quattro porte, munita di torri sulle quali spiccava il castello. Tuttora sono conservate alcune torri e tre porte: la porta Meridionale, la porta Orientale, la porta di Corte o porta Borrelli. Il castello fortemente danneggiato dal terremoto del 1805 fu progressivamente abbattuto.

Vicino al centro abitato si trova il complesso delle Terme “Tre Fontane”, le cui acque hanno caratteristiche oligominerali adatte alla cura della calcolosi renale.  Attualmente le Terme sono chiuse

A poca distanza dall’abitato si trovano gli scavi archeologici di Saepinum.

Saepinum sorge nella zona archeologica di Altilia, attraversata dall’antico Tratturo Pescasseroli-Candela ed è possibile ammirare i resti dell’abitato romano, come il Foro, la Basilica, Porta Bojano, le Terme, il Teatro, il Cardo e il Decumano  e  le Mura.

La zona archeologica  è meta di turisti italiani e stranieri ed è altresì inserita nel calendario di manifestazioni estive, che propongono spettacoli di teatro e danza di livello internazionale.

I resti della città romana di Saepinum sono venuti alla luce con gli scavi iniziati a partire dal 1950. Fra le rovine romane si trovano numerose case coloniche costruite con pietre di spoglio sin dal XVIII secolo ed oggi adibite a sede di un lapidario e degli uffici dei custodi.

La pianta di Saepinum è quella tipica delle città romane anche se gli scavi si sono concentrati sul Decumano maggiore e sul Cardo massimo. Le porte sono di conseguenza quattro (tre delle quali con l’arco ancora conservato): Porta Benevento; Porta Terravecchia; Porta Bojano; Porta Tammaro.

Il Foro, a pianta rettangolare, è ancora oggi pavimentato con lastroni in pietra lavorata. Su di esso si aprivano gli edifici pubblici: la Curia, il Capitolium e la Basilica. Quest’ultima possiede ancora le venti colonne circolari di ordine ionico ed a fusto liscio che circondavano un peristilio. Alle spalle della Basilica era il Macellum (mercato). In fondo a destra, prima della Porta Bojano,  vi sono i resti di una delle tre Terme.

Saepinum 2

Ben conservato è il Teatro, scavato solo in parte negli anni settanta del secolo scorso e costituito dalla scena e dalla platea, entrambe in pietra locale lavorata. Capace di contenere 3.000 posti circa, è cinto da alcune ex case coloniche che seguono anche l’andamento semicircolare della platea. Intorno c’è  un corridoio alle cui pareti sono presenti numerose lapidi, resti di colonne e di capitelli e che aveva lo scopo di far defluire gli spettatori verso l’esterno della città al termine degli intrattenimenti. Della palestra esistente fra il Foro e la strada oggi restano solo pochi ruderi.

Nella parte meridionale del Foro (quella che guarda verso Porta Benevento), sotto una copertura in ferro, si possono notare cospicui resti di una pavimentazione marmorea, mentre a destra vi è un pozzo coperto costruito con materiale di spoglio. Proseguendo verso Porta Benevento si notano a sinistra i resti di una casa con impluvio sannita in pietra lavorata e subito dopo i resti di un edificio industriale con diverse vasche sotterranee ad imbuto ed una ruota di un mulino fedelmente ricostruita. Segue la fontana del Grifo, costruita dagli edili Ennio Gallo ed Ennio Marso a cavallo fra il I ed il II secolo d.C. e chiamata così perché l’acqua fuoriesce da un altorilievo raffigurante un Grifo.

Poco distanti dalla città, rispettivamente vicino alle porte Bojano e Benevento, sono posti due mausolei, il primo intitolato ai Numisi ed il secondo a Caio Ennio Marso.

Il sito archeologico di Saepinum – Altilia è stato insignito nel 2010 dello “Scudo blu internazionale” (ICBS International Commitee of the Blue Shield), fondato nel 1996 a protezione dei Beni Culturali, per la difesa dei quali vengono promosse azioni di protezione, prevenzione e sicurezza in tutte le situazioni rischiose, come i conflitti armati e le calamità naturali; esso prende il nome dal simbolo specificato nella Convenzione de L’Aja del 1954.

Antecedentemente alla nascita della città romana di Saepinum, in località Terravecchia (a monte, poco distante) era insediato un villaggio sannita denominato Saipins, dall’osco saepo “recinto” per la vendita di mercanzie e animali.

La costruzione di Saipins/Terravecchia da parte dei Sanniti fu dettata dalla posizione strategica e dal controllo delle vie d’accesso mercantili tra due forre o burroni che mettevano in comunicazione l’Apulia a sud ed il Sannio Pentro a nord e la costa adriatica molisana ad est e la costa tirrenica campana ad ovest.

Il villaggio era situato tra i fiumiciattoli Magnaluno a nord e Saraceno a sud, a 950 metri sul livello del mare.

Alla fine II secolo a. C. sono datate un gruppo omogeneo di abitazioni private e alla stessa epoca risale lo smercio di terrecotte con incisioni osche.

Dopo la guerra sociale la città divenne un centro amministrativo romano.

Fra il II secolo a. C. ed il IV secolo d. C. avvenne la costruzione di mura difensive, nel primo impianto in opera reticolata, con torri poste ad intervalli regolari sopra le porte. Queste avevano i nomi dei luoghi dove terminavano le strade diramantesi dal centro storico.

A Castelvecchio (nei pressi di Terravecchia) vi sono resti delle mura megalitiche lunghe 500 metri con 3 porte dette “Postierla del Matese”, “dell’Acropoli” e “del Tratturo”, quest’ultimo collegava la pianura con gli scavi di Saipins.

 


1
Lug

I “Sabbuleche” del Corpus Domini di Poggio Imperiale

La  Processione del Corpus Domini di domenica 22 giugno scorso a Poggio Imperiale  ha rappresentato, per me e per mia moglie che viviamo nel Nord Italia da molto tempo, l’occasione per rivivere, a distanza di cinquant’anni, un momento mistico e tradizionale al tempo stesso.

E, così come allora, durante la processione serale lungo le vie del paese,  si è ripresentata ai nostri occhi l’antica tradizione degli “altarini”, che ai nostri tempi venivano chiamati i “sabbul(e)ch(e)”, termine dialettale che deriva probabilmente dall’alterazione di “sepolcro”, voce popolare che indica il luogo della deposizione  di Gesù dopo la sua morte.

Si tratta di “altarini” speciali approntati con i capi più belli e più preziosi, ricamati a mano,  dei corredi delle nostre mamme e delle nostre nonne: “cuperte”, “apparate”, “panneggjie”, utilizzati eccezionalmente,  solo nelle occasioni più importanti della loro vita.

I “sabbul(e)ch(e) vengono allestiti in case private ubicate al piano terra lungo il percorso della processione del Corpus Domini, mentre dai sovrastanti balconi addobbati con drappi e coperte, vengono sparsi petali profumati di fiori variopinti.

Questo è uno scorcio di Poggio Imperiale, il nostro paese natìo, che raccolto in preghiera  celebra  la festività del Corpus Domini (espressione latina che indica il Corpo del Signore),  chiamata  più propriamente  solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, e che costituisce una delle principali ricorrenze dell’anno liturgico della Chiesa cattolica

Una tradizione, quella dei “sabbul(e)ch(e), che si perde nella notte dei tempi, ma che si rinnova ogni anno con tocchi di sobria novità, senza stravolgere  tuttavia l’usanza e la consuetudine.

Sono  diverse le località  italiane ove, nel corso di ricorrenze ed eventi popolari,  si incontrano e si fondono la religiosità  con il folklore, miti e storia, antiche tradizioni e moderne passioni. Una di queste tradizioni popolari che si intreccia con una ricorrenza religiosa è rappresentata  proprio dall’allestimento a Poggio Imperiale degli  “altarini” il giorno del Corpus Domini,  dove fa una breve sosta e viene esposto il  Santissimo Sacramento, racchiuso nell’ostensorio e  portato  in processione dal sacerdote,  con i paramenti sacri di rito, sotto un baldacchino sorretto da uno dei fedeli  lungo tutto il percorso, accompagnato dal Sindaco con fascia tricolore, dalle autorità civili e militari e seguito da tutta la popolazione credente, in fervente orazione.

Nel corso della processione viene adorato Gesù vivo e vero presente nell’Ostia consacrata ed esposta alla pubblica devozione.

Il culto dell’adorazione del Santissimo Sacramento (Ostia consacrata) nacque in Belgio nel 1246 o 1247, quale festività della Diocesi di Liegi, ed il suo scopo era quello di celebrare la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, soprattutto  come  reazione alle tesi di Berengario di Tours, secondo il quale la presenza di Cristo non era reale, ma solo simbolica. Fu poi papa Urbano I che,  con bolla Transiturus de hoc mundo dell’11 agosto 1264, da Orvieto dove aveva stabilito la residenza della corte pontificia (non andrà mai a Roma), estese la solennità a tutta la Chiesa universale.

 


24
Giu

Tutti a casa … abbiamo scherzato!

Poco fa  è terminato  per l’Italia il Mondiale di calcio 2014 del Brasile.

La sconfitta sul campo inflitta questa sera alla nostra nazionale di calcio, per una rete a zero, dall’Uruguay, ha fatto il paio con la precedente sconfitta dello scorso venerdi  con la Costarica, sempre per una rete a zero, vanificando così la bella vittoria italiana sull’Inghilterra nella partita di esordio.

Niente ottavi di finale e niente di niente.

E, dunque, nessun commento, abbiamo perso e ce ne torniamo a casa con le pive nel sacco, cercando almeno di prendere spunto  da questa debacle per una profonda meditazione  al riguardo.

Mondiale calcio 2014 Brasile


15
Giu

Comincia bene l’Italia ai Mondiali di calcio 2014 del Brasile

Ai Mondiali di calcio del Brasile l’Italia inizia nel modo migliore, battendo l’Inghilterra per 2 reti ad 1 nello stadio di Manaus.

La nazionale italiana è al suo diciottesimo Mondiale di calcio ed è stata sorteggiata in un girone non particolarmente morbido (Gruppo D); dopo la partita della notte scorsa contro l’Inghilterra, dovrà infatti incontrare l’Uruguay e il Costarica.

Ma tutto lascia ben sperare, visto che nella  partita di esordio, gli azzurri, guidati da Cesare Prandelli, hanno dato prova di essere in ottima forma.

La nostra nazionale di calcio è riuscita, con una solida prestazione, a battere gli inglesi che all’inizio erano partiti molto meglio di noi.

La prima rete italiana è stata segnata al 35’ da Marchisio e la seconda al 5’ della ripresa da  Balotelli; la rete avversaria è stata messa a segno invece dall’inglese Sturridge.

Questo il calendario delle prossime partite che interessano l’Italia:

– Seconda gara: giorno 20 giugno 2014, incontro Italia-Costarica con orario d’inizio alle 18 (ora italiana).

– Terza gara: giorno 24 giugno 2014, incontro Italia-Uruguay, sempre alle 18.00 (ora italiana).

E, poi, chissà, se la scia delle vittorie continuerà, potremo proseguire con gli ottavi di finale, i quarti di finale, semifinali, finale per il 3° e 4° posto e , addirittura, con la finale per il 1° e 2° posto.

Mai dire mai!

La Cerimonia inaugurale della XX edizione dei Mondiali di calcio si è tenuta allo stadio “Itaquerao” di San Paolo, giovedi scorso 12 giugno; uno spettacolo animato da 660 figuranti, una finestra per raccontare agli spettatori sugli spalti e a quelli della televisione la cultura e la storia del Brasile. Primo simbolo ad essere raffigurato è stata la natura che caratterizza il Brasile: mare, fiumi e la Foresta Amazzonica. Si è passati poi a una sezione dedicata ai popoli che compongono il Paese, e successivamente alla danza, con ballerini che hanno mostrato alcuni balli popolari. Al centro della scena un globo luminoso formato da led che ha preso i colori del “brazucà”, il pallone ufficiale dei Mondiali, per poi replicare le bandiere dei 32 paesi partecipanti. L’attenzione  si è quindi focalizzata su un giovane paraplegico che, grazie a una struttura di supporto, ha tirato un calcio al pallone, dando di fatto avvio al Mondiale. Magicamente il globo luminoso si è aperto diventando un palco su cui si sono esibiti nell’inno ufficiale della manifestazione, “We are onè”, il rapper Pitbull, vestito con la maglia gialla del Brasile, e le cantanti Jennifer Lopez vestita di verde e Claudia Leitte di azzurro, i colori della bandiera brasiliana, assieme agli Olodum.

Il Mondiale di calcio, alla stessa stregua delle Olimpiadi, rappresenta un momento di incontro e di fratellanza tra i popoli di tutto il mondo, impegnati in una competizione sportiva serena e leale. L’esatto opposto di quello che, purtroppo, continua a verificarsi ancora in diverse parti del mondo, ove persistono focolai di guerra, soprusi e tirannie.

Girone D

 

Foto di repertorio da siti internet


9
Giu

Un “vertice di preghiera” nei Giardini Vaticani per la pace in Medio Oriente

Nel tardo pomeriggio di ieri a Roma, nei Giardini Vaticani, è avvenuto qualcosa di straordinario.

Un evento storico che potrebbe influenzare – ci auguriamo positivamente –  il corso dei futuri equilibri in Terra Santa e conseguentemente in Medio Oriente.

Una luce si è accesa e quattro uomini di buona volontà hanno colto l’attimo fuggente raccogliendosi in preghiera per la pace.

Papa Francesco, il Presidente di Israele Shimon Peres, il Presidente della Palestina Abu Mazen e il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo hanno  pregato insieme, all’unisono, per la pace in Medio Oriente.

Che sia merito di Papa Francesco,  o che si tratti piuttosto di un momento prodigioso verso quella riconciliazione tanto attesa e alla quale ciascuno dei massimi protagonisti sembra voler contribuire, sicuramente la storia ricorderà questa data, come ricorda quella dell’incontro di cinquant’anni fa a Gerusalemme di Papa Paolo VI con il Patriarca di Costantinopoli Athenagoras, e che Papa Francesco ha voluto suggellare con il Patriarca Bartolomeo, durante la sua recente visita in Terra Santa.

Un «vertice di preghiera», dunque, un passo avanti verso il riappacificamento, la concordia, l’armonia e la pace, con i Giardini Vaticani come palcoscenico di una storia mai vista.

Questa ispirazione è sorta durante la visita di Papa Francesco in Terra Santa nello scorso mese di maggio; una visita emozionante che ha particolarmente  toccato e rattristato il Santo Padre, per la sofferenza di quella Terra, martoriata da anni di guerra, ove le persone sono costrette a vivere in un campo di battaglia perenne.  

Papa Bergoglio porta avanti il progetto di coinvolgere le Fedi nella costruzione della pace, a suo tempo avviato da Papa Wojtyla e proseguito poi da Papa Ratzinger, chiedendo a tutte le persone di buona volontà di unirsi nella preghiera per la pace in Medio Oriente,  invocando «l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide», perché «la preghiera può tutto».

E, in particolare, nei Giardini Vaticani, il Pontefice, rivolto ai Presidenti israeliano Shimon Peres e palestinese Abu Mazen, Ha asserito: «La vostra presenza signori Presidenti  è un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo, cioè come fratelli l’uno dell’altro», ed ancora, «Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra».

«Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, disarma la lingua e le mani; donaci la forza per essere ogni giorno artigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenza tutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino», ha pregato ad alta voce Papa Bergoglio, che ha citato le famose parole di Pio XII «con la guerra tutto è perduto».

Il Presidente israeliano Shimon Peres, ha così esordito: «Quando ero ragazzo, a 9 anni, mi ricordo la guerra, mai più mai più!», affermando che anche se «la pace non viene facilmente, dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi».
Da parte sua il Presidente palestinese Abu Mazen ha assicurato che «Noi desideriamo la pace per noi e i nostri vicini. Noi cerchiamo la prosperità e pensieri di pace per noi come per gli altri».

Anche il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo  ha chiesto «a tutte le persone di buona volontà di unirsi a noi nella preghiera per la pace in Medio Oriente».

Già alla recita del Regina Coeli di ieri, a mezzogiorno, in Piazza San Pietro, il Papa aveva annunciato: «Questa sera in Vaticano i Presidenti di Israele e Palestina si uniranno a me e al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, mio fratello Bartolomeo, per invocare da Dio il dono della pace nella Terra Santa, in Medio Oriente e nel mondo intero»,  ringraziando «tutti coloro che personalmente e in comunità hanno pregato e stanno pregando per questo incontro, e si uniranno spiritualmente alla nostra supplica. Grazie, grazie tante».

Al termine  della cerimonia, nei Giardini Vaticani è stato piantato un albero di ulivo e i quattro artefici della pace presenti, imbracciate le pale, lo hanno interrato  in piena armonia e serenità; un’immagine carica di simbolismo.


6
Giu

Anche Fellini alla Galleria Campari

Non ricordavo che anche Federico Fellini, negli anni ’80, avesse girato degli spot pubblicitari per la televisione.

Si, proprio il nostro grande regista cinematografico Federico Fellini, quello  dei premi  Oscar conquistati negli Stati  Uniti d’America; quello della “Dolce Vita”, “Amarcord”, “Otto e mezzo”,  “Le notti di Cabiria”, “E la nave va”, “La città delle donne” e di tanti altri famosi film, che contribuirono a far conoscere, apprezzare ed amare l’Italia nel mondo.

E, pensare, che fu uno di quelli che si schierò, energicamente, perché fossero vietate in televisione le “interruzioni  pubblicitarie” durante la  messa in onda di film; cosa che restò tuttavia lettera morta, essendo molti gli interessi  in campo che egemonizzano il mercato.

Ma, sicuramente,  Fellini non era avverso alla pubblicità, almeno in termini pregiudiziali; aveva però un tale riguardo per i film, e non solo per i suoi capolavori, che riteneva non dovessero essere minimamente  intervallati  da spot di qualsivoglia tipo,  per  garantire allo spettatore quel tanto di incantesimo e di magia che i film, soprattutto i suoi, sapevano regalare.

Il pretesto per la scoperta (o, meglio, la reminiscenza) degli spot di Fellini, mi è stata offerta in occasione  di  una recente visita guidata alla “Galleria Campari”;  un Museo  permanente che  il Centro Direzionale “Campari” di Sesto San Giovanni ha voluto  dedicare agli appassionati della comunicazione pubblicitaria in rapporto con l’arte. Ma non solo questo.

E, dunque, in tale contesto, non poteva mancare lo spot (d’autore)  che nel 1984 la Campari commissionò a Fellini, inizialmente “ritroso”, e in seguito soddisfatto del risultato conseguito, tanto da mettersi a dirigere altre pubblicità.

Lo spot, dal titolo “Che bel paesaggio”, raffigura due personaggi in viaggio in uno scompartimento di un treno. Si tratta un uomo, un tipico personaggio felliniano che sembra sbucato fuori dagli anni ’40 del secolo scorso, e una ragazza dei tempi nostri (in verità lo spot è degli anni ’80), che  si osservano con attenzione. Lei fissa il finestrino, mostrandosi alquanto annoiata dal paesaggio che le scorre veloce davanti; prende quindi un telecomando e cerca di cambiarlo. Ed ecco allora scorrere, come diapositive, le immagini del deserto, del Grand Canyon, del mare, ma la ragazza non sembra essere soddisfatta fino a lasciar cadere il telecomando sulle poltrone.

L’uomo afferra il telecomando, pigia, e trova il “canale” giusto; come per incanto appare la bellissima Piazza dei Miracoli di Pisa, con la sua Torre pendente e un bottiglia di “Campari”.

Meraviglia, gioia, occhi incantati, ma vi è di più: si apre la porta dello scompartimento e compare una bellissima hostess con vassoio, bottiglia (Campari) e due bicchieri … poi un brindisi …. Campari!

Pare che non fu facile convincere Fellini ad accettare la proposta della Campari, che chiedeva di realizzare una pubblicità degna della sua tradizione, e che già nel passato aveva potuto contare su nomi di prestigio.

Nel corso di uno dei primi incontri a Roma, l’idea piacque al Maestro; il Campari – disse  – gli ricordava la sua infanzia, e  fece così avere al committente ben sette progetti.

La scelta si concentrò su “Che bel paesaggio”, perché incentrato sul telecomando, oggetto in voga visto che era scoppiata la “zapping mania”.

La realizzazione dello spot, della durata di un minuto, richiese 2 mesi di lavoro e un team di 52 persone, anche perché Fellini fece costruire i modellini dei paesaggi alti 7 metri e lunghi 14 (quando normalmente non superavano i 2 metri). Il lavoro, realizzato dallo scenografo Dante Ferretti, fu estremamente minuzioso: insistette infatti per ricoprire le piramidi con degli specchi perché così erano quelle originali, studiate per riflettere la sabbia e rendere invisibili le tombe dei Faraoni. Lo spot ebbe moltissimo successo in tutto il mondo, suscitando anche l’interesse del famosissimo Museo di Arte Moderna, il “MoMa” di New York.

Ma torniamo alla “Galleria Campari” di Sesto San Giovanni, dove la visita permette di smarrirsi in due diversi livelli di meraviglie; le prime collocate al piano terra e la altre al primo piano.

Al piano terra

Il percorso si articola in tre differenti aree tematiche:  emozionale, multimediale e interattivo.

  1. La storia della comunicazione pubblicitaria e il rapporto con l’arte.

Il tour inizia con una slot machine che dà il benvenuto ai visitatori, componendo la parola CAMPARI mediante i diversi  lettering utilizzati nel corso del tempo. Prosegue poi davanti al videowall composto da 15 schermi di 40’’ che raccontano la storia della comunicazione pubblicitaria Campari, con una selezione di 75 Caroselli e spot TV dal 1957 al 1990.

Il Time Traveller riassume gli oltre 150 anni di storia Campari a partire dal 1860 e introduce la grande parete di 32 metri, animata da 8 schermi che presentano:

• Una selezione di 30 grafiche pubblicitarie degli anni ’50 e ’60 firmate da noti designer e  illustratori come Franz Marangolo e Guido Crepax;

• Le più belle immagini tratte dai Calendari Campari, realizzati a tiratura limitata a partire dal 2006, con affascinanti attrici e attori fotografati da affermati fotografi:

2006 Martina Colombari (Giovanni Gastel),

2007 Salma Hayek (Mario Testino),

2008 Eva Mendes (Marino Parisotto),

2009 Jessica Alba (Mario Testino),

2010 Olga Kurylenko (Simone Nervi),

2011 Benicio del Toro (Michel Comte),

2012 Milla Jovovich (Dimitri Daniloff);

• I più celebri spot pubblicitari di Campari, da Federico Fellini (1984) [che abbiamo già approfondito prima] a quelli del regista indiano Tarsem, fino al più recente “l’Attesa” con regia di Joel Shumacher;

• Ugo Nespolo e la Campagna Campari realizzata per i Mondiali di Calcio 1990;

• Bruno Munari, autore dell’iconico manifesto “declinazione grafica del nome Campari”, raccontato dalla A alla Z, con voce narrante dell’attrice italiana Lella Costa;

• Una selezione di 30 grafiche pubblicitarie degli anni ’20 e ’30, firmate tra gli altri da Enrico Sacchetti e Primo Sinopico;

• Il reportage fotografico di Edoardo Romagnoli dedicato allo stabilimento di produzione di Novi Ligure e un filmato sull’attività di produzione.

  1. Opere d’arte.

Tra gli oltre mille lotti dell’Archivio Campari, sono state selezionate un centinaio di opere su carta eseguite con tecniche diverse quali chine, pastelli, tempere, manifesti litografici, esposti nella parte centrale della Galleria. Tra gli autori di maggiore interesse: Leonetto Cappiello, Marcello Nizzoli, Marcello Dudovich, Adolf Hoenstein (suo il manifesto, più storico, del 1901), Milton Glaser, Roberto Sambonet, Ugo Mochi, Bruna Mateldi Moretti (Brunetta), Primo Sinopico, Sergio Tofano, Nicolaj Diulgheroff, Ugo Nespolo.

  1. Approfondimento.

Il percorso si conclude con un grande tavolo che contiene 12 schermi touch screen che permettono di sfogliare alcune rare pubblicazioni presentate in originale all’interno di teche poste a lato degli schermi, alcune grafiche pubblicitarie di varie epoche e infine una postazione internet per collegarsi con il circuito dei Musei d’impresa di Sesto San Giovanni.

Nell’ordine, da sinistra a destra, i tavoli contengono:

• Il Cantastorie di Campari di Sergio Tofano;

• Il Cantastorie di Campari di Ugo Mochi;

• Il Cantastorie di Campari di Anonimo;

• Il Cantastorie di Campari di Sinopico;

• Il Cantastorie di Campari di Bruno Munari;

• Il libro imbullonato di Fortunato Depero;

• Parole in Libertà, libri e riviste del Futurismo nelle tre Venezie;

• Manifesti del primo Novecento;

• Grafiche del primo Novecento;

• Grafiche anni del Dopoguerra (anni ’40 – ’50 – ’60);

• Immagini della Ditta Davide Campari tratte dal libro uscito per il centenario nel 1960;

• Fotografie dello Stabilimento Campari tratte da un album del 1904.

Al primo piano

Il primo piano della Galleria accoglie il visitatore in uno spazio dedicato alla storia del prodotto e si articola in una serie di Wunderkammer (camere delle meraviglie).

Con l’apertura di questo spazio, Campari ha voluto esaltare l’aperitivo per eccellenza, dedicando un’attenzione particolare al prodotto nelle sue molteplici manifestazioni. Il visitatore può vivere un’esperienza Campari assoluta e in continua evoluzione, che si rinnova ad ogni occasione così come ad ogni aperitivo. La narrazione si sviluppa lungo 5 stanze.

  1. L’introduzione.

Il visitatore è accolto da un “fiume” rosso di Campari che sgorgando dal collo di una bottiglia gigante, incastonata nella parete di fondo, attraversa longitudinalmente lo spazio. Seguono nella prima stanza lo stemma Campari, che risale al 1888 quando fu introdotto nell’etichetta dei prodotti, e le parole Campari e Camparisoda declinate come lemmi di un dizionario, ispirati alle opere del famoso artista americano Joseph Kosult. Dal soffitto pendono 4.000 gocce di Campari., arricchite da arance, scorza e fette di arancia in formato gigante, l’ingrediente principe del celebre aperitivo. Conclude lo spazio un grande display a led “parlante” e l’immagine compiaciuta di Davide Campari che scruta lo spazio.

Una nota di rilievo importante: nell’ambiente viene vaporizzato un profumo di “Campari” per ricreare l’habitat del vecchio stabilimento sestese (di Sesto San Giovanni).

  1. La stanza del mondo “Bar”.

Un’immersione nella quotidianità del mondo “Bar”, attraverso gli strumenti e gli oggetti del mestiere, che raccontano la loro storia esposti in teche di vetro. Al centro dello spazio 6 teche espositive a forma di tappi di Campari giganti che accolgono oggetti e giornali d’epoca. Illuminati  dalle Campari Light di Ingo Maurer realizzate con veri flaconi del  Camparisoda. Infine un bancone realizzato con le casse originali in legno che venivano utilizzate negli anni ’50 per il trasporto delle bottigliette di Camparisoda.

  1. Vintage.

In questa stanza si trovano un castello di gigantesche carte Modiano, tipico gadget per i baristi degli anni ’50 e tipico passatempo per i clienti del “Bar” che si incontravano per giocare a carte e sorseggiare il Campari. Inoltre una nutrita collezione di posacenere in ceramica di varie fogge, colori e forme, sempre ispirati ai prodotti e al marchio Campari.

  1. Gadget.

Il trionfo delle insegne pubblicitarie, che rendono il marchio riconoscibile da tutti grazie a un linguaggio quotidiano chiaro e immediato.

Nelle teche sono esposti anche curiosi oggetti, quali francobolli dedicati al marchio e alle opere artistiche della pubblicità, dischi a 78 giri con le canzoni della comunicazione pubblicitaria ed infine alcuni modelli di packaging.

  1. Design.

La visita del primo piano culmina con la sezione dedicata al Design, dove si può apprezzare lo stretto rapporto del marchio con diversi designer, a partire da Fortunato Depero che nel 1930 disegnò la famosa bottiglietta del Camparisoda, proseguendo con Matteo Thun che negli anni ’80 realizzò due serie di bicchieri dedicati ai vari posaceneri, Marcus Benesh che realizzò nel 2008 la Campari Lounge in occasione del Salone del Mobile, a Matteo Ragni che realizzò nel 2009 gli arredi per il bar Camparitivo alla “Triennale” di Milano, Ugo Nespolo che per i 150 anni del marchio creò un espositore da bar prodotto in 150 esemplari, ecc. Infine sono esposti tre libri d’arte curati da Marco Milan e realizzati con l’intervento di Campari, che raccolgono le opere di 72 artisti scelti in 3 città mediorientali, Istambul, Beirut e Tel Aviv che hanno creato opere d’arte con diverse tecniche, ispirate alla “Passione” e che sono stati fotografati dal curatore nel luogo della loro Passione. Si possono inoltre visionare le interviste ad alcuni dei designer che negli anni hanno celebrato e interpretato il marchio.

Il percorso si conclude così come iniziato: la storia di Campari attraverso un’affascinante carrellata di 60 bottiglie dell’aperitivo rosso dalla fine dell’800 a oggi, accompagnato da 60 bicchieri di diverse epoche, tutti dedicati al marchio.

La degustazione di un aperitivo (una bottiglietta di Campari, naturalmente), offerto ai visitatori, ha completato l’interessante e originale visita della “Galleria Campari”, inaugurata il 23 marzo 2010 per celebrare 150 anni di storia di Campari, nella storica sede sestese dello stabilimento che risale al 1904 ed è stata ristrutturata nel 2009 dall’architetto di fama mondiale Mario Botta.

La Galleria è un laboratorio permanente, multimediale e sensoriale che racconta la storia del marchio Campari attraverso l’arte moderna e contemporanea; una storia fatta di brillanti intuizioni, di campagne pubblicitarie, di immagini da collezione. E’ un luogo della memoria, ma anche un luogo del presente. Alcune opere esposte, infatti, sono state reinterpretate e animate con tecnologie multimediali, in modo da percepirle anche attraverso l’olfatto e l’udito, vivendo un’esperienza sensoriale completa.

L’azienda Campari di Sesto San Giovanni, orgoglio e vanto della città, ha voluto e saputo creare una sorta di tempio, non certamente sacro, ma che, seppure del tutto profano in quanto dedicato ad un mero prodotto di consumo, offre l’opportunità di perdersi in un caleidoscopio di immagini, colori, atmosfere reali e a volte anche surreali.

Ma, al di là dell’elevato valore artistico dell’insieme, l’atmosfera rievoca, a tratti, momenti del passato, recente ma anche remoto, arrivando a toccare finanche i sentimenti più intimi del visitatore, che rivede attimi della propria vita a casa, al bar, attraverso una bottiglietta, un bicchiere, un posacenere, un’insegna, un marchio, uno spot televisivo, un calendario, ecc.

Devo ammettere che, anch’io, nel corso della visita guidata alla “Galleria Campari” sono ritornato con il pensiero al mio paesello della Daunia, Poggio Imperiale in provincia di Foggia, e ho rivissuto attimi della mia fanciullezza e della mia giovinezza, grazie a piccole cose, ad oggetti apparentemente insignificanti, ma che hanno la forza di attrarti come una potente calamita e trascinarti nella meraviglia dei ricordi.

  

Alcuni degli argomenti e dei dati specificamente trattati nel presente articolo (personaggi, artisti, opere, marchi, termini, date, fatti e circostanze) sono desunti dal depliant informativo disponibile ai visitatori presso la “Galleria Campari” di Sesto San Giovanni (Milano).


28
Mag

Europee 2014, l’Italia conta un po’ di più!

Rinasce la vecchia “Balena Bianca” o si compie finalmente anche in Italia il miracolo di una socialdemocrazia compiuta, come negli stati occidentali più avanzati del mondo?

Proviamo a fare l’analisi del voto italiano alle elezioni europee del 25 maggio scorso.

A bocce ferme, con serenità e senza infingimenti, bisogna riconoscere ed ammettere  – con tutta l’obiettività possibile – che la giornata di domenica scorsa, 26 maggio 2014, ha prodotto nello scenario politico italiano un vero terremoto.

Un sisma di dimensioni memorabili che ha, di fatto, modificato l’assetto  delle rappresentanze  dei cittadini italiani, oltre ogni previsione. Si tratta, è  pur vero, di elezioni europee che non influenzano, in nessun modo, l’attuale compagine parlamentare; tuttavia, data la dimensione del fenomeno, non è possibile far finta di niente, soprattutto se si ritorna per un attimo alle settimane che hanno preceduto il voto, e ai toni molto accesi che hanno caratterizzato l’intera campagna elettorale.

In primis, la recente tornata elettorale europea è stata trasformata in un vero e proprio referendum sulla tenuta o meno del Governo attualmente in carica, presieduto da Matteo Renzi. E ciò, in relazione al fatto lo stesso Renzi non risulta rappresentativo della scelta popolare, in quanto nominato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla stregua dei Presidenti del Consiglio (Letta e Monti) che lo hanno preceduto, nonostante le elezioni parlamentari tenutesi il 24 e 25 febbraio 2013.

In secondo luogo, molto alto si è rivelato il livello di antieuropeismo, presente in diversi partiti che hanno partecipato alla competizione elettorale, con slogan del tipo “Italia fuori dall’Europa” e “Torniamo alla nostra cara e vecchia Lira”. In verità questa ondata non si è avvertita solo in Italia, ma anche in altri Stati dell’Unione Europea.

Infine, il fenomeno populista portato avanti in Italia dal M5S, i c.d “grillini”, e, non di meno, in Francia dal F.N. di Marine Le Pen, sebbene su piani, presupposti e finalità non proprio assimilabili tra loro.

In Italia, le previsioni apparivano quindi catastrofiche (ma forse è più esatto dire “ tragicomiche”, visto che il leader del movimento è un ex “comico”),  soprattutto nella prefigurazione di una vittoria del M5S “grillini”, che aveva annunciato la “cacciata” del Presidente della Repubblica , la crisi del Governo con l’indizione di elezioni anticipate e l’apertura di processi on line da intentare a carico di tutta l’attuale classe politica e dirigente (in verità, pare che manchi qualcosa: la ghigliottina, ad esempio!).

In Italia, però, i risultati elettorali hanno dimostrato che i cittadini italiani hanno il sale in zucca e non si lasciano prendere in giro, né tanto meno intimidire da ciarlatani di qualunque specie.

Ha vinto dunque, oltre ogni ragionevole dubbio,  il buon senso, con un travaso di voti che si sono spostati, con estrema naturalezza, da un partito all’altro in barba agli antichi ideologismi e legami storici – un po’ come succede negli Stati Uniti d’America – plasmando  così, a guisa di un gigantesco puzzle, il nuovo scenario di rappresentanza politica italiana.

Sono stati sconfitti invece il populismo e l’antieuropeismo, che in altri paesi europei, al contrario, si sono affermati. In Francia, ad esempio, il F.P. di Marine Le Pen è risultato il primo partito nazionale, mettendo in serie difficoltà il Presidente della Repubblica François Hollande. In Italia, solo la Lega Nord di Matteo Salvini si è affermata con il 6% ed ora sta facendo l’occhiolino a Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, che ha portato a casa il risultato più deludente della sua storia.

Ma il dato positivo da rilevare è che il successo personale di Matteo Renzi, in veste di Presidente del Consiglio dei Ministri e Segretario del P.D., con un quorum del 40,81%, legittima il suo Governo ad andare avanti nel cammino delle riforme avviato, fino alla fine dell’attuale  legislatura.

E non solo questo, poiché l’onda lunga del successo elettorale europeo conseguito, consentirà a Renzi di presiedere il semestre di presidenza italiana dell’U.E., a partire dal 1° luglio prossimo, con un elevato grado di consenso generale da parte dei partner  europei.

Ma vi è di più. Una presenza così massiccia di rappresentanti italiani (quello del P.D. rappresenta in Europa il gruppo più consistente) avrà l’effetto di condizionare la politica europea, facendo maggiormente sentire il peso delle scelte e degli orientamenti italiani, soprattutto in questo momento di fermento antieuropeista risultato dalle ultime elezioni, e contribuendo altresì ad apportare le necessarie  modifiche ai trattati, verso la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, con una sua Costituzione ed una sua Banca centrale.

L’italietta, spesso ridicolizzata e presa in giro, potrà finalmente contare in Europa e far sentire effettivamente il suo peso.

Questo, come già detto, è stato possibile anche per effetto della mobilità dell’elettorato, che si è spostato dal centro destra (peraltro smembrato in diversi partiti e partitini) al centro sinistra, per motivi di varia natura, senza escludere il timore di una vittoria schiacciante del M5S “grillini” (come una volta, quando gli italiani votavano D.C. per paura dei comunisti).

Secondo alcuni osservatori la percentuale del 40,81% conseguita dal P.D. non ha precedenti nella storia della nostra vita repubblicana, se non con riferimento alla D.C. nel 1958.

Che Renzi, dopo la rottamazione,  sia riuscito a ricostituire … magari incosciamente … la Balena Bianca?

Oppure Renzi è da considerare la reincarnazione di Alcide De Gasperi, quell’italiano che ha gettato le basi della Repubblica Italiana e dell’Unione Europea (entrambe ancora incompiute)?

Chissà!           

Ma forse, piuttosto, anche in Italia,  sta avvenendo finalmente il miracolo di una socialdemocrazia compiuta, come negli stati occidentali più avanzati del mondo, con uno sguardo ai modelli già sperimentati da  Tony Blair, in Gran Bretagna, e in via di consolidamento negli Stati Uniti d’America, da Barack Obama ?

E se il prodigio avviene (o è avvenuto), con Matteo Renzi, sotto il simbolo del P.D. – non per imposizione da parte di leader politici, ma a quanto pare per naturale scelta popolare, nelle cabine elettorali – riuscirà esso a prendere forma e consistenza, oppure gli ideologismi del passato e i pregiudizi di sempre impediranno tutto questo, mantenendo l’Italia in una condizione di stagnazione e di subalternità in Europa e nel mondo?

Ai posteri l’ardua sentenza!

Ma, in Italia, per completare l’opera di rinnovamento, occorre che anche nel centrodestra qualcosa di nuovo accada, al di là della necessaria ricucitura delle diverse fazioni ormai ridotte a brandelli. Bisogna che, anche da quelle parti, spunti una luce nuova; un nuovo  (e magari anche giovane) leader che sappia accendere i cuori e infondere ottimismo e speranza per il futuro del nostro Paese.

Due grossi blocchi,  dunque, uno più o meno progressista e l’altro più o meno conservatore, ma entrambi votati al bene comune nell’interesse generale dei cittadini italiani.

I populismi e le sceneggiate  dei soliti fanfaroni, molto probabilmente, non cesseranno del tutto, ma sicuramente verranno relegati ad episodi di poco conto e quindi considerati inconsistenti.

Il popolo (sovrano) italiano avrà così la possibilità di verificare per l’intera legislatura la realizzazione del programma da parte della maggioranza parlamentare pro tempore e si regolerà, alle successive elezioni parlamentari, per confermarle la propria fiducia ovvero passare la mano all’altra compagine. Un’alternanza certamente salutare.

Troppo facile a dirsi, ma non impossibile da realizzare.

 

 

 

 


19
Mag

Barocco Siciliano (terza parte)

Dopo la prima colazione e una ulteriore e veloce passeggiata tra i banchi stracolmi di pesce fresco, di ogni tipo, del  caratteristico mercato “la Pescheria” del centro storico di Catania, ove troneggiano in bella vista stupendi pesci spada e tonni dalla carne rossa come il sangue, ci apprestiamo a partire in auto alla volta di Ragusa.

Tangenziale ovest, autostrada e strada statale, 104 Km in tutto, un percorso di tutto respiro. Attraversiamo Ragusa, situata sulla parte alta del territorio e seguiamo le indicazioni per Ibla, l’antica città storica e centro del Barocco Siciliano, meta della nostra visita.

Ragusa fu gravemente danneggiata dal terremoto nel 1693 e l’attuale abitato risulta diviso in due parti: Ragusa Ibla, ricostruzione della città vecchia sul suo colle, e Ragusa Superiore che invece fu edificata ex novo su un altopiano adiacente. Successivamente Ragusa Superiore si espanse su un ulteriore altopiano, separato dal primo dalla vallata S. Domenica e ad esso collegato tramite tre ponti costruiti in epoche diverse.

Ragusa Ibla, la città inferiore, vanta un insieme impressionante di manufatti Barocchi ed offre uno scorcio di Sicilia ormai molto difficile da trovare in altri posti. Passeggiando tra le stradine fino a piazza Duomo sembra di tuffarsi nel passato, in un luogo dalle atmosfere di altri tempi. Simbolo della città è il portale S. Giorgio adiacente ai bellissimi giardini Iblei: al loro interno si possono ammirare ben tre chiese. La visita prosegue per piazza Pola, piazza Duomo con la splendida facciata barocca e la cupola neoclassica di S. Giorgio.

Per la Chiesa di San Giorgio di Rosario Gagliardi, progettata nel 1738, venne sfruttata  la difficile topografia del sito collinare, con l’effetto che la chiesa torreggia in modo impressionante su una imponente scalinata di circa 250 gradini, una caratteristica barocca frequentemente adottata in Sicilia a causa della morfologia dell’isola. La torre sembra esplodere dalla facciata, accentuata da colonne e pilastri rastremati (che si assottigliano) contro le pareti curve. Al di sopra delle aperture di porte e finestre, timpani si svolgono e curvano con un senso di libertà e di movimento. La cupola neoclassica venne aggiunta nel 1820.

Ibla appare con uno scrigno che conserva al suo interno oggetti preziosi e il suo centro storico è una vera bomboniera.

Questo spiega il perché la Sicilia Iblea faccia da scenario alle avventure di Salvo Montalbano, il noto Commissario, interpretato magistralmente dall’attore Luca Zingaretti, della serie televisiva tratta dai romanzi dello scrittore siciliano Andrea Camilleri.

Ragusa è stata catalogata nel 2002 Patrimonio dell’Umanità, rientrando tra le città d’arte più importanti d’Italia, grazie alle  svariate ricchezze artistiche e archeologiche presenti, eredità della sua storia plurimillenaria e Piazza Duomo ad Ibla è sicuramente il luogo più scenografico del suo nucleo barocco.

Ragusa Ibla (in siciliano “Iusu”, ovvero “che giace sotto”), oggi quartiere della città di Ragusa (fino al 1927 era una città a sé stante), è il fulcro da cui la città di Ragusa si è poi sviluppata. È situato nella parte orientale della città, sopra una collina che va dai 385 ai 440 m s.l.m.

La piazza del Duomo rappresenta il punto maggiormente rappresentativo del Barocco Siciliano ed è dominata, nella parte alta, dalla splendida Chiesa di San Giorgio, opera barocca fra le più insigni. La stupenda piazza di forma irregolare e in leggera pendenza è circondata da bei palazzi classici e barocchi, fra i quali spicca per la sua scenografia il Palazzo Arezzi, con un magnifico arco sotto il quale passa la strada che conduce all’ex Distretto Militare ora sede dell’Università, sito che cela fra le fondamenta resti dell’antico Castello scomparso sin dalla costruzione del Villino Arezzo.

La piazza Duomo è ravvivata al centro da verdi palme, che piantate da quasi un secolo le danno un esotico tocco di colore pur occludendo la vista e la prospettiva dell’imponente facciata del Duomo.
È il centro della vita cittadina, di questo nucleo storico, ed è sicuramente ancora oggi teatro delle più importanti manifestazioni civili e religiose del quartiere di Ibla, dalla Festa del Santo Patrono San Giorgio alle processioni del periodo pasquale.

Nella parte bassa della piazza, una bella fontana crea un angolo magnifico fra i Palazzi Arezzi e Veninata, costruiti in stile classicheggiante fra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.

Subito a lato, prima di immettersi nel corso XXV Aprile, a destra,  seguiamo la via del Convento dove, dopo poche decine di metri ed una breve scalinata, ci si proietta sull’altro versante di Ibla, quello meridionale. Sul lato sinistro, lungo la via Torrenuova, il Palazzo Capodicasa con i suoi otto balconi arricchiti da ampi finestroni sovrastati da frontoni rettilinei pieni di sculture in stile neoclassico, conchiglie al centro e originali fiori ai lati. La residenza nasce sulle spoglie della Chiesa di Sant’Agostino da cui si ha attualmente l’accesso, e dall’annesso convento giacchè nel 1847 gli agostiniani dovettero abbandonare i luoghi.

Una sosta per uno spuntino, e partenza in auto verso il mare di Ragusa Marina.

Dopo aver fatto un bel giro panoramico generale, la nostra curiosità ci spinge a raggiungere la località Punta Secca, ad una decina di Km di distanza da Ragusa Marina, alla scoperta … nientemeno … della casa del Commissario Montalbano, ovvero il luogo della fiction televisiva. Riusciamo a trovarla e con molta sorpresa ci accorgiamo che non siamo i soli curiosi ad interessarci della cosa, infatti tanti sono i visitatori che si intrattengono nelle sue vicinanze.  La casa si trova in Via Aldo Moro ed è, nella realtà, un Bed & Breakfast. Facciamo una bella passeggiata in piaggia e poi, in prossimità del Faro, ci fermiamo nell’unico bar aperto (data la stagione, è tutto chiuso: siamo ai primi di maggio) per una consumazione.

In serata ritorno a Catania per la cena ed il pernottamento.

La giornata seguente la dedichiamo invece all’Etna, dopo una sosta ad Aci Trezza.

Dopo la prima colazione, dunque, in macchina verso il mare in direzione Aci Trezza, a soli 9 Km di distanza Catania.

Il panorama di Aci Trezza è dominato dai faraglioni dei Ciclopi: otto pittoreschi scogli basaltici che, secondo la leggenda (tratta dall’Odissea di Omero), furono lanciati da Polifemo ad Ulisse durante la sua fuga. I faraglioni compaiono sugli stemmi dei comuni di Aci Castello, Acireale. Aci Bonacossi, Aci Catena. Poco distante dalla costa (a circa 400 m di distanza), è presente l’Isola Lachea, identificata con l’omerica Isola delle Capre e che attualmente ospita la sede di una stazione di studi di biologia dell’Università degli Studi di Catania. Aci Trezza fu il paese in cui Giovanni Verga ambientò il famoso romanzo  “I Malavoglia” nel 1881 e nel quale, nel  1948, venne girato il film ad esso ispirato “La terra trema” di Luchino Visconti e Antonio Pietrangeli, capolavoro del neorealismo realizzato con attori non professionisti abitanti del luogo. Non distante dalla Chiesa del Patrono, in base ad alcuni elementi descrittivi forniti dal Verga nei Malavoglia, è stata identificata la “casa del nespolo”, l’abitazione di Padron ‘Ntoni ove è stato allestito un piccolo museo contenente oggetti della tradizione marinara ed una sezione fotografica dedicata al film di Luchino Visconti.

Una passeggiata lungo la costa per ammirare il meraviglioso mare e respirare una boccata della sua fresca brezza e, poi, in auto verso l’Etna, il più grande Vulcano attivo d’Europa.

Seguendo le indicazioni per Nicolosi – Etna Sud, raggiungiamo dopo circa 18 km il centro abitato di Nicolosi, a 690 m s.l.m., indi proseguiamo in direzione Nord per Etna-Rifugio Sapienza., con una sosta a Zafferana Etnea per un caffè accompagnato da un trancio di “scacciata”, una focaccia rustica locale ripiena, appena sfornata.

Il gigantesco Vulcano si innalza imponente mostrando un mosaico di boschi, colate laviche e crateri laterali che costellano il versante sud del vulcano, con la sua perenne fumarola bianca sulla cima più alta. L’attività persistente dei crateri sommitali produce in genere dense colonne di gas e vapori misti a ceneri vulcaniche, mentre a volte è accompagnata da attività esplosiva di tipo stromboliano con lanci intermittenti di bombe vulcaniche e brandelli di lava che possono superare altezze di diverse centinaia di metri, accompagnati da forti boati.

In circa 35 minuti raggiungiamo, percorrendo la S.P. 92, il Rifugio Sapienza e l’adiacente stazione di partenza della Funivia dell’Etna, a 1.900 m. s.l.m.

Entrambe le strutture sono scampate miracolosamente alle colate laviche dell’eruzione del luglio-agosto 2001.

Una bella escursione ai “Crateri Silvestri”, dal nome del professore Orazio Silvestri, ci ripaga pienamente della fatica di essere arrivati fin lassù. Essi sono attualmente inattivi ed offrono l’opportunità di visionare da vicino gli spettacolari fenomeni naturali che si sono ivi prodotti.

Uno scenario unico da ammirare e da scoprire, meta di tantissimi turisti che giungono da ogni parte del mondo.

Ed ognuno raccoglie e preleva qualche frammento di lava vulcanica, come prezioso ricordo da portare a casa e conservare gelosamente.

La stazione della Funivia porta a quota 3346 m. s.l.m. , ove è possibile visitare le zone sommitali di alta quota, seguendo una pista sterrata, utilizzando pulmini a quattro ruote motrici .

Uno spuntino in quota e continuazione dell’escursione fino a tutto il primo pomeriggio, prima di riprendere la via del ritorno, in auto, per Catania.

Ancora un giro a piedi nel centro storico di Catania, per un ultimo sguardo d’insieme al Barocco Siciliano ed approfondire qualche ulteriore particolare, la cena, e poi all’aeroporto di Catania Fontanarossa per il volo di rientro a casa.

Fine della terza parte


16
Mag

Barocco Siciliano (seconda parte)

Il grande terremoto siciliano del 1693 danneggiò gravemente cinquantaquattro tra città e paesi, e ben 300 villaggi. L’epicentro del disastro fu nel Val di Noto (al maschile, perché si tratta di Vallo e non di Valle, come molti pensano), dove la città di Noto fu completamente rasa al suolo, mentre la città di Catania fu danneggiata in modo molto grave. Fu stimato che più di 100.000 persone persero la vita. Altre città che subirono gravi danni furono Ragusa, Modica, Scicli, Militello e Ispica. La ricostruzione iniziò quasi immediatamente. E la sontuosità dell’architettura che stava per sorgere dal disastro è connessa alla politica della Sicilia del tempo; la Sicilia era ancora ufficialmente sotto il controllo Spagnolo, ma in realtà era governata dalla sua aristocrazia locale.

L’aristocrazia condivideva il proprio potere con la Chiesa Cattolica e, questa, è una delle ragioni per cui, così tante Chiese Barocche e Monasteri, furono ricostruiti dopo il 1693 con tale lusso.

La frenesia edilizia guadagnò slancio finché l’architettura Barocca commissionata dagli aristocratici raggiunse il suo apice verso la metà del XVIII secolo.

Il nostro viaggio alla scoperta del Barocco Siciliano dunque continua.

Dopo la prima colazione, partiamo in auto da Catania alla volta di Siracusa; i paesaggi che si presentano ai nostri occhi lungo il percorso, spaziano da quello prettamente marino, con spiagge attrezzate o meno, a rigogliose  piantagioni di agrumi, in particolare arance e limoni.

Giunti a Siracusa ci portiamo presso la zona archeologica della città, che offre al visitatore scenari di indubbia singolarità: un vero tuffo nel lontano passato, che ci riporta ai fasti della Magna Grecia.

Cominciamo dal Teatro Greco, che venne costruito nel V sec a.C. e poi restaurato nel III sec. A.C. dai romani, che ne modificarono la forma da ferro di cavallo tipica dei teatri greci a semicerchio tipica di quelli romani. Il sito è in buono stato di manutenzione ed è possibile apprezzare ancora le maestose gradinate. Sovrasta il teatro una terrazza al centro della quale è posta la grotta artificiale del ninfeo. Dal 1914, ogni anno a maggio / giugno, il teatro ospita le rappresentazioni di teatro classico che attirano turisti da tutto il mondo.

Raggiungiamo poi le “Latomie” che, in origine, erano cave di pietra da cui si estraeva il materiale necessario per soddisfare la richiesta enorme di materiale da costruzione per templi ed opere murarie. Ma le Latomie servirono anche come prigioni ed in una di queste vennero rinchiusi i settemila prigionieri ateniesi sconfitti dai Siracusani nel 413 a.C. A Siracusa ci sono all’incirca 12 Latomie, tra le più interessanti quella del Paradiso con la grotta artificiale nota come “Orecchio di Dionisio”, con un’acustica che amplifica i suoni fino a 16 volte; ed è proprio qui che si sofferma la stragrande maggioranza dei visitatori, per provare di persona gli effetti dell’eco che si forma al suo interno. Appena dopo, la Grotta dei Cordari, detta così perché all’interno col favore dell’umidità, si lavorava la canapa per la produzione di corde.

Terminata la visita archeologica, ci avviamo in auto verso la parte più bassa di Siracusa, per raggiungere l’Isola di Ortigia, collegata con un comodo ponte, famosa per il suo Barocco.

Ma prima di portarci in centro, ci soffermiamo per una breve visita al Tempio di Apollo, costruito dai greci nel VI sec. A.C. Esso  presentava 17 colonne da un lato e 6 dall’altro, con una seconda fila interna di colonne più piccole sorreggenti molto probabilmente il tetto. Di tutto questo, oggi rimangono solamente dei tronconi e due delle colonne che lo circondavano. Nei secoli il tempio ha subito numerose trasformazioni e cambi di destinazione (chiesa bizantina, moschea araba, chiesa normanna, caserma spagnola). Su uno dei gradini laterali è incisa la dedica al Dio Apollo.

Raggiungiamo il centro storico di Ortigia e qui veniamo colpiti da una vera esplosione di Barocco Siciliano; il visitatore rimane veramente sbalordito dalla straordinaria bellezza artistica dei suoi palazzi e dei suoi monumenti.

Piazza Duomo, nel pieno centro dell’isola di Ortigia, è considerata – a giusta ragione – una delle piazze barocche più belle della Sicilia.

Il Duomo, sorto sui resti del Tempio di Athena, risalente al V a.C., nel tempo ha subito diverse trasformazioni fino a divenire basilica cristiana con la costruzione di una cinta muraria, l’apertura di archi sui lati, pavimento policromo, soffitto ligneo e campanile. L’attuale facciata barocca distrutta dal terremoto e successivamente ricostruita nella prima metà del ‘700 è la parte posteriore del tempio. Decorano il prospetto alcune statue del Marabitti, rispettivamente a sinistra, centro e destra, San Marziano, la Vergine del Piliere e Santa Lucia. Ai lati della gradinata San Pietro e San Paolo. All’interno sono ancora visibili le originarie colonne del tempio insieme tra le altre cose ad acquasantiere dell’800, alle cappelle del crocifisso, di Santa Lucia che accoglie il simulacro argenteo della Santa e del Sacramento, quest’ultima finemente affrescata da Agostino Scilla.

Sulla stupenda piazza del Duomo si affacciano palazzi barocchi degni di rilievo, tra i quali, il Palazzo arcivescovile del 1681 e il suo giardino pensile; il Palazzo Beneventano Del Bosco, progettato da Luciano Alì nel periodo 1779 – 1788, con balconi in ferro battuto e  curve ardite (il Palazzo ospitò l’ammiraglio inglese Horatio Nelson ai tempi delle guerre napoleoniche, nonché re Ferdinando I delle Due Sicilie); il Palazzo Senatorio del 1633, sede del Municipio, al di sotto del quale sono stati rinvenuti i resti dell’Artemision, un tempio ionico greco del VI secolo a.C.

In fondo alla piazza sorge infine la Chiesa di Santa Lucia alla Badia, nell’interno della quale è possibile ammirare la stupenda tela di Caravaggio raffigurante il “Seppellimento di Santa Lucia”, datata 1608; un imponente capolavoro che racconta la fine del martirio della Santa Patrona di Siracusa.

Dopo una pausa di ristoro, ripartiamo in auto alla volta del Val di Noto.

Ci portiamo, come prima meta, proprio nel centro abitato della città di Noto e cerchiamo di raggiungere a piedi il suo “salotto buono”,  quel centro storico che tutti le invidiano.

Noto, Capitale Europea del Barocco e Patrimonio dell’Unesco dal 2002, è una delle più belle città d’arte siciliane. Splendido il centro storico, dove si possono ammirare diversi monumenti civili e religiosi come S. Chiara, SS. Salvatore, Cattedrale S. Nicolò, Palazzo Ducezio, Via Nicolaci con gli incredibili balconi, Montevergini, S. Domenico, Fontana di Ercole e Teatro comunale.

Le vie della città sono intervallate da scenografiche piazze ed imponenti scalinate che raccordano terrazze e dislivelli. La unitaria ricostruzione produsse un tessuto urbano coerente e ricco di episodi architettonici. Venne utilizzata la tenera pietra locale, di colore tra il dorato e il rosato, riccamente intagliata. La ricostruzione avvenne unitariamente sotto la guida del Duca di Camastra che rappresentava a Noto il Vicerè spagnolo.

Ci concediamo un break nella lussosa pasticceria adiacente al Duomo per una granita alla mandorla, accompagnata da una squisita cassatina, e poi dritti di filata verso Modica, ultima tappa della giornata.

Insieme con il Val di Noto, nella lista dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO, vi è Modica, per il suo centro storico ricco di architetture barocche.

Modica ha dato i natali al Nobel per la letteratura (Stoccolma, 1959)  Salvatore Quasimodo e la sua casa natìa è meta di numerosi visitatori. Il Museo Civico conserva l’Ercole di Cafeo, uno statua bronzea di pregevole fattura del periodo ellenistico. Tra le tante bellezze, importanti sono la Chiesa di San Pietro, dedicata al Santo Patrono della Città, in stile tardo barocco e neo classico a Modica bassa, e l’imponente Duomo di San Giorgio, con la sua monumentale scalinata di 250 gradini a Modica alta, meraviglia del barocco siciliano, da qualunque prospettiva lo si guardi. Questa chiesa a 5 navate custodisce pregevoli opere come il polittico del XV secolo.

Al centro dell’enogastronomia locale, a Modena vi è sicuramente la produzione del cioccolato, per cui la Città è resa ormai famosa in tutto il mondo, con una produzione annua di circa due milioni e mezzo di tavolette.

Con la visita di Modica termina l’interessante e lungo tour della giornata.

Facciamo quindi ritorno in auto a Catania per la cena in un ristorantino tipico del centro storico e poi subito a nanna per il meritato riposo.

 Fine della seconda parte


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